In Italia mancano le terapie intensive pediatriche e i bambini subiscono le disuguaglianze territoriali

Sono poche, difficili da censire e mal distribuite. A farne le spese i piccoli pazienti, che spesso sono ricoverati in reparti per adulti

In Italia abbiamo un problema con le terapie intensive pediatriche: i posti letto sono pochi e mal distribuiti, con enormi differenze a livello regionale.

In base alle indicazioni europee, dovrebbe esserci un posto ogni 20-30 mila minorenni. In Italia ne abbiamo uno ogni 35.856 bambini e adolescenti. In numeri assoluti, 273 per una platea di oltre 9,7 milioni di persone. Ne mancano oltre 200, il 44,4%. Per rispettare le linee guida, infatti, l’Italia dovrebbe averne almeno 482.

E il numero di posti letto rappresenta solo una parte del problema: oltre ad aumentare la capienza, le terapie intensive pediatriche dovrebbero essere abitate da personale sanitario formato, soprattutto da anestesisti rianimatori pediatrici.

“C’è una solida letteratura scientifica che mostra come gli esiti di salute siano migliori quando i bambini sono ricoverati in un ambiente specialistico pediatrico – sottolinea Luigi Orfeo, presidente della Società Italiana di Neonatologia (SIN) – E poi c’è l’aspetto psicologico: essere ricoverato con adulti che hanno avuto un incidente stradale o hanno qualcos’altro di grave può impattare negativamente sulla psiche dei più piccoli”.

Le terapie intensive allargate

Un gruppo di esperti italiani ha recentemente scritto una lettera a Lancet in cui denuncia lo stato delle terapie intensive pediatriche italiane.

Gli autori sottolineano come le terapie intensive, sia quelle per adulti sia quelle per bambini, non dovrebbero mai essere riempite oltre l’85% della loro capienza. Solo in questo modo, infatti, sarebbero in grado di fronteggiare eventuali emergenze. 

Secondo una stima della Società italiana di Pediatria (SIP), le terapie intensive pediatriche che trattano persone in età pediatrica con un’attività clinica sufficiente, cioè almeno 100 pazienti all’anno, sono appena 26 in tutta Italia.

Secondo la società scientifica, inoltre, le terapie intensive pediatriche rappresentano solo un aspetto di un tema molto più ampio: il diritto dei minorenni a essere curati in reparti dedicati e da personale formato per l’età pediatrica. Oggi invece 1 bambino su 4 viene ricoverato in reparti per adulti, e circa l’85% dei pazienti tra i 15 e i 17 anni è gestito in condizioni di promiscuità con pazienti adulti e anziani e da personale non specializzato nell’assistenza a soggetti in età evolutiva.

“Questo problema non esiste per quanto riguarda la rete delle terapie intensive neonatali – rileva Orfeo – In questo caso abbiamo strutture diffuse in modo capillare sul territorio”. Questo aspetto per il presidente della SIN si deve almeno a due elementi: “Di solito questi reparti sono legati ai punti nascita e sono gestiti da pediatri neonatologi, che quindi hanno un’attenzione particolare verso i neonati”.

Per garantire un ambiente più consono ai piccoli pazienti, nelle aree dove c’è carenza di terapie intensive pediatriche alcune di quelle neonatali (che si occupano di bambini fino a 30 giorni di vita) hanno iniziato a prendere in carico i pazienti pediatrici più grandi, fino a 2-3 anni. “Si parla in questi casi di terapie intensive neonatali allargate, ma la loro organizzazione non è normata in nessun modo”, nota Orfeo, che auspica che il DM70 intervenga in questa situazione.

L’altro aspetto che le società scientifiche hanno chiesto al tavolo per il DM70 è introdurre un codice ministeriale che identifichi le terapie intensive pediatriche e permetta dunque di censirle. “È un problema di natura puramente burocratica, che speriamo che si sblocchi presto”.

Le stime

La Società Italiana di Pediatria riporta che ogni anno in Italia vengono ricoverati in Terapia Intensiva Pediatrica oltre 8.500 bambini. Si tratta di un dato sottostimato, che secondo la società scientifica rappresenta solo il 50% dei bambini critici realmente ricoverati, poiché l’altra metà è assistita in strutture dell’adulto e per la già citata difficoltà di individuare il numero di posti letto di in questi reparti.

Oltre al numero, il problema è la distribuzione territoriale: secondo le stime della SIP, bene il Centro Italia, dove mancano solo 2 posti letto rispetto alle indicazioni europee. Al Nord invece se ne trovano 128 per un fabbisogno di 222 e al Sud ne abbiamo 55 a fronte di una necessità di 168.
Sono 16 le Regioni che hanno meno del 25% dei posti letto necessari.

