Il modello sanitario americano e le sue evoluzioni

Mentre il modello americano guarda sempre di più all’Europa, puntando all’accessibilità universale dei servizi, sono sempre di più gli Stati del vecchio continente a delegare alle aziende private l’erogazione e la gestione dell’offerta sanitaria. Una panoramica sulle riforme negli Stati Uniti e sui modelli più diffusi in Europa.

La società americana è stata da sempre caratterizzata, agli occhi degli stranieri, da alcuni assunti stereotipici. Fra quelli più negativi e semplicistici spicca senz’altro la convinzione secondo cui negli Stati Uniti l’assistenza sanitaria sia garantita solo a chi abbia abbastanza denaro da potersela permettere. Seppur validata dalla predominanza assoluta delle aziende private nel sistema dell’offerta sociosanitaria, questa convinzione si basa su assunti che hanno subito radicali cambiamenti negli ultimi 10 anni. Mentre il modello americano guarda sempre di più all’Europa, puntando all’accessibilità universale dei servizi, sono sempre di più gli Stati del vecchio continente a delegare alle aziende private l’erogazione e la gestione dell’offerta sanitaria. Il primo grande passo operato negli Stati Uniti verso un sistema di cura più inclusivo e meno legato allo status economico dei cittadini è stato promosso da una legge approvata dal presidente Barack Obama nel 2010. Per capire la reale portata di questa riforma, chiamata Affordable Care Act, è necessario fare un passo indietro per vedere come funzionavano le cose prima che questa legge fosse approvata, per poi essere implementata e portata ad un più ampio compimento da Joe Biden, firmatario di una riforma che sta portando a compimento un significativo cambio di paradigma nel sistema sanitario statunitense.

La sanità americana prima del 2010

Prima di quella che viene comunemente chiamata l’Obamacare, dal nome del suo promotore, gli unici soggetti che avevano diritto ad accedere ai programmi di assistenza sanitaria finanziati dal governo federale erano gli over65 e le persone il cui reddito era considerato sotto la soglia di povertà. I primi rientravano in un programma di assicurazione medica basato non sul reddito ma sull’età e amministrato direttamente dal governo centrale. A farlo partire era stato Lyndon Johnson, il primo presidente ad aver avuto l’idea di un sistema sanitario a copertura semi-universale e ad aver creato nel 1965 anche Medicaid, un secondo programma sanitario federale nato per aiutare gli indigenti a sostenere le spese di una assicurazione sanitaria privata.

La riforma di Obama ha offerto assistenza e cure alle persone più deboli e ai giovani

Con la riforma siglata nel 2010 da Obama la platea dei beneficiari dei programmi sanitari gestiti direttamente su base federale aumenta sensibilmente grazie a questa nuova terza via, accessibile anche al ceto medio-basso. “Ben lontana dall’essere un modello di sanità pubblica, la riforma portata avanti da Obama ha reso il sistema tripartito e ha profondamente rivoluzionato un modello che rimane però strutturalmente privatistico – ha commentato Gianluca Pastori, ricercatore ISPI che si occupa di Relazione Transatlantiche –. Questo nuovo modello a tre gambe è stato considerato una pietra dello scandalo per aver introdotto un concetto nuovo che, nonostante le numerose contestazioni provenienti dallo stesso partito che era al governo, non è mai stato superato o abrogato negli ultimi 10 anni”. La novità consiste nell’idea che i soldi di tutti i contribuenti debbano servire a pagare le spese sanitarie delle famiglie meno abbienti e non solo di quelle che vivono sotto la soglia di povertà o hanno più di 65 anni.

L’Affordable Care Act, una misura a tutela dei più deboli

Che l’Affordable Care Act sia entrato in vigore nel 2010 non è casuale. Il 2008 è stato l’anno della grande recessione. Una fetta sempre più ampia della popolazione perde il lavoro a seguito di una crisi economica senza precedenti, e con esso perde anche l’assistenza sanitaria. Da quando è diventata legge, l’Obamacare ha permesso a milioni di americani che vivevano una situazione lavorativa instabile o fragile di accedere ad una copertura assicurativa sanitaria a prezzi accessibili. Il Governo federale ha voluto così proteggere la fascia più debole della popolazione dalle speculazioni commerciali che alcune compagnie di assicurazioni mettevano in atto, anche a seguito della crisi, aumentando i costi per i pazienti e limitando l’erogazione delle prestazioni sanitarie al minimo.

