Premettiamo che il concetto di “mercato dei farmaci maturi” è senza dubbio molto vasto, sebbene piuttosto semplice da definire. Infatti, la definizione più immediata (e più diffusa) riguarda la scadenza della copertura brevettuale (prodotti off-patent): di fatto una “maturità” legale ma non necessariamente tecnologica. Ma anche accettando di seguire la definizione di maturità “legale”, non sarebbe corretto parlare di un unico mercato dei farmaci maturi, quanto piuttosto di un insieme di mercati caratterizzati da dinamiche in parte comuni e in parte specifiche.
Ogni categoria terapeutica e, in alcuni casi, anche le singole molecole, mostrano alcune tendenze specifiche di cui è importante tenere conto. È, quindi, importante sottolineare come ogni generalizzazione che parta dall’analisi dei singoli mercati sia problematica e potenzialmente distorta, così come è problematico “calare” su ogni singolo mercato le conclusioni tratte dall’osservazione dei dati aggregati.
Inoltre, una distinzione molto importante riguarda anche il canale attraverso cui il farmaco arriva al paziente: profonde differenze esistono infatti tra le dinamiche della spesa convenzionata, generata dal cittadino dietro prescrizione medica e mediata dalle farmacie aperte al pubblico, e quelle della spesa generata da acquisti pubblici, dove la domanda non è tipicamente generata dal singolo utilizzo ma è invece aggregata e rappresenta una potenziale leva di perseguimento di economie.
Partire dai numeri
Fatte queste premesse, possiamo riportare alcuni dati aggregati dal rapporto Nomisma 2021: a livello di farmacie convenzionate, nel 2020 il mercato per prodotti di fascia A off-patent a totale carico del servizio sanitario nazionale riportava valori pari a 6,5 miliardi di euro, superiori ai 3,3 miliardi del mercato per prodotti in-patent. È utile notare come nel 2010 i prodotti in-patent mostrassero un mercato pari a 8,6 miliardi e gli off-patent non superassero i 4,3 miliardi.
La riduzione di circa 3 miliardi in 10 anni è solo in piccola parte da imputare ad una riduzione dei consumi (-4% tra il 2010 e il 2020), il che indica come probabilmente il fattore trainante sia il prezzo
La riduzione di circa 3 miliardi in 10 anni è solo in piccola parte da imputare ad una riduzione dei consumi (-4% tra il 2010 e il 2020), il che indica come probabilmente il fattore trainante sia il prezzo, mentre è da segnalare un contributo crescente delle compartecipazioni. In queste ultime, la componente in crescita è rappresentata dal differenziale sul prezzo di riferimento mentre è costante diminuzione la componente obbligatoria regionale. Il differenziale rispetto al prezzo di riferimento ha una forte componente volontaria e vale circa 1,1 miliardi nel 2020 (il ticket fisso è fermo a 409 milioni).
Pur non pesando sul servizio sanitario nazionale, questa cifra indica che nel processo di prescrizione-mediazione della farmacia – acquisto, la percezione di equivalenza (parliamo infatti soprattutto di generici) e sostituibilità incontra tutt’ora delle frizioni: il valore del mercato dei generici è quindi inferiore al potenziale e, sebbene la loro quota sia in crescita, è pari a 2,1 miliardi sui 6,5 complessivi del mercato dei farmaci off-patent di fascia A a totale rimborso SSN.
Molto diverso è il caso degli acquisti pubblici, dove i prodotti maturi rappresentano il 66,7% dei volumi ma solo l’8,5% della spesa complessiva
Molto diverso è il caso degli acquisti pubblici, dove i prodotti maturi rappresentano il 66,7% dei volumi ma solo l’8,5% della spesa complessiva. Questo dato non sorprende particolarmente se si considera che è su questo canale che confluisce quasi per intero l’innovazione e i farmaci ad alto costo. Letto in tale prospettiva, questo dato testimonia la potenzialità del mercato dei farmaci maturi di produrre economie (due terzi dei consumi incidono meno di un decimo sulla spesa).
Tuttavia, anche in questo caso, sembra esserci uno spazio ancora non pienamente sfruttato: degli 801,6 milioni di spesa generata da prodotti off-patent, solo il 28,6% è relativo a farmaci non “branded”, che però rappresentano il 45% dei consumi. Questo potrebbe essere indice di un effetto-prezzo non completamente sfruttato ma è pur vero che, se la competizione tra prodotti branded e non-branded fosse efficace, tale differenza non dovrebbe esistere poiché un prodotto branded per risultare più competitivo del non-branded dovrebbe risultare più conveniente dal punto di vista economico.
L’ossessione del risparmio e le giuste domande
Questa riflessione ci conduce a una questione più profonda. Infatti, dai dati aggregati sembra esistere uno spazio non sfruttato per generare ancora maggiori economie, e una valida giustificazione che spesso viene addotta per giustificare l’eticità del perseguimento di maggiori risparmi su questi prodotti è quella secondo cui risparmiare sui prodotti maturi è premessa fondamentale nella generazione di risorse per accogliere l’innovazione. Naturalmente, tale giustificazione è del tutto condivisibile nello spirito, ma quantitativamente insufficiente.
