Dal bambino all’adulto, IG-IBD partecipa al progetto per la transizione del paziente affetto da malattie infiammatorie croniche intestinali 

Al cammino che porta ragazze e ragazzi da un centro pediatrico per le malattie infiammatorie croniche intestinali (MICI) ad uno per gli adulti è dedicato il progetto lanciato in occasione del XIII Congresso nazionale dell’Italian Group For The Study Of Inflammatory Bowel Disease (IG-IBD).

Promossa e curata da IG-IBD, assieme alla Società Italiana di Gastroenterologia Epatologia e Nutrizione Pediatrica (SIGENP) e all’associazione dei pazienti AMICI Italia, l’iniziativa partirà il prossimo anno. Oltre a censire i centri pediatrici presenti sul territorio, lo scopo è sensibilizzare i sanitari affinché vi sia una standardizzazione del metodo e una corretta continuità assistenziale. 

“L’incidenza delle diagnosi in età pediatrica delle malattie infiammatorie croniche intestinali sta crescendo in Italia”, rammenta Flavio A. Caprioli, Segretario Generale dell’IG-IBD, professore associato all’Università degli Studi di Milano e medico gastroenterologo presso la Fondazione IRCSS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano. “Sviluppare le conoscenze e creare standard nazionali che instradino il processo di transizione è quindi prioritario”.

“L’età della transizione corrisponde alla fase di passaggio dall’adolescenza all’età adulta, fra i 16 e i 18 anni, quando inizia ad esserci una adeguata conoscenza di se stessi, della malattia e una sufficiente maturità per essere in grado di comprendere le problematiche legate alla patologia e le modalità di trattamento. Esiste inoltre una necessità organizzativa, in quanto i Centri pediatrici possono gestire i pazienti fino al compimento dei 18 anni”, spiega la professoressa Fabiana Castiglione, responsabile della IBD Unit di Gastroenterologia dell’Azienda Ospedaliera Universitaria “Federico II” di Napoli, membro del progetto per conto di IG-IBD. Dal 2012, presso l’Azienda ospedaliera partenopea, è attivo l’Ambulatorio di Transizione delle MICI che consente il passaggio organizzato e condiviso dei pazienti dal Centro di riferimento dell’età pediatrica a quello diretto dalla professoressa per i pazienti adulti. 

“È una fase – continua la professoressa – molto delicata nella storia clinica del paziente, per la quale occorre la collaborazione e la gestione da parte del pediatra, dell’infermiere, del gastroenterologo, del chirurgo e del nutrizionista. In tale fase del percorso assistenziale, infatti, la conoscenza riguardo la storia clinica del paziente deve essere trasferita al gruppo multidisciplinare che lo avrà in carico”. 

“Negli ultimi 20 anni, l’esordio delle malattie nel 25% dei casi si è spostato nella età pediatrica e adolescenziale”, spiega il professor Paolo Lionetti, responsabile della struttura complessa di gastroenterologia e nutrizione dell’Ospedale pediatrico Meyer di Firenze, past president della SIGENP e ordinario dell’Università di Firenze, che ha attivato un ambulatorio congiunto dodici anni fa. Il professor Lionetti sottolinea come uno dei problemi in particolare che la malattia di Crohn porta con sé è la scarsa crescita perché il bambino non cresce adeguatamente nel 40% dei casi. 

“In pediatria abbiamo raccolto un’ottima esperienza dalla terapia nutrizionale”, afferma Lionetti. “Come trattamento di prima linea usiamo una dieta liquida esclusiva, capace di indurre la remissione. Negli ultimi anni abbiamo iniziato, inoltre, in aggiunta ai farmaci, ad usare una dieta specifica per la malattia di Crohn che sta dando risultati incoraggianti. È una dieta che esclude prodotti processati dall’industria. Nell’adulto la terapia nutrizionale è scarsamente accettata ma negli anni noi pediatri ci auguriamo che le terapie di supporto nutrizionali, applicate in pediatria, possano essere impiegate anche nell’età adulta, partendo dai pazienti che hanno avuto l’esordio in età pediatrica”.

