L’Italia è un paese virtuoso per quanto riguarda le emissioni, salvo che per un settore: la sanità. Sulle ragioni di questo deficit e su come tendere a un miglioramento della situazione, abbiamo interpellato Niccolò Cusumano, docente di Government Health and Non Profit Division, SDA Bocconi School of Management.
Qual è la situazione del nostro Paese sul fronte delle emissioni?
“In generale l’economia italiana è abbastanza in linea con gli impegni presi a livello europeo, a partire dal pacchetto climatico “Fit for 55”, adottato lo scorso 14 luglio, che contiene le proposte legislative per raggiungere entro il 2030 gli obiettivi del Green Deal e in particolare la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra del 55% rispetto ai livelli del 1990 per arrivare alla “carbon neutrality” entro il 2050″.
Qual è il quadro normativo?
“Oltre alla policy europea c’è il livello italiano, col Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima 2030 che dà indicazioni volte alla graduale riduzione delle emissioni che non riguardano nello specifico la sanità, la quale però rientra nel discorso più ampio del patrimonio immobiliare. Sono inoltre previsti target e obblighi di riqualificazione degli edifici della Pubblica Amministrazione (Pa) e il nostro Paese ha già reso disponibili strumenti come i titoli di efficienza energetica o certificati bianchi per sostenere la Pa in questo tipo di interventi: in sostanza in Italia sono già state fatte tante cose”.
E la sanità?
“Dai dati Eurostat, che consideriamo come una buona approssimazione, emerge che rispetto ad altri settori in cui l’Italia è più virtuosa, anche in confronto ad altri paesi europei, la sanità è l’eccezione. Complessivamente, cioè, l’economia italiana si comporta bene dal punto di vista delle emissioni per unità di valore aggiunto, ma il settore sanitario è in controtendenza”.
Nel periodo 2008-2019, le emissioni di gas serra per unità di valore aggiunto della sanità italiana, dopo un leggero declino, sono tornate ad aumentare, con un andamento superiore alla media europea
Come si spiega?
“Abbiamo un patrimonio molto vasto e vetusto: l’80% degli edifici della sanità è stato costruito prima del 1990. Inoltre bisogna pensare che la sanità non è solo il muro di cemento di un ospedale, ma anche grandi tecnologie, come ad esempio una macchina per la risonanza magnetica. E il patrimonio tecnologico della sanità nostrana è anch’esso piuttosto vetusto. Quindi, la sanità al momento non sembra stare al passo coi tempi. Non che sia la voce principale nel capitolo delle emissioni del paese: fatte 100, forse conta per tre. Però è il sottoinsieme che per la sua parte consuma ed emette di più”.
Electricity consumption in the health sector via Odyssee
Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) può aiutare da questo punto di vista?
“Rispetto alle prime versioni del documento, il discorso dei fondi per la riqualificazione energetica è stato abbastanza stemperato: alla fine si parla solo di antisismica e antincendio. Però in realtà si tratta di interventi che dovrebbero andare a ripagarsi da soli grazie all’uso del partenariato pubblico privato: l’impostazione data dal livello europeo è che laddove ci sono operazioni e progettualità in grado produrre risparmi energetici, meglio usare strumenti “PPP”. Ovviamente, questo sapendo che la partnership non ripaga tutto: una parte di capitale da parte dell’azienda sanitaria va messa comunque.
Ci sono anche strumenti come i Contratti di Prestazione Energetica (Epc) per il miglioramento energetico di un edificio o di un impianto. Ancora, bisogna tenere conto del fatto che, avendo l’Unione messo un grosso accento su questi aspetti, se si vogliono fare programmi con la Banca investimenti europea (Bei), affiancare al discorso della riqualificazione il tema ambientale renderà il progetto più vicino alla policy”.
Vede altri possibili punti su cui agire?
“Possiamo cominciare a discutere di inserire questi tra gli obiettivi dei direttori generali, al pari del privato”.