In Italia non sono ancora arrivate, ma è questione di tempo. Da questa primavera in Parlamento esiste un intergruppo dedicato alla sanità digitale e alle terapie digitali: queste ultime saranno una delle sfide dei prossimi anni.
Secondo il report di monitoraggio delle terapie digitali (DTx) che è stato presentato nel mese di ottobre in Senato, emerge come nei soli Stati Uniti il valore del mercato delle DTx abbia superato i 2 miliardi di dollari. Dei quasi 300 studi clinici registrati a livello globale sulle terapie digitali, la maggior parte (69%) riguarda lo sviluppo di applicazioni per lo smartphone, ma una parte significativa è orientata allo sviluppo di videogiochi (7,5%) e di sistemi di realtà virtuale (2,4%).
Mentre l’Italia attende di capire quale sarà il quadro normativo nel quale inserire le DTx, esiste anche nel nostro Paese una fiorente ricerca e sviluppo di videogiochi da utilizzare in ambito clinico e sanitario.
Coinvolgere i pazienti
“Per raggiungere l’obiettivo, è importante riuscire a bilanciare la componente scientifica con quella del coinvolgimento dell’utente – afferma a TrendSanità Fabio Viola, game designer che ha realizzato anche videogame utilizzati in ambito sanitario -. È poi importante mantenere i presidi intermedi: medici o infermieri che possano aiutare le persone a muoversi all’interno di questi mondi. Per questo sarebbe importante introdurre una formazione minima in questo senso all’interno dei corsi di laurea sanitari”.
L’alfabetizzazione digitale imposta dal Covid ha contribuito ad abbattere molte delle barriere culturali caratterizzanti il nostro Paese. Tuttavia, per garantire l’equità di accesso a tutti, è importante prevedere una forma di accompagnamento per chi non è ancora a proprio agio nell’utilizzo di questo linguaggio.
“Io mi occupo di tecniche di coinvolgimento e mi è successo di essere chiamato a partecipare a progetti legati al benessere o all’ambito medicale – prosegue Viola -. Il lavoro avviene ovviamente in team multidisciplinari. L’area della salute è particolarmente interessante perché stimola la contaminazione di mondi molto diversi”.
Tra le esperienze sviluppate in Italia, quella di Brave Potions, un progetto dedicato ai bambini: “Mi chiesero una consulenza su come migliorare gli aspetti di coinvolgimento per ridurre le paure dei bimbi durante una visita medica. Di fatto si trattava di un’App scaricabile dai piccoli pazienti che potevano scegliere il supereroe da impersonare. L’aspetto interessante era che lo studio medico o l’ospedale si poteva abbonare e ricevere dei kit fisici e digitali:in questo modo, quando il bambino o la bambina entrava nello studio, trovava uno storytelling legato al suo personaggio, perché il medico sapeva chi stava per entrare. La visita si concludeva con la consegna di una figurina che sbloccava contenuti aggiuntivi grazie a un qr-code”.
Un altro utilizzo di questi strumenti riguarda l’alfabetizzazione su un tema: è quanto si proponeva il progetto RESTORE, finanziato grazie ai fondi europei Horizon 2020. “In questo caso il focus era sulle CAR-T – ricorda Viola – e l’intenzione era utilizzare il videogioco come strumento di sensibilizzazione sulle nuove terapie, ma più in generale su cosa significhi essere colpiti per esempio dalla leucemia. Si tratta di un gioco, ma al suo interno si trovano veri diari clinici e cartelle cliniche reali”.
Il gaming come welfare pubblico
Il passaggio successivo, per gli esperti, è dimostrare come il gaming possa essere considerato anche una forma di welfare pubblico. “Non è l’associazione primaria che ci viene in mente quando pensiamo a un videogioco, che oggi ha un carattere ancora prevalentemente commerciale, di intrattenimento e ludico, però ci sono una serie di progetti che negli anni hanno generato dei paper mostrando come su vari livelli motivazionali e a volte anche su varie patologie il videogioco stia intervenendo per migliorare gli outcome”, afferma Viola.
