Quadro di riferimento sull’idoneità della base d’asta negli appalti pubblici
La determinazione di una corretta base d’asta rappresenta per la stazione appaltante uno degli aspetti più importanti nella preparazione degli atti di una gara d’appalto. Il motivo è che ciò presuppone una profonda comprensione dello stato del mercato, non soltanto in relazione al numero e alle caratteristiche dei prodotti commercializzati che rispondono alle caratteristiche richieste dall’oggetto della gara, ma anche e soprattutto per la determinazione dell’intrinseco valore di mercato del bene oggetto della gara.
La distinzione non è meramente terminologica e corrisponde a quella che, in economia, viene spiegata ricorrendo ai diversi concetti di valore di mercato (market value) e di prezzo di vendita. In una gara d’appalto, la base d’asta corrisponde idealmente al primo dei due concetti, mentre il prezzo di aggiudicazione rappresenta il secondo.
Sempre dal punto di vista delle definizioni preliminari, è bene chiarire che la base d’asta esprime il valore di mercato non già del bene oggetto di aggiudicazione, ma più semplicemente dell’utilità ricercata dalla P.A. e posta in gara. Con ciò si vuol dire che l’intrinseco valore di mercato di beni funzionalmente equivalenti può variare a seconda delle caratteristiche tecniche dei vari prodotti e delle tecnologie impiegate; di conseguenza, il valore di mercato di ciascuno dei prodotti che possono essere offerti in quella gara potrebbe differire sensibilmente, e ciò accade spesso per esempio nelle gare per la fornitura di dispositivi medici con tecnologie differenti e aggiudicate con valutazione anche qualitativa delle offerte. La base d’asta, invece, deve essere unitaria e dunque deve esprimere il valore dell’utilità che la P.A. intende conseguire.
La corretta base d’asta è dunque quella che si pone in prossimità dell’effettivo valore di mercato e che al contempo consente alle imprese di differenziare le proprie politiche commerciali sul prezzo. Perciò la base d’asta deve essere determinata prevedendo una certa flessibilità ed elasticità nelle possibili, e anzi normali, differenze nel prezzo dei vari prodotti equivalenti presenti sul mercato.
Queste complessità sono tradizionalmente riassunte dalla giurisprudenza nel principio secondo il quale la determinazione della base d’asta appartiene al novero delle valutazioni tecniche caratterizzate da discrezionalità dell’amministrazione, e per tale ragione sono sottratte al sindacato di legittimità del giudice amministrativo, se non per manifesta illogicità, irrazionalità, irragionevolezza ovvero se siano fondate su di un palese travisamento dei fatti (Per tutte, si faccia riferimento al Consiglio di Stato sez. V, n. 6006 del 22 ottobre 2018).
La base d’asta non rappresenta un prezzo ma un ipotetico valore di mercato
Nella casistica, la base d’asta è stata ritenuta sproporzionata e irragionevole, e perciò illegittima, sia quando essa è elevata in modo abnorme rispetto al valore della prestazione sia quando essa è troppo bassa, in questo caso però a condizione che la base d’asta renda impossibile la concorrenza (vedi più avanti, nel paragrafo: Il “giusto” prezzo di mercato).
Per la base d’asta elevata in modo abnorme, si faccia riferimento alla sentenza del Consiglio di Stato, sez. V, n. 4081 del 28 agosto 2017, nella quale le tre offerte pervenute in gara contenevano, tutte, un ribasso di circa il 50% rispetto al valore a base d’asta, ritenuto elemento sintomatico di un non corretto esercizio della discrezionalità nella determinazione del valore da porre a base d’asta. La questione di una base d’asta elevata in modo abnorme appare fonte di problemi particolarmente gravi specialmente quando la gara deve aggiudicarsi all’offerta economicamente più vantaggiosa e la formula che traduce il prezzo in punteggio economico si fonda non già sul rapporto tra i prezzi offerti in gara dalle concorrenti nei loro valori assoluti (che rimangono cioè comunque svincolati dalla base d’asta) ma sulla percentuale di ribasso offerta dai concorrenti, finendo quindi per appiattire i punteggi economici pur in corrispondenza di prezzi significativamente differenti.
Normativa sulla determinazione del prezzo al pubblico ed ex factory del farmaco e posizione del problema rispetto alle gare d’appalto
Come sovente accade, le gare per l’acquisto di farmaci richiedono il rispetto non soltanto delle norme del codice degli appalti e dei principi generali sulle gare per come elaborati dalla giurisprudenza, ma anche la compatibilità con le norme che regolano specificamente questo prodotto, il cui mercato è ampiamente regolamentato.
