I giudici amministrativi alle prese con lo switch tra originatore e biosimilare: un inevitabile passo in avanti

Per la prima volta i giudici amministrativi sono stati chiamati ad affrontare specificamente il tema dello switch tra farmaco originatore e biosimilare. Il T.A.R. per il Piemonte ha infatti recentemente (sentenza n. 217 del 14 febbraio 2018) confermato la legittimità delle linee guida che l’amministrazione regionale aveva predisposto sull’uso dei biosimilari nelle aziende del servizio sanitario, tra cui figura la possibilità che il medico valuti, appunto, lo switch verso il biosimilare in pazienti che abbiano già dato una buona risposta clinica e le cui condizioni risultino stabilizzate.

Finora il tema era rimasto esclusivamente di competenza medica, per le chiare implicazioni di sistema che esso può comportare: giudici e autorità regolatoria si erano finora astenuti dall’esprimere indicazioni generali sullo switch, demandando anzi alla valutazione caso per caso del clinico l’opportunità, nell’ambito del complessivo trattamento terapeutico, di sostituire un farmaco originatore con un biosimilare.

Queste cautele erano state poste alla base dell’ormai risalente elaborazione giurisprudenziale del Consiglio di Stato, culminata nella nota sentenza della Sezione Terza n. 3572 del 13 giugno 2011. In un momento storico, scientifico, giuridico che ancora era alla ricerca di una regolamentazione idonea per una realtà tutto sommato nuova, quella dei biosimilari appunto, saggiamente la magistratura amministrativa era giunta ad un punto di equilibrio, all’epoca innovativo: la continuità terapeutica è stata indicata quale limite oltre il quale non è opportuno che siano le norme ad intervenire, perché campo di esclusiva competenza medica.

Neppure AIFA, nel Position Paper del 2013 e nel secondo Concept Paper del 2016, aveva ritenuto di prendere una posizione al riguardo, allineandosi all’elaborazione dei giudici amministrativi. Poco coraggiosa, forse, la decisione dell’autorità regolatoria, soprattutto se comparata a quella di altre autorità nazionali omologhe nell’Unione Europea, che al contrario si erano espresse chiaramente per un generale switch, sempre ovviamente sotto controllo medico. Eppure comprensibile, in un momento in cui ancora l’approfondimento scientifico doveva maturare appieno.

Il tema dello switch

Tuttavia, quasi otto anni sono trascorsi da quella sentenza; anni nei quali il mondo scientifico, e poi regolatorio, si è ovviamente concentrato sull’aspetto ancora da decifrare dei biosimilari: lo switch.

Nel corso del 2017, le imprese farmaceutiche europee e mondiali sono intervenute apertamente nel dibatto, a dimostrazione del fatto che il tempo era ormai giunto perché l’argomento fosse trattato senza alcun pregiudizio od ostracismo.

Di qui, necessariamente, l’esigenza di rivedere il punto di equilibrio tracciato da quella prima giurisprudenza, e di aprire una nuova fase giurisprudenziale, che ne ricercasse uno nuovo, inclusivo delle problematiche connesse con lo switch.

L’approccio metodologico da cui muove il T.A.R. torinese è perfettamente condivisibile: la soluzione giuridica del tema non può che conseguire alle valutazioni della scienza medica rispetto alle possibilità tecniche, all’efficacia della prosecuzione della terapia e alla sicurezza per il paziente. Il giudice però non può che constatare un dato di fatto: nonostante il tema dello switch nei farmaci biologici sia oggetto di attenzione da ormai molti anni, non esiste alcun documento tecnico-scientifico che dimostri un divieto categorico di somministrare a pazienti non naïve farmaci biotecnologici diversi da quelli utilizzati all’inizio della terapia.

Questa stessa ragione, a ben vedere, ha fondato la più risalente impostazione del Consiglio di Stato e della stessa AIFA, che – rilevando appunto l’inesistenza di approdi scientifici certi in un senso e nell’altro – rimettevano la decisione circa la sostituzione al singolo medico prescrittore e al singolo caso di specie, posto che le reazioni derivanti dal mutamento del farmaco utilizzato per la terapia possono variare da paziente a paziente.

Il rapporto tra continuità terapeutica e switch terapeutico

La visione da cui muove il T.A.R. del Piemonte è però del tutto innovativa, nel senso più genuino del termine: anziché limitarsi ad applicare l’approdo tradizionale, ha affrontato il tema da altro angolo prospettico. Ha, cioè, compiuto quell’inevitabile passo in avanti: ha affermato una regola generale di sostituibilità (non automatica, s’intende, ma sempre rimessa al medico) tra farmaci biotecnologici a terapia in corso, purché corredata da nuove cautele, tutte di fatto riconducibili a quel ruolo primario che il medico, assieme al suo paziente, devono poter esercitare.

Il rapporto tra continuità terapeutica e switch terapeutico non è dunque più necessariamente quello che corre tra regola ed eccezione: si tratta ora di due regole generali, sebbene opposte, aventi pari dignità. La scelta tra l’una e l’altra è rimessa alla valutazione del medico.

È tutta qui la rivoluzione copernicana che apre una nuova fase giurisprudenziale.

