Accesso immediato, gratuito e interoperabile ai propri dati sanitari in qualsiasi paese dell’Unione Europea. È questo uno dei principali cambiamenti introdotti dal nuovo Regolamento sull’European Health Data Space (EHDS), pubblicato lo scorso aprile nella Gazzetta ufficiale dell’UE. Il tema della sanità digitale è stato al centro della Giornata Europea dei Diritti del Paziente, organizzato a Bruxelles mercoledì 15 maggio da Active Citizenship Network – Cittadinanzattiva, con il patrocinio della Presidenza polacca del Consiglio dell’UE e del Garante polacco per i diritti dei pazienti, e con il sostegno del MEPs Interest Group “European Patients’ Rights & Cross-Border Healthcare.

A margine dell’evento, TrendSanità ha intervistato Fulvia Raffaelli, Head of Unit Digital Health, DG SANTE, presso la Commissione Europea: «Con l’EHDS si introducono nuovi diritti per tutti i cittadini europei, che potranno finalmente accedere ai propri dati clinici ovunque si trovino, senza costi e con garanzie rafforzate».
Il diritto all’accesso ai propri dati sanitari, oggi ancora frammentato o inesistente in molti Stati membri, sarà assicurato a tutti i cittadini dell’Unione. «Oggi i nostri dati sono sparpagliati tra ospedali, laboratori, medici di base – spiega Raffaelli – e spesso nemmeno nello stesso Stato membro è semplice ricostruire il proprio quadro clinico completo. Con l’EHDS, ogni cittadino avrà accesso a tutti i propri dati sanitari registrati elettronicamente, ovunque si trovi in Europa».
Non solo accesso: più trasparenza e più controllo
Non solo accessibilità. Il regolamento stabilisce anche il diritto a sapere chi accede ai propri dati e per quale motivo. «La privacy è tutelata – chiarisce Raffaelli – i dati non saranno disponibili indiscriminatamente, ma solo per i professionisti sanitari direttamente coinvolti nella presa in carico del paziente. Inoltre, ogni cittadino avrà anche il diritto di oscurare determinate informazioni sensibili, come ad esempio una diagnosi psichiatrica o una malattia sessualmente trasmissibile».
Il regolamento stabilisce anche il diritto a sapere chi accede ai propri dati e per quale motivo
Questo rafforzamento dei diritti individuali è accompagnato da un principio di interoperabilità: i dati potranno essere utilizzati dal cittadino anche per fini diversi dalla cura, come attività sportive o esigenze assicurative: «I dati saranno a sua disposizione, ma sempre sotto la sua responsabilità».
Tra gli esempi più concreti di impatto quotidiano, Raffaelli cita la possibilità di usare una prescrizione medica elettronica da un Paese all’altro. «Oggi, anche in Italia, ci sono ancora barriere tra regioni diverse. Il nuovo sistema permetterà, ad esempio, a un cittadino italiano in vacanza in Portogallo di ricevere i propri farmaci in una farmacia portoghese, semplicemente contattando il medico di base in Italia. È una vera rivoluzione per chi si muove spesso, ma anche per gli studenti Erasmus o i lavoratori transfrontalieri».
Il valore strategico dei dati per la salute pubblica
Ma perché i cittadini dovrebbero fidarsi e contribuire alla condivisione dei propri dati? La risposta è tanto semplice quanto cruciale: «Perché i dati sono il carburante della ricerca e della sanità pubblica – risponde Raffaelli –. Sono fondamentali per definire politiche di prevenzione, prepararsi alle crisi sanitarie e sviluppare nuovi farmaci o dispositivi. È importante chiarire che i dati utilizzati per usi secondari, come la ricerca o l’innovazione, non saranno resi disponibili in forma identificabile. Dovranno essere forniti in formato aggregato oppure anonimizzati o pseudonimizzati, nel rispetto di rigorose misure di sicurezza. La re-identificazione di una persona fisica è esplicitamente vietata dal Regolamento EHDS».
I dati sono il carburante della ricerca e della sanità pubblica, fondamentali per la prevenzione, le emergenze sanitarie e lo sviluppo di nuove terapie
Il nuovo impianto normativo crea quindi un quadro unico per tutta l’Unione, ma senza accentramento: «Non esisterà un mega-database europeo con i dati di tutti i cittadini. I dati rimarranno dove sono, sotto il controllo degli ospedali e delle autorità nazionali competenti, e potranno essere consultati solo nel rispetto di regole condivise, passo dopo passo, così come previsto dal testo del regolamento».
Dalla ricerca clinica alla solidarietà: un cambio di paradigma
Una novità culturale, oltre che tecnologica. «Oggi la maggior parte dei dati clinici proviene da pazienti già in cura. Ma se riuscissimo a coinvolgere anche persone sane, i dataset risultanti sarebbero più rappresentativi e completi, permettendo un uso dei dati più solido e scientificamente valido. E questo promuoverebbe le attività di prevenzione e una maggiore equità nella definizione delle politiche sanitarie».
L’EHDS introduce anche un principio etico di fondo: quello della solidarietà tra cittadini. Sottolinea Raffaelli: «Oggi sono sana, ma potrei ammalarmi domani. Condividere i miei dati significa contribuire a costruire una medicina migliore anche per me stessa in futuro».
L’innovazione sanitaria nasce anche dalla fiducia e dai dati condivisi
Una riflessione che, secondo Raffaelli, vale tanto quanto le garanzie tecniche: «Nel campo sanitario rischiamo di soffrire della stessa sindrome che vediamo nell’ambiente: tutti vogliono l’energia pulita, ma nessuno vuole la turbina nel proprio giardino. Qui è lo stesso: tutti vogliono la terapia innovativa, ma pochi sono disposti a condividere i propri dati. Questo atteggiamento va cambiato, anche con un’educazione civica alla salute». Da perseguire – come ha sottolineato Mariano Votta, Responsabile delle Politiche Europee di Cittadinanzattiva/Active Citizenship Network nelle conclusioni della Giornata Europea dei Diritti del Malato – anche con programmi pubblici di health literacy, che includano ovviamente la digital health literacy.

I prossimi passi
Sul fronte dell’implementazione, l’Unione è già in movimento. «Il 16 giugno c’è stata la prima riunione con gli Stati membri per avviare la fase dei decreti attuativi. Ci aspettano due anni di intenso lavoro per definire gli standard tecnici, tenendo conto dei progressi già fatti dai vari Paesi».
Nel frattempo, esiste già un’iniziativa volontaria, MyHealth@EU, che anticipa alcune delle funzionalità future: «L’Italia non partecipa ancora, ma sta lavorando per entrare nel sistema. È il modo migliore per prepararsi, perché ci sarà continuità tra la fase volontaria e quella obbligatoria».
E il futuro? «Spero che tra qualche anno l’EHDS diventi parte della nostra quotidianità, come è accaduto con l’abolizione del roaming – conclude Raffaelli –. Un tempo ci sembrava complicato, ora nemmeno ci pensiamo più. Magari ricordandoci con un sorriso che è stata l’Europa a renderlo possibile».