Le norme speciali relative ai farmaci non mancano neppure per ciò che concerne la determinazione dei prezzi. Si tratta in particolare di quell’insieme di norme, relative ai profili regolatori del farmaco, che guidano AIFA nel procedimento di negoziazione del prezzo, al pubblico ed ex factory, del farmaco in fase di post-AIC, e in particolare dell’art. 48, comma 33, della legge n. 263/2003, conv. in legge n. 326/2003, che richiama e attribuisce validità alla delibera CIPE n. 3 del 1 febbraio 2001. In base a queste norme, la negoziazione del prezzo dei farmaci tiene conto di vari elementi, tra cui il rapporto costo/efficacia, la capacità terapeutica, la presenza di prodotti simili sul mercato, l’innovatività, il prezzo sul mercato internazionale. È vero che tali i criteri indicati nella delibera CIPE richiamata furono pensati in un momento nel quale il procedimento di determinazione del prezzo del farmaco era ancora largamente amministrato; tuttavia, questi criteri di valutazione permangono validi anche in un contesto come quello attuale, nel quale AIFA e l’industria farmaceutica negoziano su base paritetica il prezzo del farmaco.
In quale misura la stazione appaltante deve tenere in considerazione il prezzo ex factory determinato da AIFA?
A loro volta, poi, i prezzi dei farmaci negoziati da AIFA tengono conto delle varie componenti della filiera di distribuzione, e in particolare delle percentuali spettanti ai grossisti e ai farmacisti, nella misura prevista dall’art. 11, comma 6, d.l. n. 78/2010 conv. in legge n. 122/2010 [Garattini L, et al. Prices and distribution margins of in-patent drugs in pharmacy: a comparison in seven European countries. Health Policy 2008; 85:305-13].
Il punto è allora quello di stabilire se, e in quale misura, questo impianto normativo interferisca con il prezzo di mercato del farmaco, nella determinazione della base d’asta in una gara d’appalto. In altri termini, si tratta di comprendere in quale misura la stazione appaltante debba tenere in considerazione il prezzo al pubblico e, trattandosi di acquisto da parte di una P.A., soprattutto il prezzo ex factory determinato da AIFA al fine della corretta individuazione dell’importo da porre a base d’asta.
Il problema si pone, in effetti, perché vi sono una serie di riferimenti, sebbene non direttamente nelle norme di legge ma solo nella normativa secondaria, al prezzo negoziato con AIFA anche e proprio in relazione alla base d’asta nelle gare d’appalto.
Ad esempio, nella stessa delibera CIPE richiamata si afferma che il prezzo contrattato con AIFA rappresenta il parametro di negoziazione degli sconti nelle procedure di acquisto del farmaco. In modo ancor più esplicito, il documento pubblicato da ANAC all’esito di una indagine conoscitiva del 2011 sulle gare per la fornitura di farmaci ha affermato che nella definizione della base d’asta nelle gare d’appalto le amministrazioni appaltanti dovrebbero tenere conto, tra gli altri elementi, anche del prezzo ex factory negoziato con AIFA.
Il “giusto” prezzo di mercato da porre a base d’asta
In realtà, a mio parere, il tema in questi termini è mal posto, proprio perché confonde il concetto di prezzo con quello di valore di mercato. La base d’asta non rappresenta un prezzo (ex factory, negoziato con AIFA) ma un ipotetico valore di mercato del farmaco. Non è dunque operazione metodologicamente corretta quella di individuare la base d’asta di una gara d’appalto senza attribuire un ruolo preponderante al valore di mercato del bene: il prezzo negoziato con AIFA, infatti, sebbene possa essere sottoposto a successive revisioni, è un prezzo che cristallizza una determinata situazione di mercato in un determinato momento storico, ma che ovviamente non può tenere conto del dinamismo che caratterizza, oggi, il mercato dei farmaci.
Non diversamente da ogni altro bene, quindi, anche il prezzo dei farmaci viene determinato in maniera principale dalle condizioni di mercato. Il prezzo ex factory finisce pertanto per rappresentare solo l’elemento di partenza dell’indagine della stazione appaltante; tuttavia, e proprio per questa ragione, esso è null’altro che un punto di partenza, che può anche divenire inutile se le condizioni di mercato restituiscono un prezzo non più in linea con il prezzo negoziato.
Il vero fulcro del problema è la tutela della concorrenza effettiva
Il ragionamento è, in sintesi, molto semplice: se il prezzo ex factory negoziato in un dato momento con AIFA viene derogato, al ribasso, da molti operatori di mercato, ciò significa che il valore di mercato del bene si è ridotto rispetto al prezzo originariamente pattuito. Di conseguenza, o l’impresa segue il mercato, riposizionando il proprio prodotto in un prezzo competitivo, oppure non può esigere che la base d’asta sia obbligatoriamente uguale al prezzo ex factory.
Per riprendere allora il punto iniziale del nostro esame, che chiarisce come la determinazione della base d’asta sia operazione tecnico discrezionale della stazione appaltante, dovremo necessariamente concludere che la base d’asta va determinata in base al prezzo di mercato; essa può essere sindacata, perché arbitraria o sproporzionata, soltanto se sia talmente bassa da determinare un’effettiva alterazione della concorrenza.
Ecco così chiarito qual è il vero fulcro del problema: la tutela della concorrenza effettiva.
