“La fisioterapia in tutti i luoghi di vita” è il tema proposto dalla FNOFI (Federazione Nazionale degli Ordini della professione sanitaria di Fisioterapista) come filo conduttore della Giornata Mondiale della Fisioterapia 2023, a cui i 38 ordini territoriali, insieme ad AIFI (Associazione Italiana di Fisioterapia), hanno aderito per sottolineare il valore aggiunto alla qualità di vita che tale professione assicura.
È il 1996 quando la WCPT (World Confederation for Physical Therapy) stabilisce nella data dell’8 settembre la Giornata Mondiale della fisioterapia, con l’obiettivo di celebrare e sensibilizzare cittadini e operatori sanitari sul ruolo dei fisioterapisti nella gestione della salute pubblica.
Mai come quest’anno, a un anno di distanza dall’istituzione e dal riconoscimento degli Ordini della professione sanitaria dei Fisioterapisti, la ricorrenza di settembre è un’occasione importante per ricordare e promuovere il contributo dei fisioterapisti nei confronti della salute degli italiani in tutti i luoghi di vita.
Ricorrenza che è stata celebrata da FNOFI in collaborazione con AIFI con un workshop organizzato presso il Ministero della Salute, alla presenza di rappresentanti istituzionali, pazienti e clinici.
Ad aprire la discussione Piero Ferrante, Presidente FNOFI che ha ricordato “la nascita della casa comune dei fisioterapisti, con la fondazione nel 2022 del nostro Ordine professionale e l’importanza di riflettere insieme ai cittadini e agli specialisti dei vari ambiti clinici sul futuro della nostra professione”.
Ad oggi gli Ordini dei fisioterapisti (OFI) sono 38, con 70.388 iscritti. Sono realtà “che si confrontano e fanno proposte sulla professione e sulla relazione con i cittadini e gli altri operatori sanitari per la promozione della qualità della vita, ovunque c’è un bisogno fisioterapico: dagli ospedali, alle RSA, alle case, ai centri sportivi, cioè in tutti i luoghi della vita”.
Simone Cecchetto, Presidente AIFI, ha sottolineato l’importanza delle “linee guida e delle buone pratiche di una scienza che si è sviluppata nei diversi campi della medicina, come la fisioterapia muscolo-scheletrica, quella neurologica, del pavimento pelvico, cardiorespiratoria e così via. Non solo, ma ha sviluppato competenze anche in campo pediatrico ed è accanto agli atleti per il recupero e il miglioramento della performance sportiva. Senza dimenticare gli anziani, per favorire l’invecchiamento sano e attivo. La fisioterapia si sviluppa poi di pari passo anche con la medicina di genere, nel rispetto delle diversità e di trattamenti calibrati sulla persona. È importante informare i cittadini sulle buone pratiche e migliorare la loro qualità di vita, è questo ciò che facciamo”.
Nascita dell’Ordine come punto di partenza e non di arrivo
È così che ha esordito Mariella Mainolfi, DG delle professioni sanitarie del Ministero, “per intercettare i bisogni dei fisioterapisti e dei cittadini e dare voce ai pazienti ma anche ai clinici. La fisioterapia è una professione ‘silenziosa’, è accanto al cittadino per migliorare la sua qualità di vita. Pensiamo solo all’invecchiamento costante della popolazione e a quanto è importante favorire l’autosufficienza per gli anziani, ma anche accompagnare tutte le fasi della vita”. Mainolfi ha ribadito la disponibilità del Ministero della Salute a fornire il massimo supporto a una professione che va sempre più consolidata nel territorio. “E c’è sempre margine di crescita, poiché c’è davvero bisogno di fisioterapisti, come prevede anche il PNRR con le Case di comunità, in cui la multidisciplinarietà con le altre figure sanitarie diventa essenziale”.
I giovani sono sempre più attratti da questa professione: il numero degli iscritti è passato da 1.928 nell’AA 2020-21 a 2.250 nel 2022-23
Ha precisato inoltre Mainolfi: “I giovani sono sempre più attratti da questa professione. Basti pensare che il numero degli iscritti è passato da 1.928 nell’AA 2020-21 a 2.250 nel 2022-23. È quindi nostra intenzione aumentare il numero dei posti disponibili. Occorre quindi riflettere sugli scenari futuri di questa professione e sulla sinergia da mettere in campo con le altre competenze sanitarie, per lavorare insieme e mettere al centro il paziente e il suo bisogno di salute, grazie a un approccio interdisciplinare, perché la diversità è una ricchezza”.
Tecnica ed empatia: due armi vincenti
Il workshop organizzato al Ministero ha visto la partecipazione tra i relatori anche di due pazienti, per portare al tavolo della discussione il punto di vista, fondamentale, di chi riceve i trattamenti. Con la condivisione della loro storia sul lungo percorso fisioterapico seguito per diversi problemi fisici, hanno consentito di mettere in luce il ruolo del fisioterapista nella quotidianità del paziente e il suo supporto per raggiungere i migliori risultati possibili per il recupero e il benessere.
