Il farmacista ospedaliero svolge una funzione cruciale nell’agevolare l’equilibrio tra il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) e i pazienti. In qualità di facilitatore, il farmacista opera in situazioni complesse, spesso interagendo con pazienti che sono già stati presi in carico dal SSN: in tali circostanze la sfida per il farmacista è fare in modo di trovare un equilibrio che permetta l’accesso a nuove terapie o tecnologie, rispettando le regole e le procedure del sistema sanitario e rispondendo alle richieste dei pazienti, conformandosi a quanto il sistema prescrive. In questo senso, mi piace pensare a noi farmacisti come a degli equilibristi.
L’attività del farmacista come facilitatore (ed equilibrista) deve partire da un’analisi dei valori e dell’innovatività di un farmaco o di un intervento terapeutico
L’attività del farmacista come facilitatore (ed equilibrista) deve partire da un’analisi dei valori e dell’innovatività di un farmaco o di un intervento terapeutico. Innanzitutto, un farmaco deve essere utilizzato a beneficio del paziente tenendo conto della caratteristica del farmaco di produrre il risultato desiderato e con effetti avversi accettabili; gli elementi basilari del valore del farmaco sono quindi qualità, efficacia e sicurezza. Ma quali sono gli altri fattori che concorrono alla definizione del valore di un farmaco?
L’analisi del valore di un farmaco
L’Agenzia Italiana del Farmaco sottolinea che il valore di un farmaco è un concetto ampio e multidimensionale che abbraccia diverse discipline, oltre all’aspetto economico. Nelle valutazioni economiche dei nuovi medicinali, il valore è determinato dall’utilità marginale che il paziente, il SSN e/o la società possono ottenere dalla loro acquisizione. Fattori come gli anni di vita guadagnati in qualità di vita (QALY – quality-adjusted life years) sono comunemente applicati, sebbene con consapevolezza delle limitazioni nel catturare tutti gli elementi determinanti del valore.
Oltre agli elementi definiti dall’AIFA, il farmacista aggiunge considerazioni cruciali. Un farmaco di valore è quello che promuove l’innovazione (da non confondere con l’innovatività) consentendo di rispondere ad un bisogno di salute emerso in una determinata patologia. Inoltre, un farmaco ha valore per il sistema e per il paziente se favorisce un accesso più equo alle cure per tutti e se permette un “cost saving” al sistema (anche se purtroppo, per la gestione a silos il risparmio generato a livello di spesa farmaceutica in un determinato ambito non è facilmente trasferibile in altri capitoli di spesa).
I farmaci biologici e biosimilari
Un equilibrio di diversi fattori concorre a determinare il valore del farmaco, o meglio di una terapia; tra questi c’è anche il prezzo ma non può essere il solo elemento considerato
Negli ultimi 15-20 anni tra i farmaci di valore sono emersi i farmaci biologici, che hanno consentito di rivoluzionare l’approccio terapeutico in una serie di patologie. Questi medicinali però, soprattutto all’inizio, erano gravati da un importante limite, cioè il costo molto elevato, che spesso si è scontrato con le norme poste dal legislatore. Con la perdita del brevetto dei farmaci biologici, si è aperta la strada ai farmaci biosimilari che, a parità di efficacia e sicurezza rispetto ai farmaci originator, hanno consentito un notevole risparmio: tali farmaci, in questi anni, hanno migliorato l’accesso alle patologie critiche che curiamo con i farmaci biologici permettendo ad una più ampia popolazione di accedervi.
Per questa ragione, a mio parere, si può dire che un farmaco biosimilare può innovare e può essere di valore: perché risponde al valore “equità di accesso” e al valore “bisogno soddisfatto”.