“I farmaci che usiamo nel bambino sono gli stessi usati per l’adulto, tuttavia, va ricordato come in alcune fasi, ad esempio, prima della pubertà, sia importante tenere sotto controllo l’infiammazione che da sola riduce la crescita. In secondo luogo, per la popolazione pediatrica occorre fare il possibile al fine di garantire la crescita e lo sviluppo puberale.  Abbiamo la necessità di lavorare con i farmaci e le terapie nutrizionali per controllare l’andamento della malattia”, aggiunge la professoressa Marina Aloi, associato di Pediatria presso la Sapienza Università di Roma e responsabile del Registro nazionale delle Ibd pediatriche della SIGENP, che sottolinea come uno dei grandi problemi ancora esistenti sia il fatto che “dall’approvazione di un nuovo farmaco passano almeno cinque anni prima che venga validato anche per l’età pediatrica. Molto spesso, siamo costretti per questo a usare farmaci off label”.

Per avviare il processo di transizione servono dei requisiti minimi. “L’età – precisa Castiglione – intorno ai 18 anni, per consentire al pediatra di preparare il ragazzo, uno o due incontri in presenza che coinvolgano il paziente, la famiglia, gli specialisti del centro pediatrico e dell’adulto ed un’epicrisi dettagliata, con particolare riferimento alla scheda farmacologica. Questa organizzazione è facilitata quando le due strutture sono ubicate nella stessa azienda ospedaliera. In alternativa, la presentazione del caso può avvenire per via telematica accompagnata da epicrisi scritta e dettagliata anamnesi farmacologica, dato che in età pediatrica la malattia può presentarsi in forma più aggressiva e richiedere l’impiego di strategie terapeutiche diversificate. La condizione ideale resta quella dell’incontro multidisciplinare in presenza al fine di cominciare a preparare il ragazzo e la sua famiglia a lasciare il gruppo pediatrico”.

Una delle barriere che limitano una transizione efficace è proprio il forte legame che il paziente ha avuto con il pediatra e la necessità di trasmettere fiducia e rassicurazione sul trasferimento di conoscenza e di informazioni per garantire continuità di cura.

“La fase di transizione – commenta Lionetti – serve anche per responsabilizzare il paziente e informarlo affinché, una volta avvenuto il passaggio al centro per l’adulto, sia capace di rapportarsi con gli specialisti, gestire le visite e proseguire con il controllo della malattia. È una tappa fondamentale per la crescita personale de ragazzi, non solo per il loro percorso terapeutico”. 

Un altro punto cardine è lo stato di malattia della persona: “Si cerca – afferma Castiglione – di trasferire il paziente in una fase di remissione e di stabilità per non aggiungere ulteriori fattori di rischio psicologici derivanti dal cambiamento di terapie in un momento della storia della patologia già di per sé difficile da affrontare”.

Il pericolo di una transizione inadeguata è che il paziente possa dimostrare una scarsa aderenza alle terapie e una ridotta compliance. “Le malattie infiammatorie croniche intestinali – ricorda la specialista – hanno fasi di remissione ma anche frequenti riacutizzazioni o complicanze che richiedono l’attenzione immediata dello specialista”. A maggior ragione, “abbiamo necessità di standardizzare il follow-up in questa particolare età, identificando dei modelli di approccio che possano essere vantaggiosi per il paziente e per il medico che lo ha in cura”.

Fondamentale sarà quindi il supporto dell’Associazione dei pazienti. “La crescente incidenza delle malattie croniche – dichiara Giuseppe Coppolino, presidente di AMICI Italia – pone importanti sfide al sistema socio-sanitario, evidenziando l’importanza del ruolo del coinvolgimento attivo del paziente e dei suoi familiari nel processo di cura, con l’obiettivo di ridurre i costi a carico della sanità e delle famiglie e di promuovere la salute e il benessere in situazioni di malattia. La presenza di IBD nell’età adolescenziale può costituire un grave ostacolo allo sviluppo fisiologico, psico relazionale e sessuale. Il passaggio dalla gestione pediatrica alla gestione adulta deve necessariamente tenere conto del particolare periodo maturativo e del cambio di ‘abitudini assistenziali’ e rappresenta un periodo di vulnerabilità, per cui un programma di transizione condiviso tra pediatri e gastroenterologi dell’adulto ne migliora la prognosi clinica e psicosociale. Chiedere al paziente e alla famiglia le aspettative al passaggio all’età adulta, discutere con loro il piano di transizione, collaborare con il gastroenterologo pediatra prima della transizione, organizzando sessioni di transizione e di informazione per i nuovi pazienti ‘trasferiti’, prevedere un lungo e adeguato tempo per la prima visita sono alcuni degli elementi che riteniamo fondamentali. Così come valutare con la famiglia se il paziente è in grado di affrontare autonomamente la gestione dell’età adulta o se dovrà essere ancora presente. L’obiettivo è l’autonomia ma il processo deve essere graduale”.

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