Le pazienti di sesso femminile e le persone di colore hanno maggiori probabilità di essere oggetto di diagnosi errate perché vengono prese meno sul serio quando espongono i propri sintomi fisici e psichici al personale sanitario. Ad affermarlo sono diverse ricerche pubblicate su riviste scientifiche. Fra queste lo studio del Journal of Woman’s Health, ripreso da un articolo del New York Times, che porta dati a prova del fatto che le cardiopatie vengono diagnosticate con maggior difficoltà alle donne, attribuendo la cosa alla difficoltà del sesso femminile di essere preso sul serio nell’esposizione dei sintomi. Il celebre quotidiano newyorkese denuncia il fenomeno parlando di “gaslighting” in ambito medico. Il termine, mutuato dal mondo della letteratura, si riferisce in generale ad una “manipolazione psicologica che, durante un lasso di tempo prolungato, induce la vittima a mettere in dubbio la validità dei propri pensieri, la propria percezione della realtà o dei ricordi e porta a confusione, perdita di sicurezza e autostima, incertezza delle proprie emozioni e salute mentale”.
Usata in contesti più ampi, come appunto quello medico, la parola gaslight è stata eletta come vocabolo dell’anno dalla casa editrice americana Merriam-Webster, che ha affermato che solo nel 2022 le ricerche sul dizionario del significato di questo termine siano cresciute del 1740%. Si tratta quindi di un fenomeno sempre più comune e riconosciuto. Entrato a tutti gli effetti a far parte anche del mondo sanitario.
Dall’ambito letterario a quello medico
Siamo di fronte al gaslighting medico quando un professionista della salute attribuisce a dei sintomi fisici cause psicosomatiche senza aver fatto ulteriori accertamenti. In taluni casi si tratta di diagnosi appropriate, poiché la mente gioca un ruolo fondamentale nelle determinazioni di moltissimi processi fisiologici.
La diagnosi però, per essere affidabile, deve essere fatta da un professionista della salute mentale, dopo l’esclusione di altri fattori che vanno indagati con test diagnostici specifici atti ad escludere cause organiche. I disturbi psicosomatici, d’altro canto, hanno una precisa manifestazione ed eziopatogenesi e non sono semplicemente sintomi fisici che non trovano riscontro con i più comuni esami medici. Ecco perché la diagnosi di un disturbo psicosomatico non può e non dovrebbe mai avvenire semplicemente per esclusione ad opera del medico di base o dello specialista, ma deve essere diagnosticata da un professionista della salute mentale.
Siamo di fronte a gaslighting medico quando un professionista attribuisce a sintomi fisici cause psicosomatiche senza aver fatto ulteriori accertamenti
“La tecnologia ha consegnato nelle mani dei medici tecniche diagnostiche sempre più precise e sofisticate e in grado di dare dati oggettivi sicuramente fondamentali – ha commentato il Dottor Enrico Zanalda, psichiatra e Presidente della Società Italiana di Psichiatria Forense –. Nulla però dovrebbe sostituire l’utilizzo del dialogo approfondito con il paziente. È il primo vero strumento in grado di decodificare correttamente i sintomi riportati dai pazienti”.
“L’ascolto è fondamentale per stabilire una relazione di fiducia che non può essere a senso unico – ha proseguito l’esperto –: il paziente si deve fidare del medico ma anche il medico deve ‘fidarsi’ del paziente, dando credito alle sue sensazioni nell’interpretazione dei sintomi che porta alla diagnosi, quest’ultima verrà confermata o meno dai dati derivanti dagli esami eseguiti a conferma o esclusione. È indispensabile però che il medico abbia la capacità di effettuare una lettura empatica della persona che si ha davanti per evitare di farsi fuorviare dai propri pregiudizi o dalla condizione emotiva del paziente”.
Quando la diagnosi è un problema di genere e di razza
Nell’opera di Patrick Hamilton “Gas Light”, che ha dato origine a questa nuova terminologia riferita al comportamento di chi, volutamente, non presta la giusta attenzione alle istanze emotive altrui allo scopo di screditarne la credibilità, le luci a gas (gas light) sono protagoniste della truffa psicologica ordita da un uomo nei confronti di sua moglie, con il preciso intento di convincerla di essere fuori di senno.