Ma nemmeno questi numeri rendono giustizia all’eterogeneità regionale: il Centro va bene grazie a tre centri del Lazio, mentre sono 6 le Regioni che non hanno nessuna terapia intensiva pediatrica. Per una volta, la distribuzione è abbastanza uniforme lungo lo Stivale. Parliamo di Valle d’Aosta, Trentino Alto Adige, Umbria, Molise, Basilicata e Sardegna. L’Abruzzo ha inaugurato la sua prima terapia intensiva pediatrica a inizio ottobre.  

La disparità di trattamento

Una recente indagine di SIMEUP, la Società Italiana di Medicina di Emergenza Urgenza Pediatrica, ha evidenziato una disparità di trattamento a livello territoriale.

Il lavoro ha coinvolto 252 ospedali in 16 Regioni (mancano i dati di Piemonte, Lombardia, Sicilia e nelle Province autonome di Bolzano e Trento) e ha mostrato come al Sud e nelle Isole siano disapplicate le linee di indirizzo sul triage ospedaliero che 4 anni fa avevano previsto il passaggio da 4 a 5 colori e spazi per bambini separati da quelli degli adulti. 

Sarebbe necessaria una legge nazionale che preveda l’assistenza pediatrica da 0 a 18 anni in tutto il territorio nazionale

Dall’indagine emerge poi una forte disparità tra il Nord e il Sud e le isole. Sempre al Sud solo il 35% degli ospedali ha attivato le Osservazioni Brevi Pediatriche (OBIP) che riguardano casi in cui il bambino deve essere tenuto in osservazione per breve tempo senza necessità di ricovero.

E ancora: il Mezzogiorno resta penalizzato per presenza di posti letto in Terapia Intensiva Pediatrica. 

Altro aspetto che genera disuguaglianze nel nostro Paese è che solo il 20% dei Pronto Soccorso Pediatrici e dei reparti di Pediatria accoglie ragazzi sino a 18 anni; in molti casi dopo i 14 anni si finisce insieme agli adulti

“Va ribadito che secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità l’età pediatrica va da 0 a 18 anni: è un diritto essere curati dal pediatra fino a 18 anni non solo nel Pronto Soccorso, ma in tutte le situazioni – afferma la presidente SIMEUP Stefania Zampogna – Nei Pronto Soccorso, in particolare, giungono adolescenti con patologie croniche che possono riacutizzarsi, o con bisogni speciali, o con più patologie croniche, o pazienti che sono già in terapia perché affetti da problemi di varia natura, per esempio endocrinologica o dermatologica, e per i quali è necessario gestire al meglio la cosiddetta fase di transizione dall’età pediatrica a quella adulta”. 

Le leggi per migliorare la qualità delle cure erogate in emergenza urgenza pediatrica ci sono, ma sono disapplicate

Il pediatra è la figura più adatta per gestire al meglio tutte queste situazioni, essendo specificatamente formato sui bisogni di salute del bambino e dell’adolescente.

“Il fatto di “essere sguarniti” dipende anche dalle scelte delle singole aziende sanitarie: scegliere di prendere in carico i minori solo fino a 14 anni è una questione di visione manageriale, di budget, di  obiettivi, su cui non si può incidere – prosegue Zampogna -. Per questo sarebbe necessaria una legge nazionale che preveda l’assistenza pediatrica da 0 a 18 anni in tutto il territorio nazionale. Ovviamente poi bisogna dotare gli ospedali delle risorse economiche e professionali per farlo”.

Secondo la presidente SIMEUP, “la nostra indagine ci conferma che purtroppo ancora oggi la qualità delle cure erogate e, in taluni casi, persino la sopravvivenza di un bambino che accede in Pronto Soccorso in condizioni critiche, può dipendere dalla Regione in cui si ha la fortuna o la sfortuna di vivere. Ancora oggi, quando si parla di emergenza urgenza, il nostro Paese appare diviso, con differenze che in un decennio non si sono accorciate tra il Nord e il Sud. Quello che lascia davvero perplessi è che gli strumenti legislativi per migliorare la qualità complessiva delle cure erogate in emergenza urgenza pediatrica e per ridurre le disuguaglianze ci sono. Però sono disapplicati”.  

Il riferimento è all’accordo Stato-Regioni 248 del 2017 che avrebbe dovuto aprire la strada al potenziamento dell’emergenza urgenza-pediatrica, e a quello siglato il 1° agosto 2019, che avrebbe dovuto ridisegnare l’organizzazione dei Pronto Soccorso e delle Osservazioni Brevi pediatriche. “A questo punto la domanda va girata al Governo – afferma Zampogna -: cosa intende fare per far sì che queste misure vengano applicate?”

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Michela Perrone
Giornalista pubblicista