Errori in sanità e risk management: che cosa abbiamo imparato in questa pandemia

In questi due anni di pandemia ci si chiede se i costi legati ad errori nel settore sanitario siano lievitati in risposta all’emergenza sanitaria e se il SSN abbia imparato qualcosa di più nel campo del risk management e della prevenzione del rischio. Ne parliamo con l’avvocato Giuseppe De Marco

In questi primi due anni di pandemia ci si chiede se i costi legati ad errori nel settore sanitario siano lievitati in risposta all’emergenza sanitaria e se in questi 24 mesi il SSN abbia imparato qualcosa di più nel campo del risk management, della prevenzione del rischio. Ne abbiamo parlato con l’avvocato Giuseppe De Marco, esperto di diritto sanitario.

Quanto costano gli errori sanitari al SSN

Secondo il dodicesimo rapporto MedMal di MARSH, pubblicato nel 2021, parliamo di circa 1 miliardo e 461 milioni di euro dal 2004 al 2019, di cui il 53% si riferisce a importi liquidati al danneggiato. Il costo medio per sinistro risulta superiore a quanto calcolato nella scorsa edizione del report e supera i 100.000 € per singola pratica. Il liquidato medio è pari a 86.000 €. In media, ogni singola struttura sanitaria liquida all’anno circa 1.650.000 € per i sinistri.

Analizzando i costi medi per sinistro, spicca il valore degli errori da parto, che come osservato lo scorso anno supera i 400.000 euro. Anche gli errori terapeutici, le infezioni ospedaliere e gli errori diagnostici presentano valori superiori alla media, mentre gli errori legati a procedure invasive e chirurgiche sono associati a costi più contenuti.

Secondo quanto riporta il report, per via della pandemia si è registrato un balzo del numero di sinistri legati al Covid nei servizi sanitari di assistenza territoriale, passando dalle percentuali prossime allo 0 degli scorsi anni fino al 14% del periodo 2020-2021. Tra i servizi che hanno avuto maggiore impatto dal punto di vista delle richieste di risarcimento, anche per via dell’alto numero di contagi nelle Rsa, ci sono le lungodegenze, che hanno raggiunto quota 60% sul totale delle richieste relative al covid-19. Il report si concentra poi sull’aspetto delle infezioni ospedaliere o nosocomiali che negli anni scorsi sono risultate la complicanza più frequente e grave dell’assistenza sanitari: solo nel 2019 la loro incidenza, rispetto al totale dei sinistri in questo ambito, ha raggiunto lo 7,4 per cento. Una situazione che, stando ai dati, produce un notevole impatto, arrivando all’8,6 per cento dei costi delle aziende sanitarie in termini di prolungamento delle degenze.

De MarcoAvvocato De Marco, per quanto riguarda le richieste di risarcimento, ha notato un aumento dovuto al Covid?

Abbiamo registrato richieste di risarcimento, per danni presuntivamente correlati all’assistenza sanitaria prestata durante l’emergenza sanitaria, a seguito dei primi decessi di ospiti delle RSA, e diverse in seguito, considerando altre tipologie di errori attribuiti, anche sotto l’effetto mediatico delle notizie, all’organizzazione dell’assistenza sanitaria in genere. Il dato interessa sotto il profilo della tipologia di errore e di evento, considerato che si tratta di infezioni correlate all’assistenza, rispetto alle quali occorrerà, escludendo anche ipotesi di responsabilità, comunque rivedere e/o ampliare il modello di gestione del rischio sanitario.

Per quanto riguarda la responsabilità penale, sono state avviate le inchieste da parte di alcune Procure. Con riferimento alla responsabilità civile, la probabilità di contenzioso è reale da parte dei pazienti Covid, ma anche dei pazienti non Covid. Nello specifico possiamo pensare al contagio intra-ospedaliero, al ritardo diagnostico, all’ infezione, alla carente attività terapeutica, all’ inadeguatezza delle misure anti-contagio; non trascurerei anche la violazione del diritto all’autodeterminazione. I reparti di lungodegenza e le RSA sono stati e sono i settori più a rischio contenzioso.