La soluzione giuridica consegue alle valutazioni della scienza medica

La continuità terapeutica, che pure nessuno intende depotenziare, non può però diventare il baluardo inespugnabile dietro cui trincerarsi per giustificare tout court la prosecuzione della terapia con un farmaco più costoso. In altre parole, il medico dovrà valutare costantemente l’appropriatezza della prescrizione, non solamente nel momento iniziale della terapia, ma per tutta la durata del trattamento. E dovrà verificare se le condizioni cliniche del paziente non consentano la sostituzione del farmaco iniziale con altro meno costoso.

Occorre essere molto chiari su questo ultimo punto: non è corretto ridurre il tema ad una sola questione di risparmi. Naturalmente, le Regioni perseguono tale obiettivo e non è in dubbio che il risparmio annuo ottenibile nel campo dei farmaci biotecnologici dall’introduzione sul mercato dei biosimilari possa essere davvero molto consistente. Ma nessuna Regione si pone nell’ottica del risparmio in quanto tale; il risparmio che gli enti del servizio sanitario ricercano è soltanto quello ottenibile senza rinunciare a livelli sovrapponibili di efficacia e di sicurezza della nuova terapia. Del resto, anche per il medico prescrittore il prezzo della cura farmacologica è uno degli elementi, assieme all’efficacia e alla sicurezza, che devono essere valutati congiuntamente: l’art. 13 del nuovo codice di deontologia medica (in vigore dal 2014) afferma chiaramente che l’atto prescrittivo deve fondarsi, tra l’altro, su di una contestuale valutazione delle evidenze scientifiche e dell’uso “ottimale” delle risorse disponibili.

L’approccio delle Regioni non è dunque ontologicamente differente da quello dei medici: entrambi devono curare i propri assistiti trovando il bilanciamento ottimale tra costo ed efficacia e sicurezza della terapia.

Alla ricerca di nuovo equilibrio

Se lo switch non è più una eccezione, ma una regola paritetica ed antitetica alla continuità terapeutica, giustamente il T.A.R. si preoccupa di porre delle cautele, proprio per evitare che l’affermazione appena posta finisca per impedire la funzionalità stessa della continuità terapeutica.

La ricerca del nuovo equilibrio passa per la condivisione delle ragioni, giuridiche e scientifiche, che la Regione Piemonte aveva indicato nelle proprie linee guida: la limitazione dello switch al paziente che, nella valutazione del medico prescrittore, abbia già dato buona risposta clinica e questa risulti stabilizzata.

Questa scelta non è illogica né contraria alla libertà prescrittiva del medico. Anzi, si inserisce in continuità con essa, perché rimette alla valutazione del clinico l’accertamento circa la sussistenza delle condizioni per poter praticare un eventuale switch.

Continuità terapeutica e switch sono ora due regole generali con pari dignità di fronte alla scelta del medico

In tal senso, per comprendere appieno questo nuovo punto di equilibrio è centrale la constatazione che il collegio piemontese compie sulla necessità di riconoscere alle Regioni la possibilità di adottare misure per sostenere la prescrizione dei biosimilari, anche rispetto a pazienti non naïve, al fine di salvaguardare la finanza regionale e la salute dei pazienti.

Temi di discussione per il futuro

La sentenza merita apprezzamento e condivisione. Al tempo stesso, apre una serie di ulteriori interrogativi, che dovranno inevitabilmente essere affrontati e risolti attraverso la maturazione di questa nuova fase giurisprudenziale.

Certamente, uno di questi temi è la definizione stessa di paziente naïve, tenuto conto che le terapie in cui sono impiegati farmaci biotecnologici hanno varia durata e che il paziente naïve non è soltanto quello che non si è mai sottoposto prima ad un trattamento con un farmaco a base di quel principio attivo ma anche quello che, pur avendo iniziato la terapia con un dato farmaco, l’abbia conclusa, o quantomeno ne abbia conclusa una sua fase, e sia decorso un tempo sufficiente per il cosiddetto wash-out.

Ancora, si porrà in futuro la questione se le affermazioni cui qui si è data adesione saranno estensibili anche al rapporto tra biosimilare e biosimilare, e non soltanto tra originatore e biosimilare. La soluzione affermativa, che apparentemente può sembrare scontata, lo è meno ad un esame più attento, se si considera che ciascun biosimilare è tale perché in fase di registrazione sono stati addotti gli studi comparativi con il medicinale di riferimento, che è l’originatore, ma non è detto che la similarità di due farmaci verso uno stesso originatore si possa automaticamente estendere, per proprietà transitiva, ai due biosimilari tra loro.

Forti della consapevolezza acquisita dalla sentenza del T.A.R. piemontese, ed appurato che è maturo il tempo perché i giudici ritornino con approccio nuovamente innovativo sulla disciplina dei biosimilari, aspettiamo fiduciosi le successive azioni e reazioni, anche a partire dal secondo Position Paper di AIFA sui biosimilari.

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Roberto Bonatti
Avvocato specializzato in contratti pubblici e diritto della concorrenza, Studio Legale Russo Valentini, Bologna. Docente di diritto processuale civile, Università di Bologna