Ma chi sono stati esattamente i destinatari dell’Obamacare?

Disoccupati, precari, persone i cui stipendi erano particolarmente bassi ma non bassissimi o cittadini affetti da una disabilità o da obblighi familiari che non permettono di lavorare a tempo pieno. Ma anche chi, affetto da patologie croniche preesistenti o da una situazione clinica particolarmente compromessa, aveva difficoltà a garantirsi una buona assicurazione sanitaria a prezzi accessibili. Non sorprende che i giovani adulti fra i 16 e i 25 anni facciano parte della fascia d’età che più di tutte le altre ha usufruito di questa riforma. Questa fascia della popolazione fa infatti parte di quella categoria di lavoratori, meno protetta da contratti di lavoro stabili e ben remunerati che, in mancanza di possibilità economiche messe in gioco dalla famiglia di origine, prima di questa legge sceglieva di non assicurarsi scommettendo sulla salute regalata dalla bassa età anagrafica.

I soggetti giovani o con patologie pregresse non avevano accesso alle assicurazioni private

Per contro, chi godeva di una salute pessima e di età media o avanzata, con presenza di patologie pregresse a proprio carico, prima che l’Affordable Care Act diventasse legge aveva parecchie difficoltà ad assicurarsi decorosamente tramite il canale privato. Le compagnie, che precedentemente potevano rifiutarsi di accettare un nuovo cliente per via di un cancro pregresso o per una patologia degenerativa, adducendo come motivazione il fatto che le malattie i cui sintomi erano emersi prima della stipula del contratto non potevano essere inserite nel premio, dal 2010 in avanti non godono più di questa libertà. Le persone con condizioni di salute preesistenti alla data del contratto non possono più essere rifiutate o non coperte in caso di recrudescenze di patologie pregresse. Non esistono più i limiti di tempo fissati per l’erogazione delle cure, né tetti di spesa massima pro capite. Ciò significa che una volta siglato il patto di cura, le compagnie di assicurazione non possono fissare un limite di denaro prestabilito sulla copertura che forniscono ai loro clienti in caso di malattia o infortunio. Non solo. Le compagnie di assicurazione sono state costrette da questa legge a spendere almeno l’80% dei proventi ricavati con i premi assicurativi in cure mediche e miglioramenti dei patti di cura, senza poter alzare i costi dei premi in maniera illimitata.

Più prevenzione oggi, meno costi domani

L’aumento degli screening periodici e le varie campagne di prevenzione delle patologie più impattanti sulla salute hanno fatto sì che l’Obamacare rimettesse al centro il concetto di prevenzione. La convinzione secondo cui un atteggiamento proattivo deve essere parte integrante di una valida assistenza sanitaria, unita a dei costi bassi per eccedere ai test preventivi, ha permesso di evitare o ritardare problemi di salute, secondo il principio secondo cui consumatori più sani portino nel tempo ad abbassare i costi sanitari. Per le stesse ragioni, nel corso degli undici anni in cui è stata applicata, l’Obamacare ha ridotto i costi dei farmaci da prescrizione, rendendoli più accessibili.

L’Obamacare ha rimesso al centro il concetto di prevenzione

A beneficiarne sono state soprattutto le persone più anziane che, quando si trovavano in condizioni di fragilità economica, non erano in grado di permettersi tutti i farmaci di cui avrebbero avuto bisogno, a discapito dalla loro salute. Un’analisi effettuata a distanza di 7 anni dall’entrata dalla riforma ed eseguita dall’organo federale che gestisce tutti i programmi sanitari finanziati con denaro pubblico, il Centers for Medicare and Medicaid Services, ha evidenziato come i beneficiari di Medicare abbiano risparmiato oltre 26,8 miliardi di dollari sui farmaci da prescrizione proprio grazie alla legge.