È l’empatia, la solidarietà umana, a “tirare fuori” la giusta motivazione ad andare avanti e a migliorare
Ciò che ha accumunato queste due diverse esperienze di malattia e di intervento fisioterapico è l’aver evidenziato quanto conta l’empatia del fisioterapista nella riuscita del percorso riabilitativo. È l’empatia, la solidarietà umana a “tirare fuori” la giusta motivazione ad andare avanti e a migliorare. L’umanità e il sapere tecnico sono l’arma vincente del fisioterapista.
L’esperienza dei clinici
Non è mancato l’apporto e il punto di vista dei clinici. Innanzitutto con la presenza della reumatologa Daniela Marotto, Presidente CREI, che ha sottolineato l’importanza della collaborazione con tutte le altre professioni sanitarie e di mettersi all’ascolto del paziente, partendo proprio dal paziente per una corretta diagnosi e terapia: è sempre più necessario “partire dal territorio. Le malattie reumatologiche sono croniche ed è importante certamente passare per il centro di specializzazione, ma è a casa che il paziente deve essere curato, laddove possibile, occupandosi del suo bisogno di salute. Perché, come afferma l’OMS, la salute non è solo assenza di malattia ma è uno stato di benessere complessivo. Per questo diventa importante ascoltare i bisogni del paziente in tutta la sua complessità, così come è importante l’interazione delle figure sanitarie, per mettere a disposizione le nostre competenze. Il medico fa la diagnosi ma è il fisioterapista che poi deve insegnare al medico cosa può fare con quel paziente. Le patologie reumatologiche, ad esempio, hanno un alto tasso di comorbilità, anche oncologica, per questo è sempre più urgente creare team multidisciplinari composti da oncologi, reumatologi, fisioterapisti, ma anche nutrizionisti e psicologi. Perché investire sulla salute del cittadino vuol dire anche ridurre i costi pubblici”.
L’OMS e l’infermiere territoriale. E il fisioterapista?
Serve sicuramente il fisioterapista nel territorio – approfondisce Marotto – “lo dice il PNRR, ma ancora non si è riusciti a realizzare questo obiettivo concretamente. Ciò che conta è che il cittadino trovi tutte le figure professionali vicino al proprio domicilio e va preso in carico in tutti i suoi bisogni, che non sono solo l’assenza di malattia, perché c’è anche la sfera emotiva, psicologica e sociale. Bisogna dare salute e lo possiamo fare solo attraverso figure sanitarie che collaborano insieme. Medico di base e infermiere territoriale devono avviare il paziente in un percorso che non può non prevedere anche la fisioterapia. E non bisogna lavorare solo alla comparsa della malattia o del disturbo, ma farlo preventivamente, educare il paziente a gestire la propria salute. Insegnare come prevenire il danno. Sembra molto semplice, eppure pare una visione ancora lontana, anche se le risorse ci sono, ma maldistribuite e mal utilizzate.
Quindi, occorre puntare sul territorio, conoscerlo e gestirlo con efficacia. L’ospedale serve per gestire i pazienti acuti, che hanno bisogni complessi, gli altri possono essere seguiti sul territorio che diventa una risorsa anche per il SSN.
Occorre puntare sul territorio, conoscerlo e gestirlo con efficacia
Serve lavorare nella direzione in cui più professionisti, con le loro competenze, si mettono al servizio del paziente, assicurando salute. In questo senso mi piace recuperare ciò che dicevano gli antichi greci, in cui la terapia era una “messa a servizio”. Creare percorsi strutturati in cui il paziente non è abbandonato a se stesso. L’ultimo convegno nazionale CREI è nato proprio all’insegna della multidisciplinarietà, chiamando professionisti delle diverse specialità medico-sanitarie, dagli infermieri ai fisioterapisti, affinché potessero fornirci le loro conoscenze”.
Fisioterapia in oncologia
L’intervento di Gianni Amunni, Direttore Scientifico ISPRO (Istituto per lo Studio e la Prevenzione Oncologica), torna a parlare dell’importanza della fisioterapia nelle malattie oncologiche e della collaborazione tra operatori sanitari, soprattutto dopo una diagnosi di cancro, le cui terapie possono essere invalidanti.
“La fisioterapia e la riabilitazione in generale vanno di pari passo con i grandi risultati che l’oncologia ha ottenuto, è onesto ribadirlo. Parlare di fisioterapia in oncologia vuol dire dare un grande valore comunicativo, perché si porta dietro messaggi come quello che di cancro si può guarire e che c’è una vita da recuperare dopo una diagnosi oncologica. Prevenzione e trattamento sono le parole chiave, in cui il fisioterapista, ad esempio, è fondamentale nel controllo del dolore e nella gestione della faticabilità, che accompagna il paziente oncologico in buona parte del suo percorso.