Un esempio celeberrimo è Endevor RX, che è stato il primo videogioco utilizzato come puro strumento medicale e approvato nel 2020 dalla FDA per il trattamento della sindrome dell’attenzione, diventando quindi una terapia digitale, da utilizzare dietro prescrizione medica.
Esistono paper che dimostrano che su vari livelli motivazionali e a volte anche su alcune patologie il videogioco migliora gli outcome
La ricerca in quest’ambito è florida e a breve vedranno la luce videogame per trattare l’insonnia, alcune forme di irritazione del colon, alcuni sintomi associati alle chemioterapie, o alcune forme di dipendenze.
“Ci sono poi casi nei quali il videogioco è usato per il benessere o per stimolare l’adesione a protocolli medici – rileva il game designer – Un forte tasso di coinvolgimento e delle ‘spinte gentili‘ possono favorire certi comportamenti su alcune classi di pazienti. Pensiamo per esempio ai videogiochi che portano gli utenti fuori di casa spingendoli a camminare e andando contro quello che sembra essere lo stereotipo del videogame che ti tiene chiuso in casa”.
Un Minecraft personalizzato
Un altro esempio di videogame sviluppato in Italia è StomyCraft, un gioco pensato per i bambini stomizzati.
“L’idea è nata nel 2021 all’interno dell’associazione FAIS che si occupa di queste tematiche – spiega Nicola Caione, responsabile all’interno del gruppo dei progetti di innovazione e ideatore di StomyCraft – Da uno studio di mercato abbiamo capito che potevamo personalizzare Minecraft rendendolo adatto al nostro target”.
Minecraft è un videogioco di avventura tra i più diffusi al mondo: FAIS si è rivolta a esperti che hanno modificato i personaggi, aggiungendo il sacchetto che caratterizza la persona stomizzata.
“Serve per creare consapevolezza della situazione e far sì che il bimbo possa fare una vita normale (sconfiggere il drago o costruire il castello), tenendo conto della sua condizione”. L’altra modifica riguarda infatti una barra aggiuntiva che indica il livello di riempimento del sacchetto: accanto a quella che misura i livelli di energia, infatti, questa serve per gestire al meglio l’alimentazione: “Ci sono alcuni cibi che vanno bene, mentre altri possono dare dei problemi. In questo modo il bambino impara a distinguerli e capisce come comportarsi anche nella vita reale”.
Il target di questa versione del gioco sono i bambini tra i 6 e i 13 anni e la diffusione del gioco è filtrata: “Il videogame è su un server controllato da noi: non può giocarci chiunque”, afferma Caione. Questo per ridurre la possibilità di cyberbullismo e perché a breve partirà uno studio scientifico in collaborazione con gli ospedali pediatrici Gaslini di Genova e Meyer di Firenze volto proprio a indagare i benefici del gioco.
“L’obiettivo è capire se questo approccio gamificato migliora la capacità del bambino di fare self care, quindi di curarsi da solo, se accresce la sua accettazione e la sua qualità della vita – spiega Caione -. Ci sono degli studi sul self care dei pazienti che però non riguardano l’utilizzo del gioco”.
Il 2024 per il progetto, che ha vinto diversi riconoscimenti nell’ambito dell’innovazione digitale, sarà l’anno del test sul campo: “Dobbiamo farlo provare alle famiglie, abbiamo contatti con le associazioni pazienti di bambini che hanno queste patologie dell’apparato digerente ed è importante allargare il bacino – ricorda Caione – In questo momento stiamo accettando le richieste anche di bambini non stomizzati: da una parte dobbiamo far provare il gioco per scoprirne i bug, dall’altra è utile per chi, pur non avendo questo problema, ha un compagno o un amico stomizzato. Spesso il sacchetto è nascosto dai vestiti e la disabilità diventa invisibile: nel gioco tutto è vissuto in modo molto naturale”.