Il payback slitta ad aprile, Gellona (Confindustria DM): ora va cancellato

Lo scorso anno l'Italia ha speso 107 euro pro capite in dispositivi medici, contro i 265 di media europea: il vero problema è il sottofinanziamento del SSN. Se la situazione non cambia, sono a rischio le prestazioni ai cittadini

Una soluzione temporanea e una spada di Damocle che rimane appesa in prima battuta sulle industrie e in seconda sulle prestazioni offerte ai cittadini dal Servizio Sanitario Nazionale. All’indomani del rinvio al 30 aprile del termine per il pagamento del payback, ne abbiamo discusso con Fernanda Gellona, direttore generale di Confindustria Dispositivi Medici.

Gellona

Dottoressa, ci aiuti a fare il punto della situazione.

Da tempo solleviamo proteste contro il payback, una situazione che si è però aggravata con il Dl Aiuti dello scorso agosto, quando sono stati emessi per la prima volta i decreti attuativi che non erano mai stati emanati dall’istituzione del payback, nel 2015. Un fulmine a ciel sereno. Non ci aspettavamo un provvedimento del genere e soprattutto con una tempistica così stretta, visto che si prevedeva il pagamento entro il 15 gennaio di quest’anno da parte delle imprese del payback pregresso per gli anni 2015-2018, che vale 2 miliardi e 200 milioni: una cifra che farebbe fallire anche l’azienda più grande.

In realtà abbiamo trovato i vari governi che si sono alternati sempre distanti da questa problematica, ma a fronte di questa catastrofica urgenza ci siamo ulteriormente attivati fino a scendere in piazza a Roma il 10 di gennaio. La manifestazione ha ottenuto l’attenzione da parte delle istituzioni e in effetti il Consiglio dei Ministri ha approvato la proroga dei termini per il pagamento da parte delle imprese fino al 30 aprile.

Siete soddisfatti?

Non è molto, visto che noi avevamo chiesto uno slittamento di almeno sei mesi, ma è già qualcosa. Se non altro, le imprese riescono a non avere una scadenza terrificante come una tagliola, ma soprattutto ci auguriamo che nel periodo da qui a fine aprile si trovino delle soluzioni, cosa che cerchiamo di ottenere dal 2015.

Che tipo di soluzioni ha in mente?

Lo scorso anno l’Italia ha speso 107 euro pro capite in dispositivi medici, contro i 265 di media europea

In attesa di poter intervenire a un tavolo istituzionale in cui trattare la materia, la nostra posizione è molto semplice. Innanzitutto il problema fondamentale della sanità è il sottofinanziamento, cioè il fatto che si spenda più del previsto. Questo deriva da due fattori, a partire dal tetto troppo basso fissato volutamente all’epoca dell’introduzione del payback, in piena emergenza finanziaria, con l’obiettivo di fare un taglio lineare. Il sottofinanziamento però è anche rispetto a tutti i Paesi europei con cui normalmente ci confrontiamo. L’Italia è quello che spende meno e la pandemia ha dimostrato cosa succede a uno Stato che non si cura e sta male: va in default economico. Lo scorso anno abbiamo speso 107 euro pro capite in dispositivi medici contro i 265 di media europea: meno del doppio. Un dato che da solo dimostra che il finanziamento è sottodimensionato. La nostra proposta quindi è innanzitutto di finanziare correttamente il SSN, cosa che non sosteniamo di certo solo noi ma hanno sollecitato quasi tutti i ministri della Salute.

Il secondo punto è che il payback non è uno strumento che consenta di governare la spesa, innanzitutto perché è perfettamente regolamentata dal sistema delle gare pubbliche d’appalto sia per quanto concerne i volumi che le basi d’asta dei prezzi: un quadro in cui l’impresa non ha leve di manovra se non offrire un prezzo inferiore alla base d’asta. A maggior ragione, questo dimostra che il finanziamento è inadeguato ai bisogni di salute del Paese, che sono in crescita, visto che più prestazioni si fanno e più si usano dispositivi medici. Il punto, che è politico, è quindi capire questo governo quanta assistenza del SSN vuole offrire ai propri cittadini, perché dalla risposta discende o un corretto finanziamento del SSN, in aumento rispetto a quello che c’è adesso, oppure l’impossibilità a spendere di più; ma a quel punto il governo dovrà dire che le prestazioni erogate dal SSN sono meno di quelle a cui eravamo abituati.

Un altro aspetto che critichiamo del payback, che, appunto, non è uno strumento di controllo della spesa, è il seguente: se so che, qualora sfori un tetto, c’è qualcuno che ripaga, che incentivi ho a rispettarlo? È comprensibile, al di là del fatto che la soglia è talmente bassa che, per non sforare, non dovrei erogare molte prestazioni sanitarie, ma queste nessuna regione le vuole negare. Perciò servono un aumento del finanziamento del SSN e lavorare sul controllo e sull’osservatorio dei prezzi delle gare per capire l’andamento dei bisogni e dei consumi, ma anche dei prezzi”.

Cosa prevede quindi per il prossimo futuro?

L’attivazione di un tavolo di confronto, che dovrà risolvere il punto del pregresso e quello del futuro, perché altrimenti ogni anno ci troveremo come oggi, con un tetto fissato così basso che sempre sarà sforato, a meno che il governo non decida di ridurre l’offerta di salute a carico del SSN. Una scelta legittima, ma politica, che il governo deve fare.

Non può essere il mondo delle imprese e dei dispositivi medici a finanziare la sanità pubblica: il nostro compito è offrire tecnologie efficaci, efficienti e innovative a un giusto prezzo, ciò che normalmente facciamo col sistema delle gare.

Il rischio è che all’Italia restino i prodotti meno innovativi e che i cittadini possano ricevere meno cure rispetto a oggi

La nostra richiesta in definitiva è pertanto che il payback venga cancellato, visto che non serve a nulla se non a mettere a rischio fallimento molte aziende e a far scappare dall’Italia gruppi internazionali che sono quelli che investono maggiormente in ricerca e sviluppo: se la situazione non cambia, all’Italia riserveranno i prodotti meno innovativi, ma soprattutto il rischio vero è che se il payback sarà confermato arriveranno nel nostro Paese solo prodotti di qualità scadente. In ultima analisi il problema lo avremo come cittadini, perché rischiamo di non poter avere più tutte le cure di cui disponiamo oggi, oppure di averle a un livello qualitativo e tecnologico non adeguato al nostro standard”.

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Adriana Riccomagno
Giornalista professionista in ambito sanitario