Per ottenere questo risultato, la base d’asta deve essere determinata partendo non già dal prezzo AIFA, ma dal prezzo di aggiudicazione di altre gare concorrenziali aventi ad oggetto il medesimo farmaco. Si tratta però ancora soltanto di un dato di partenza, perché naturalmente il prezzo di aggiudicazione di altre gare non può essere posto a base d’asta: per definizione, infatti, solo una impresa – quella aggiudicataria – è in grado di proporre quel prezzo.
Il prezzo di aggiudicazione di un’altra gara non può essere posto a base d’asta perché, per definizione, solo l’impresa aggiudicataria è in grado di sostenerlo
È allora necessaria un’operazione aggiuntiva, volta a stabilire qual è il margine di flessibilità e di elasticità necessario per assicurare una concorrenza effettiva in gara. Questa operazione richiede, ad esempio, un’istruttoria non soltanto sui prezzi di aggiudicazione di altre gare, ma anche sui prezzi proposti dagli altri concorrenti non aggiudicatari in quelle gare. La base d’asta dovrà dunque posizionarsi su di un livello sufficiente da includere almeno due, ma preferibilmente tre, potenziali concorrenti.
Questa posizione è stata ad esempio condivisa dal T.A.R. per l’Emilia Romagna, Bologna, sez. II, nella sentenza n. 868 del 16 novembre 2018, che appunto ha dichiarato legittima una base d’asta, largamente al di sotto del prezzo ex factory, per il fatto che essa era comunque superiore al prezzo offerto da almeno due concorrenti in altre recenti gare, oltreché al prezzo di aggiudicazione della gara a suo tempo indetta dalla medesima stazione appaltante, il cui contratto ha esaurito la sua durata. Al contrario, ma in modo compatibile con il principio ivi enunciato, il T.A.R. per la Campania, Napoli, sez. I, n. 3600 del 4 luglio 2017, che aveva annullato la gara impugnata, per essere la base d’asta troppo bassa, in ragione del fatto che essa si posizionava esattamente sul prezzo più basso di aggiudicazione del medesimo prodotto nelle recenti gare italiane.
Anticorpi contro prezzi di aggiudicazione troppo bassi: la verifica di anomalia
Dal punto di vista della P.A., e più in generale del SSN, riuscire a “spuntare” prezzi di aggiudicazione molto convenienti è chiaramente un obiettivo auspicabile. Da più parti si fa notare, infatti, come la spesa farmaceutica complessiva sia in aumento, soprattutto per effetto di nuovi farmaci frutto di tecniche e di ricerche fortemente innovative, il cui costo è tuttavia molto rilevante. Chiaro, allora, che poter risparmiare considerevolmente in alcune circostanze può liberare risorse pubbliche da indirizzare verso queste nuove cure farmacologiche.
Il prezzo di aggiudicazione deve essere giustificabile in modo credibile, dimostrando concretamente la sostenibilità dell’offerta
Anche dal lato dell’industria farmaceutica, in alcuni casi, un notevole e rapido abbassamento del prezzo di vendita di alcuni farmaci può inserirsi nell’ambito di una strategia commerciale su larga scala, fors’anche su scala internazionale, con l’effetto di ridurre la marginalità sulle vendite di farmaci non più core business, le cui vendite possano tuttavia svolgere una funzione di volano per le vendite di altri prodotti, siano o meno correlati ai primi.
Per queste ragioni, si assiste talvolta a gare d’appalto in cui le percentuali di sconto sulle basi d’asta sono comunque molto alte, anche prossime o addirittura superiori al 90%; e ciò non perché la base d’asta sia stata determinata in modo abnormemente elevato ma solo perché il prezzo offerto in gara è prossimo allo zero.
Non va però trascurato che un prezzo troppo basso, anche quando il prodotto è un farmaco, deve comunque essere remunerativo. La procedura di verifica di anomalia dell’offerta, prevista in via generale dall’art. 97 del codice degli appalti, è applicabile anche agli appalti aggiudicati al prezzo più basso (comma 2) e anche ovviamente agli appalti di farmaci, non essendovi alcuna norma che deroghi per tali prodotti alle disposizioni del codice. Ancora sulla stessa tipologia di farmaci delle sentenze sopra citate, in tal senso si veda T.A.R. Abruzzo, Pescara, sez. I, sentenza n. 168 del 26 maggio 2017.
La remuneratività dell’offerta deve essere oggettiva e interna, cioè riferita solo all’appalto aggiudicato
Il prezzo di aggiudicazione deve perciò poter essere giustificabile dall’aggiudicataria, e lo deve essere in modo credibile dimostrando concretamente la sostenibilità dell’offerta.
È bene precisare che, per giurisprudenza costante, l’aggiudicataria non può giustificare un prezzo troppo basso facendo riferimento alla possibilità di ottenere ricavi da altre commesse collegate, o comunque a particolari situazioni produttive che non si riflettano nello specifico appalto. Ciò vuol dire che la remuneratività dell’offerta dev’essere: a) oggettiva, quindi verificabile in base ad elementi chiari; b) interna, ossia riferita allo specifico appalto che viene aggiudicato e non ad elementi esterni ad esso.