Anche se il delta tra quota di consumi e quota di spesa fosse interamente imputabile ad un puro effetto prezzo, ipotizzando un mercato tutto al prezzo più basso si otterrebbe un risparmio molto inferiore alle risorse messe a disposizione ogni anno per i farmaci innovativi (che sono peraltro solo una parte dell’innovazione). La domanda più corretta da porsi è: un maggior risparmio è realisticamente possibile? E, in secondo luogo: un maggior risparmio è auspicabile a qualsiasi costo?
La risposta a queste due domande passa necessariamente per il metodo con cui gli acquirenti pubblici cercano di raggiungere maggiori economie nell’approvvigionamento dei farmaci maturi e per l’analisi di come i potenziali offerenti si comportano davanti a questi metodi. Innanzitutto è opportuno osservare che se il mercato non sembra essere perfettamente conteso ciò deriva dal fatto che probabilmente non è percepito come del tutto contendibile: in termini più semplici, è difficile immaginare che alcuni prodotti off-patent siano sistematicamente venduti tramite gara pubblica ad un prezzo particolarmente elevato senza che alcun generico o biosimilare si proponga come concorrente.
Quindi, o la ragione di tale evidenza risiede nel fatto che tali prodotti siano acquistati con sistemi diversi da quelli più concorrenziali (es. RDO, procedure urgenti, acquisti in deroga, ecc.), oppure semplicemente il prezzo osservato per quel prodotto è percepito già sufficientemente basso dai potenziali entranti da scoraggiarne l’ingresso. Mentre in quest’ultimo caso si può concludere che il mercato sia già efficiente di per sé, nel primo caso, è opportuno indagare le cause.
Infatti, per prodotti acquistabili con procedure aperte, in larga parte con lotti unici (eventualmente bilanciati accordi-quadro soprattutto per i biosimilari), ci si aspetterebbero mercati idealmente simili a quelli (teorici) perfettamente concorrenziali: infatti, in ogni mercato parliamo di prodotti altamente omogenei, con costi di produzione noti e molto bassi in termini marginali, con costi sommersi già ampiamente recuperati, informazione sufficientemente ampia e condivisa e con un numero di potenziali concorrenti –in teoria- piuttosto elevato.
Quello che si dovrebbe osservare è quindi un grado elevato di competizione, con molte offerte per lotto, sconti rilevanti e prezzi che gradualmente si allineano su un livello di minimo profitto. Ora, in molti mercati si osserva invece che gran parte dello sconto totale è già incorporata nella scelta della base d’asta (con punte vicine al 100% in determinate molecole), che il numero di offerte per lotto si riduce e che aumentano i lotti deserti (anticamera degli acquisti con procedure non ordinarie). Ma soprattutto si osserva una diminuzione del numero di imprese con lo stesso prodotto in portafoglio in grado di offrire sugli stessi lotti (quindi in concorrenza effettiva).
Questi fenomeni sono il risultato di un comportamento di acquisto particolarmente volto alla ricerca del risparmio immediato “ad ogni costo”
Questi fenomeni sono il risultato di un comportamento di acquisto particolarmente volto alla ricerca del risparmio immediato “ad ogni costo”, quindi con un continuo abbassamento della base d’asta che, gradualmente, esclude parte dei concorrenti finché questi non escono dal mercato, con il risultato di trasformare mercati prima parzialmente concorrenziali in oligopoli (o addirittura monopoli).
Le nostre risposte e i rischi che si corrono minando la fiducia
La conseguenza è che, se nel breve termine questo stratagemma porta dei risparmi effettivi, soprattutto dovuti alla volontà di un concorrente di sopportare per un certo periodo margini molto bassi (o addirittura negativi? Non si potrebbe…) per eliminare i concorrenti, nel medio termine e con un mercato più concentrato gli offerenti hanno vita più facile a mandare un lotto deserto, rifiutandone di fatto le condizioni. Per assicurare comunque il farmaco, allora, gli acquirenti devono ricorrere a procedure non ordinarie, dove il prezzo pagato è nuovamente molto più alto del potenziale prezzo concorrenziale.
Inoltre, un’altra pratica abbastanza diffusa è l’opportunismo sulle economie di scala: si mette a bando una grande quantità per stimolare l’offerta di prezzi unitari più bassi, ma poi la domanda effettiva (a quel prezzo) è molto inferiore, generando danni economici e sfiducia nelle imprese. Quindi, per rispondere alle nostre domande:
i) un risparmio effettivo maggiore non è necessariamente realizzabile, e se lo fosse è perseguita in modo controproducente e
ii) se il costo di un risparmio immediato è quello di generare oligopoli o monopoli che eliminano la concorrenza, allora no, non è auspicabile e rischia anche di distruggere capitale sociale.
Se si crea sfiducia, le due parti –acquirente e venditore- finiscono per contendersi in modo competitivo una torta sempre più piccola e che gradualmente si avvelena
Quest’ultimo punto è fondamentale: non bisogna trascurare la componente culturale che sottende all’interazione di mercato tra acquirenti pubblici e imprese private. Se questa interazione produce nel tempo sfiducia e una reciproca percezione di comportamenti opportunistici, questo è un fatto estremamente negativo, che fa sì che invece che trovare il modo per allargare la torta, fa soffermare le due parti –acquirente e venditore- sul contendersi in modo competitivo una torta sempre più piccola e che gradualmente si avvelena.