Il termine è stato immediatamente usato in psicologia per descrivere un determinato tipo di rapporto affettivo abusante all’interno della coppia. Le evoluzioni della lingua però hanno fatto sì che di gaslight si parli soprattutto in altri contesti. Come appunto quello medico.
Le pazienti di sesso femminile e le persone di colore hanno maggiori probabilità di essere oggetto di diagnosi errate perché vengono prese meno sul serio quando espongono i propri sintomi al personale sanitario
Secondo il New York Times le ricerche suggeriscono che gli errori diagnostici si verificano in un incontro su sette tra medico e paziente e che la maggior parte di questi errori è dovuta alla mancanza di conoscenze del medico. Ma le donne hanno maggiori probabilità di essere sottoposte a diagnosi errate rispetto agli uomini in una serie di situazioni.
“Sappiamo che le donne, e soprattutto le donne di colore, sono spesso diagnosticate e trattate dai medici in modo diverso rispetto agli uomini, anche quando hanno le stesse condizioni di salute”, ha dichiarato al NYTimes Karen Lutfey Spencer, ricercatrice che studia il processo decisionale in campo medico all’Università del Colorado di Denver.
Altri studi mostrano come le donne, rispetto agli uomini, siano costrette ad attese più lunghe quando si tratta di arrivare ad una diagnosi definitiva di patologie gravi come quelle tumorali in cui il fattore tempo è spesso decisivo. Sempre le donne ottengono meno facilmente la prescrizione di antidolorifici, soprattutto, suggerisce una ricerca dell’American Anthropological Association, se sono di colore.
I neri negli Stati Uniti sono fra la popolazione che più spesso viene descritta in ambito medico come “non collaborativa” durante la visita medica e questo, secondo le ricerche, può impattare negativamente sulla qualità dei trattamenti. Per questo nel 2019, la California ha approvato una legge che richiede agli ospedali di implementare programmi sui pregiudizi impliciti per tutti gli operatori sanitari che forniscono assistenza perinatale.
Sottolinea Zanalda: “Il medico nell’ascolto del paziente deve tenere conto del sesso, dell’età e della sua provenienza culturale. Ricordo come, nella visita di pazienti provenienti da altri paesi, sia necessario non un traduttore ma un mediatore culturale per il diverso significato che le stesse parole possono avere nelle due culture. Nell’esame delle persone con patologie mentali questa mediazione è complessa poiché l’espressività della depressione in alcune culture ad esempio è prevalentemente somatica. Anche l’ambito diagnostico ha rilevanza, come ad esempio per i disturbi del comportamento alimentare o nei casi di violenza sessuale. Sono stati istituiti dei codici colorati per indicare le procedure da attuare in queste situazioni. Il codice lilla per i disturbi sul comportamento alimentare e quello rosso per i casi di violenza sessuale. Oltre alle procedure per la presa in carico delle lesioni fisiche in questi casi si prevede l’intervento dello psicologo, oltre alle accortezze nell’esecuzione del colloquio con la vittima/paziente”.
Prosegue il presidente della SIPF: “La difficoltà dei medici non psichiatri nel corretto inquadramento di una sintomatologia psichica determina sovente la ripetizione di una trafila di esami al paziente. È un peccato dovuto ad un atteggiamento di difesa del medico che, non conoscendo il paziente, e talvolta non ascoltandolo con la dovuta attenzione per mancanza di tempo, si tutela per escludere cause organiche anche improbabili. Questa situazione è frequente nei Pronto Soccorso a cui i pazienti si rivolgono anche per situazioni non urgenti a causa della limitata capacità della medicina territoriale di fornire una risposta tempestiva. Con gli investimenti programmati per la realizzazione delle case di comunità si dovrebbe ridurre la necessità dei cittadini di ricorrere al Pronto soccorso per le situazioni non urgenti. Inoltre la conoscenza da parte del personale sanitario dell’utenza locale afferente facilita la comprensione e può ridurre le incomprensioni”.
Sintomi fisici o sintomi psicosomatici?