Critiche e contestazioni

I visibili pregi di una riforma inclusiva, che ha offerto assistenza e cure alle persone più deboli e ai giovani, soprattutto quelli provenienti da famiglie meno abbienti, promuovendo più diritti per gli ammalati, non sono stati però esenti da critiche e contestazioni piuttosto accese da parte della società statunitense. In particolare, l’ala più conservatrice del Paese ha giudicato eccessivi gli aumenti delle tasse che la riforma ha necessariamente imposto ai cittadini per far emergere il budget necessario a promuoverla e approvarla. Allo stesso tempo, le compagnie assicurative private hanno alzato sensibilmente le quote dei premi per rifondere le perdite derivate da tutta quella fascia della popolazione che, accedendo all’Obamacare, non ha più avuto la necessità di rivolgersi ai loro servizi. Anche l’inclusione degli eventi medici legati a patologie pregresse hanno messo a dura prova i bilanci delle società assicurative, alle quali il rialzo generale dei costi è parsa l’unica strada per mettere al riparo il proprio status economico.

Le compagnie assicurative non sono state le uniche aziende a fare i conti con dei nuovi obblighi legislativi. Proprio per garantire una maggior sostenibilità delle cure sanitarie ai lavoratori, l’Affordable Care Act ha messo nero su bianco l’obbligo per le aziende con 50 o più dipendenti full time (negli Stati Uniti il tempo pieno equivale ad un contratto di 30 ore a settimana, ndr) a garantire l’intera copertura sanitaria al personale. Ciò ha portato molte piccole e medie imprese a prendere atto dell’imposizione limitando i contratti full time ad incentivo delle collaborazioni sotto le 30 ore alla settimana, che non obbligano l’azienda a coprire i costi dell’assicurazione per il lavoratore, diventando fra l’altro uno degli argomenti più citati a sfavore della riforma dai suoi detrattori.

Negli USA l’interventismo dello Stato, anche in sanità, non è visto con favore

Tutte queste critiche, insieme al timore che un sovraccarico di lavoro per i fornitori di servizi medici andasse alla fine a discapito della qualità dei servizi erogati, negli ultimi 10 anni hanno più volte dato origine a richieste di abrogazione o di revisione della legge. Una di queste revisioni ha riguardato solo tre anni fa l’abrogazione del capitolo legislativo che prevedeva l’obbligo di stipulare o fare richiesta un’assicurazione sanitaria per tutti gli americani, indipendentemente dal reddito. Dal 2010 al 2019 chi veniva trovato senza assicurazione, in seguito ad un incidente o ad un ricovero ospedaliero, poteva essere multato secondo il principio per cui la scelta di non avere una assicurazione sanitaria trasferisce indistintamente i costi del singolo sulla collettività. Questo principio ha però di recente ceduto il passo alle richieste dei legislatori che fin dall’inizio sono stati convinti sostenitori dell’idea che l’obbligo da parte dello Stato in questo senso rappresentava un’invadenza eccessiva nella sfera della libertà personale. Del resto, anche l’aumento delle tasse per i redditi più elevati o l’introduzione di nuove imposte come quelle applicate ai dispositivi medici o alle vendite farmaceutiche, sono nate proprio per finanziare la nuova legge a livello federale. Anche questo aumento dei costi per la spesa pubblica e delle tasse sui cittadini originato dall’Affordable Care Act è stato vissuto negli anni come un’ingerenza eccessiva dello Stato nelle tasche dei contribuenti. Agli americani piace scegliere, o quanto meno avere l’illusione di farlo. Non a caso l’upgrade legislativo proposto fin dalla campagna elettorale dal neopresidente Joe Biden in tema sanitario ha messo particolarmente l’accento sulla possibilità di scelta: “Medicare for all who want it”, ovvero Medicare per tutti coloro che la desiderano.

L’Obamacare 2.0

Lo sforzo inclusivo nei confronti della popolazione più fragile e meno abbiente continua sotto la presidenza Biden, che già aveva sostenuto la validità della precedente riforma nel ruolo di vice alla Casa Bianca. L’atto promosso da Biden nel merito dell’American Rescue Plan è stato il primo, a distanza di 10 anni e una situazione economico-sociale mutata radicalmente, a mettere mano al disegno originale dell’Affordable Care Act che aveva aumentato la platea degli assicurati di 20 milioni di americani, portando nel 2019 il tasso dei non assicurati al 10,9%, contro il 17,8% del 2010.