A suo avviso c’è una buona cultura di risk management nelle strutture sanitarie?

Negli ultimi anni è stata registrata un’ attenzione crescente al tema del Risk management da parte delle strutture sanitarie, ma questo non ha inciso in modo significativo sul contenzioso, come ci si sarebbe aspettati. La legge n.24/2017 (Bianco-Gelli) ha puntato molto su un nuovo approccio, direi persino culturale, di gestione del rischio sanitario: la parola chiave oggi è la prevenzione, diversamente dal passato in cui il linguaggio e il percorso giuridico erano caratterizzati dalla “caccia al colpevole”. Una visione sistemica di gestione del rischio, evocativa di una concezione non più meramente difensiva, era già prevista dalle leggi, ma, a mio avviso, la pandemia determinerà l’accelerazione del nuovo corso di gestione dei rischi in ambito sanitario, orientato necessariamente a una gestione in ottica preventiva ma sempre più integrata.

E tutto questo vale anche per la sanità privata. Sotto questo profilo la Legge Gelli è molto chiara: all’implementazione e all’adozione dei modelli di Risk Management sono tenute le strutture pubbliche e private che erogano servizi sanitari e socio-sanitari.  Il valore strategico è rappresentato dalla conoscenza dell’organizzazione aziendale. Ciò favorisce quella gestione integrata e consapevole dei rischi cui accennavo prima. I rischi, prima di gestirli, vanno precisamente individuati e classificati.

Nella sua esperienza, quanta parte di queste richieste riguardo la COVID hanno seguito e quante sono archiviate?

Sottolineo intanto un aspetto che ritengo sia di non poco conto nell’analisi del contenzioso sanitario: il legislatore, anche per arginare il fenomeno della medicina difensiva e per ridurre il relativo contenzioso, da un lato si è proposto di “alleggerire” la posizione degli esercenti le professioni sanitarie (che rispondono penalmente solo in caso di imperizia, a meno che non dimostrino di aver rispettato le Linee Guida);  dall’altro, ha “dirottato” ancora di più la colpevolezza presunta su chi ha il dovere di organizzare l’erogazione di cure sicure, ossia le strutture sanitarie. Ciò porta, sul piano civilistico, alle richieste di risarcimento danni dei pazienti danneggiati nei confronti delle strutture e delle loro assicurazioni. Le richieste per danni da Covid non hanno avuto, almeno finora, tutte seguito; bisogna considerare, in ogni caso, che può passare del tempo (non coincidente con i termini propri di una diffida) tra la richiesta e l’instaurazione del giudizio. Come detto prima, le strutture sanitarie non sono favorite dall’onere della prova, ma ritengo che il nesso causale (il legame eziologico tra danno ingiusto e fatto illecito) possa essere davvero determinante; credo anche che debba esserci un più preciso banco di prova: quanto e cosa poteva esigersi realmente dalle strutture e, più in generale, dal SSN in emergenza.

Ci sono settori che ricevono più richieste di risarcimento di altri e da cosa può dipendere?

Gli errori chirurgici, terapeutici e diagnostici, sono certamente quelli che più incidono statisticamente sul contenzioso sanitario. Le unità operative con il maggior numero di sinistri sono solitamente chirurgia generale, ortopedia, pronto soccorso, ostetricia e ginecologia. Queste tipologie di evento impattano anche in modo maggiormente significativo sul costo dei sinistri per una struttura sanitaria. Significative sono anche le infezioni correlate all’assistenza; eventi trasversali, così come anche le cadute dei pazienti, rispetto alla tipologia di struttura, perché riguardano la gestione del rischio sia in ospedale sia nel regime residenziale delle cure e dell’assistenza.

La vera sfida, che molte aziende e strutture stanno già affrontando, con la collaborazione necessaria di tutte le competenze professionali interessate, è e continuerà a essere quella, a mio avviso, di coniugare il disegno del moderno modello di gestione del rischio sanitario in modo tale da garantire la sicurezza delle cure e attenuare le conseguenze economiche, e quelle afferenti la reputazione, prodotte dagli errori e dagli eventi avversi.

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Angelica Giambelluca
Giornalista professionista in ambito medico