Sempre secondo la dottoressa Spencer, le donne hanno il doppio delle probabilità rispetto agli uomini di ricevere una diagnosi di malattia mentale. Le statistiche mostrano come il racconto del dolore fisico venga ricondotto ad un disagio psicologico con maggior frequenza se il paziente è di sesso femminile. Molti sintomi compatibili con malattie cardiache vengono quindi male interpretati e questo, secondo la dottoressa Spencer, spiegherebbe perché questa famiglia di patologie viene diagnosticata con maggior lentezza e difficoltà al gentil sesso.
“Le donne possono essere oggetto di diagnosi errate più spesso degli uomini, in parte perché gli scienziati conoscono molto meno il corpo femminile rispetto a quello maschile”, ha detto al NYTimes Chloe Bird, sociologa senior della Pardee RAND Graduate School che studia la salute delle donne.
Le statistiche mostrano come il racconto del dolore fisico venga ricondotto ad un disagio psicologico con maggior frequenza se il paziente è di sesso femminile
Negli Stati Uniti le donne in età fertile, infatti, sono state progressivamente escluse dagli studi clinici dal 1977 in poi dalla Food and Drug Administration. Il timore era doppio: che le tester arruolate, rimaste incinta, potessero subire danni ai feti e che le fluttuazioni ormonali potessero influire sui risultati. Oggi, grazie a una legge approvata nel 1993 che imponeva l’inclusione di donne e minoranze nella ricerca medica finanziata dai National Institutes of Health, le donne sono sistematicamente più incluse negli studi.
Spiega ancora Zanalda: “Nell’ascolto diagnostico tradizionale del medico a volte vi è una sottostima della causa psicologica dei sintomi e della condizione emotiva del paziente. Anzi, molti medici tendono ad avere quasi fastidio per eventuale ansia o depressione del paziente che li potrebbe confondere nel loro ragionamento clinico e indurli in errore”.
Gaslighting o malasanità?
Secondo gli psicologi c’è una grande differenza fra l’aver subito gaslighting medico ed essere stati vittima di più comune forma di negligenza medica. I casi di malasanità si verificano quando, nonostante il paziente si sia rivolto a strutture ospedaliere e specialisti, non ottiene la diagnosi corretta in un tempo ragionevole o utile alla cura perdendo anni di salute o la sua stessa vita. Si tratta di un errore umano, dovuto a incuria o ad ignoranza. Non imputabile ad una precisa volontà di sminuire i sintomi del paziente.
Gli episodi di malasanità nascono da errore umano, non dalla volontà precisa di sminuire i sintomi del paziente
Il gaslighting, che può portare ugualmente a non ottenere una diagnosi corretta, avviene in presenza anche di altri fattori quali:
- la negazione di sintomi debilitanti;
- l’attribuzione dei sintomi a problemi psicologici non meglio identificati o indagati;
- il rifiuto di prescrivere ulteriori accertamenti per sfiducia nella capacità del paziente di esporre le sue reali problematiche;
- l’esercizio abusivo di una presunta autorità medica di fronte ai tentativi del paziente di farsi una autodiagnosi per la quale viene ridicolizzato e schernito;
- la normalizzazione del dolore;
- l’accusa di una eccessiva tendenza a lamentarsi o l’incapacità di sopportare il dolore del paziente il quale starebbe reagendo in modo eccessivo alle sue personali sensazioni.
Tutto questo, se messo in atto da un medico professionista, innesca un meccanismo due volte pericoloso.
Il paziente non si fida più di sé stesso e delle sue sensazioni. La persona malata smetterà di cercare una soluzione ai propri sintomi, provando a convincersi del fatto che siano normali o inevitabili.
Nel migliore dei casi questo abbasserà di molto la qualità di vita del paziente vittima di gaslighting, portando al sorgere di veri e propri sintomi psicosomatici, di ansia o depressione. Cosa che contribuirà ulteriormente a svalutare la rilevanza fisica dei sintomi agli occhi del personale sanitario che si troverà di fronte ad un quadro clinico inevitabilmente più complesso e stratificato. Nel peggiore dei casi il paziente non verrà trattato nei modi e nei tempi corretti, pregiudicando gravemente la propria salute.