Il tasso di non assicurati è sceso
dal 17,8% nel 2010 al 10,9% nel 2019

Alcune famiglie del ceto medio erano rimaste penalizzate doppiamente: guadagnavano abbastanza da non rientrare nella lista dei potenziali beneficiari dell’Obamacare ma non abbastanza da sostenere senza problemi il rincaro dei costi delle assicurazioni private. Ecco perché i piani assicurativi di Obamacare sono stati resi più accessibili e adesso anche chi fa parte della classe media e ha un reddito medio-alto, ha la possibilità di usufruire di alcuni piani all’interno dell’Obamacare. I sussidi per gli iscritti che hanno un reddito più basso sono aumentati facendo sì che il contributo sia di nuovo più accessibile per 1,3 milioni di americani ad un costo che il Congressional Budget Office ha stimato essere di 34 miliardi di dollari. Le stime parlano chiaro: per molti cittadini la differenza sarà minima, per altri sarà sostanziale. Ad esempio chi ha un reddito molto basso, di circa 19 mila dollari l’anno, ora potrà sottoscrivere un piano sanitario gratuitamente. Per chi guadagna più di 50 mila dollari l’anno il piano assicurativo potrebbe costare fino a 1.000 dollari meno al mese.

 I due modelli europei di sanità pubblica

Pur restando ancora molto lontano dal modello europeo della assistenza sanitaria universale e obbligatoria, l’American Rescue Plan sta avvicinando molto gli Stati Uniti all’idea di un’ammissibilità universale all’assicurazione sanitaria privata convenzionata. Questa formula, resa obbligatoria per tutti i cittadini e finanziata anche con i soldi pubblici attraverso la tassazione, è già ampiamente in vigore in Germania, dove il sistema è di tipo “mutualistico” e si basa sull’obbligo di stipulare un’assicurazione sanitaria pubblica o privata per tutti i cittadini residente sul territorio nazionale (e non invece gli stranieri senza permesso di soggiorno regolare) che di fatto garantisce la copertura universale dell’assistenza. L’offerta dei servizi sanitari è per metà pubblica e per metà privata: solo un quarto degli ospedali è pubblico ma questi offrono quasi la metà dei posti letto. I cittadini tedeschi che guadagnano meno di una certa soglia di stipendio vengono assicurati dallo Stato, il ceto medio-basso che ha un contratto di lavoro dipendente invece ha l’obbligo di stipula con una delle tantissime assicurazioni pubbliche, mentre oltre un certo reddito e per i lavoratori autonomi c’è la possibilità di scelta fra un patto di cura pubblico o privato.

In Germania e Francia il modello è mutualistico;
in Italia è universalistico

Il sistema sanitario pubblico di tipo mutualistico, noto anche come modello Bismark, si distingue dal modello universalistico in cui la copertura sanitaria viene garantita e coperta direttamente dalla fiscalità generale ed è accessibile in modo automatico per tutti i cittadini. Questo secondo modello, detto anche Beveridge, si fonda spesso su un’offerta di servizi sanitari prevalentemente pubblici, laddove invece il modello mutualistico predilige la concomitanza e l’affiancamento di enti pubblici ed enti privati preposti all’erogazione dei servizi. Nei paesi dell’Unione europea questi sistemi si trovano anche in forma ibrida, ma mentre Germania, Francia, Austria, Belgio, Olanda, Norvegia hanno un sistema principalmente mutualistico, Italia, Spagna, Danimarca, Finlandia e Svezia hanno in vigore un sistema universalistico.

“La cultura politica americana e quella europea si differenziano fortemente proprio per l’influenza dello Stato nella vita dei cittadini, a partire proprio dalle prime necessità come quelle della salute”, ha commentato Pastori. Confrontando i modelli sanitari europei con quelli d’Oltreoceano si vede subito come l’interventismo dello Stato è decisamente più forte in Europa anche nei modelli di tipo mutualistico in cui l’offerta sanitaria privata è maggiore o uguale a quella pubblica.

“Una formula standard che possa essere ottimale e andare bene per tutti i Paesi non può essere trovata – ha concluso Pastori -: ogni Paese, così come sta accadendo negli Stati Uniti, procede per tentativi ed errori, adattando il modello sanitario alle proprie radici culturali e politiche”.

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Sofia Rossi
Giornalista specializzata in politiche sanitarie, salute e medicina