La fisioterapia ha poi un grande valore legato al controllo dei sintomi, degli effetti dei trattamenti chemio e radioterapici. Ha poi diverse funzioni, preventiva, ristorativa, supportiva o palliativa. Ma l’obiettivo su cui potremmo lavorare insieme è quello della pre-riabilitazione che può intervenire in quel lasso di tempo che va dalla diagnosi al trattamento. Il percorso diagnostico diventa quindi un momento utile per intervenire. Ogni paziente oncologico dovrebbe avere la valutazione di figure che ritengo fondamentali: fisioterapista, psiconcologo e nutrizionista. Sono tre supporti fondamentali, perché ci dimentichiamo sempre che la qualità di vita è un fattore di prognosi: meglio sta il paziente, maggiori sono le possibilità di cura e di guarigione.
La qualità di vita è un fattore di prognosi: meglio sta il paziente, maggiori sono le possibilità di cura e di guarigione
Certo la realtà non è rosea, ma pensando al presente, il mondo dell’oncologia e quello della fisioterapia dovrebbero adoperarsi insieme per valutare fin da subito il bisogno riabilitativo del paziente, lavorando in un “triage” del bisogno. I fisioterapisti dovrebbero essere una figura istituzionale dei gruppi multidisciplinari oncologici e non solo un’opzione. Ogni paziente oncologico ha il diritto di essere valutato contestualmente dai professionisti che gestiranno il suo percorso. In questo, anche la telemedicina potrebbe essere uno strumento utile, così come spostare alcuni trattamenti oncologici sul territorio”.
Il fisioterapista in Italia, tra presente e futuro
A che punto siamo in Italia? Quali prospettive si aprono per la professione e come dovranno agire le figure sanitarie? Così ha risposto Melania Salina, Vicepresidente FNOFI: “Ogni professione ha senso se fa qualcosa per la società, altrimenti se non cresce e non si sviluppa non serve celebrarsi. Ma soprattutto, prima o poi, sparisce. Che cosa è necessario fare? Facciamo un passo indietro. Come nasce la fisioterapia? È una disciplina che ha più di un secolo e nasce per tenere sana e abile la popolazione. Siamo nati in Inghilterra, durante la prima guerra mondiale per sistemare i feriti e rimandarli al fronte. Corpo come macchina e fisioterapista come meccanico che l’aggiusta. È forse in quei momenti che abbiamo cominciato a ragionare su come funziona il corpo, che non siamo solo ossa e muscoli da rimettere in movimento. Nel tempo siamo cresciuti, oggi siamo la terza professione nel mondo perché capace di dare risposte di salute alla società. Non è un caso che cresce la domanda per diventare fisioterapisti, per 1 posto abbiamo 10 domande”.
“Potremmo allora continuare così – ha proseguito Salina. Ma i tempi sono cambiati, la riabilitazione non può essere quella di 50 anni fa, ma anche di 30 anni fa. Quindi, come ci si rimette in gioco?
Il primo passo da fare è uscire dalla visione meccanicistica del corpo e delle malattie e guardare alla persona, essere in empatia che, al di là della tecnica, aiuta la capacità di recupero. È un lavoro di squadra ma il fisioterapista può aprire quella porta che consente di entrare in contatto con una persona che ha bisogno di sentirsi umanamente compresa. Sintonizzazione come chiave di accesso alla soluzione che non si può trovare se non si ascolta la persona, che è il miglior esperto del suo problema. Serve un’alleanza con il paziente. Nessuno basta da solo, ciascuno porta un pezzettino e tutti insieme si lavora in sinergia”.
Anche per questo Salina ha dato appuntamento a dicembre, quando si terrà il primo Congresso nazionale insieme alle società scientifiche, con rappresentanti da tutto il mondo, riuniti con l’obiettivo di ragionare insieme e dare risposte alle persone e ai luoghi di vita, semplificando la strada per i cittadini.
Ha chiuso la giornata il Presidente Ferrante, con un nuovo impegno per la professione: “L’OMS ci ha fornito un dato poco roseo, in cui la metà dei cittadini italiani richiede cure riabilitative. Parliamo di circa 30 milioni di persone. Come possiamo dare le giuste risposte ai bisogni di salute, se prima non si ha un quadro chiaro di queste necessità? Il nostro impegno sarà quindi quello di riuscire a mappare questi bisogni. Lanceremo una campagna informativa capillare per raggiungere tutti i cittadini e le istituzioni. C’è un sommerso di cure perse, c’è un sistema che ha bisogno dei fisioterapisti, per questo abbiamo il dovere di dare queste risposte”.