I prodotti farmaceutici hanno un valore per i pazienti o per la società nei risultati di salute che generano
I prodotti farmaceutici hanno un valore per i pazienti o per la società nei risultati di salute che generano. I farmaci biosimilari consentono di soddisfare un bisogno di salute in modo sicuro ed efficace, ed è proprio questo un criterio fondamentale per l’autorizzazione all’immissione in commercio di un prodotto: i prodotti farmaceutici sono autorizzati alla vendita sulla base del fatto che rispondono in modo sicuro ed efficace a un bisogno (non perché i pazienti possano avere preferenze riguardo alla loro forma, colore, gusto o marca) e sono i miglioramenti misurabili dei risultati sanitari a generare valore per la società [Morgan et al. Toward a definition of pharmaceutical innovation. Open Med 2008;2(1):e4-7].
Efficientamento o risparmio?
Il farmacista ospedaliero, agendo come facilitatore, si muove all’interno di una complessa rete di relazioni, che comprende il SSN, il Servizio Sanitario Regionale (SSR) e le relative strutture, i medici specialisti e i pazienti. In questo percorso bisogna far sì, da un lato, che l’utente/paziente acceda al SSN e alle terapie in maniera equa e rapida, e allo stesso tempo è necessario che il sistema sanitario possa essere più efficientato possibile ed economico per chi decide la spesa e i fondi per il SSN. È essenziale quindi comprendere i processi per navigare efficacemente nella governance e nel monitoraggio a livello nazionale e regionale.
Dal punto di vista del SSN, l’efficientamento rappresenta un equilibrio instabile
Dal punto di vista del SSN, l’efficientamento rappresenta un equilibrio instabile, richiedendo la gestione razionale delle risorse economiche (dal personale al farmaco), il monitoraggio dei vari capitoli di spesa per area terapeutica e la ricerca di un equilibrio tra di essi, tenendo ben presente l’economicità del percorso non tanto in termini di risparmio quanto piuttosto in termini di efficientamento, che significa utilizzare in maniera corretta le risorse che sono state assegnate dal sistema e, successivamente, allocate dai professionisti ad un tipo di intervento.
In ambito di farmaci biosimilari, uno dei temi chiave riguarda i processi di switch / sostituzione / intercambiabilità ma, al di là delle definizioni, che sono il primo elemento da cui non si può prescindere, la domanda a cui rispondere è: le motivazioni per cui si ricorre a questi interventi fanno riferimento all’efficienza o al risparmio? Tendenzialmente, ad oggi l’obiettivo è il risparmio non l’efficientamento del sistema, e a mio parere su questo punto deve instaurarsi un cambio di paradigma.
Gli interventi di switch o sostituzione di biologici e biosimilari sono motivati dalla ricerca di efficienza o di risparmio?
Dal punto di vista del paziente, gli interventi di switch o sostituzione, ognuno con le sue peculiarità di definizione e applicazione, vengono percepiti come una minaccia alla continuità di cura, generando stress e rischio di mancata aderenza alla terapia. Molto spesso lo switch non viene proposto al paziente per motivi clinici ma solo di risparmio, ad esempio a seguito dell’esito di gare di acquisto dove, nella maggior parte dei casi, il criterio premiante è quello del minor prezzo. Lo stress del prezzo più basso però conduce frequentemente all’indisponibilità del farmaco, per fronteggiare la quale è necessario effettuare un nuovo switch per lo stesso paziente. Il rischio è che il clinico, per evitare di incorrere in queste problematiche, decida di optare quindi per altre linee terapeutiche, solitamente più costose, e l’efficientamento che si voleva raggiungere, il vantaggio che si intendeva ottenere con il ricorso ad una gara condotta con un accordo quadro, si traduce invece in un incremento di spesa.
Per tutte queste motivazioni, il farmacista ospedaliero, fungendo da trait d’union tra clinica ed economia, si configura come esperto tecnico e gestionale capace di governare la moltitudine di processi regionali/locali e svolge un ruolo chiave nell’ottimizzare l’equilibrio tra efficienza economica e continuità delle cure. Inoltre, collaborando all’interno del team di gestione del paziente per il continuo miglioramento delle performance, con la sua expertise contribuisce a portare l’innovazione sul territorio, garantendo ai pazienti e ai clinici un accesso tempestivo alle terapie più efficaci.