Infermieri in Italia: tra carenza di organico, stipendi bassi e voglia di cambiamento

FNOPI: «Partire dai dati per istituire una cabina di regia governativa con poteri straordinari che affronti e risolva la questione infermieristica»

Un patrimonio professionale fondamentale per la salute pubblica ma ancora sottodimensionato, sottopagato e poco rappresentato nei luoghi decisionali. È la fotografia che emerge dal primo Rapporto sulle Professioni Infermieristiche, realizzato dalla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa in collaborazione con la FNOPI (Federazione Nazionale degli Ordini delle Professioni Infermieristiche) e presentato il 12 maggio a Roma, a Palazzo Rospigliosi, proprio nella Giornata internazionale dell’infermiere.

Infermieri: un patrimonio professionale fondamentale per la salute pubblica ma ancora sottodimensionato, sottopagato e poco rappresentato nei luoghi decisionali

Il documento vuole essere un primo tentativo di raccogliere e analizzare in un unico documento strutturato i dati aggiornati sulla situazione della professione infermieristica in Italia, per offrire spunti per riflessioni e politiche più consapevoli.

Barbara Mangiacavalli
Barbara Mangiacavalli

«Per la Federazione questo documento rappresenta il primo, importante, passo per presentare le evidenze ufficiali su cui le politiche che riguardano gli infermieri devono affondare le radici – dichiara la presidente FNOPI, Barbara Mangiacavalli – Vogliamo fare in modo che il nostro Rapporto di anno in anno sia presente sulle scrivanie dei decisori, a disposizione per acquisire dati certi sulla nostra Professione. L’obiettivo è trasformare i dati in informazioni, perché le informazioni servono ad assumere le decisioni che, nel nostro caso, – aggiunge Mangiacavalli – non possono essere esclusiva di un unico ministero. La complessità della questione infermieristica richiede l’istituzione di una cabina di regia con poteri straordinari in grado di coinvolgere più strutture di vertice e toccare diversi ambiti di intervento per prendere definitivamente un problema che non appartiene a una categoria professionale, ma all’Italia intera».

Infermieri: una presenza vitale ma ancora insufficiente

In Italia, il personale infermieristico rappresenta circa il 40% della forza lavoro del Servizio Sanitario Nazionale (SSN). Una presenza quantitativamente importante, ma che risulta ancora inferiore rispetto agli standard internazionali. Secondo i dati raccolti, la media italiana è di 4,79 infermieri ogni 1.000 abitanti nel solo settore pubblico, a fronte di una media OCSE di 8,4. Se si includono anche gli infermieri del privato, il dato sale a 7,83, ma resta comunque sotto la soglia europea.

La media italiana è di 4,79 infermieri ogni 1.000 abitanti nel solo settore pubblico, a fronte di una media OCSE di 8,4

La distribuzione sul territorio è tutt’altro che omogenea. Le Regioni del Centro-Nord, come Liguria, Emilia-Romagna e Friuli-Venezia Giulia, mostrano dotazioni migliori, mentre Lombardia, Sicilia e Campania si attestano su valori significativamente più bassi. In queste ultime, la carenza di organico rischia di compromettere la qualità e la sicurezza delle cure, soprattutto in ambito territoriale.

Infermieri e medici: un equilibrio ancora lontano

Un altro indicatore rilevante è il rapporto tra infermieri e medici, che in Italia si attesta su 2,48, poco sopra la media OCSE di 2,2. Anche in questo caso, emergono differenze regionali marcate. Mentre il Molise (3,19), il Veneto (2,96) e l’Emilia-Romagna (2,95) registrano una presenza relativamente equilibrata, in Sicilia (1,90), Calabria (2,10) e Valle d’Aosta (2,03) si evidenzia una forte prevalenza di medici rispetto agli infermieri.

Tale squilibrio ha impatti diretti sull’organizzazione dell’assistenza, sulla sostenibilità del sistema e sulla possibilità di rafforzare il ruolo degli infermieri, soprattutto nei servizi di prossimità, nei distretti e nella medicina territoriale.

Infermieri sempre più giovani e preparati: la formazione fa la differenza

La formazione si conferma il punto di forza e di svolta per lo sviluppo della professione infermieristica. Significativo il dato sulla progressiva diminuzione dell’età media alla laurea triennale, che passa da una percentuale maggiore per la fascia di età superiore ai 27 anni nel 2004 fino a concentrarsi nella fascia da meno di 23 a 24 anni nel 2023 (36,1%), attestandosi su un’età media di 25,2 anni.

Il 92,3% dei laureati magistrali che ha trovato lavoro in un ambito coerente agli studi

Anche sulla provenienza degli studenti si nota un’evoluzione interessante: negli anni più recenti si è verificato un aumento significativo della percentuale di iscritti ad Infermieristica provenienti da licei che, nel 2023, rappresentavano il 68,2% degli iscritti. Altrettanto significativo il dato del 2023, con il 92,3% dei laureati magistrali che ha trovato lavoro in un ambito coerente agli studi, evidenziando una stretta connessione tra il percorso accademico magistrale e l’ambito lavorativo.

Assenze e carichi di lavoro: il malessere che si misura

L’indice di assenza del personale infermieristico rappresenta un segnale indiretto delle condizioni di lavoro. A livello nazionale, la percentuale media di assenza è del 16,23%, ma in alcune Regioni come Calabria, Liguria, Puglia e Valle d’Aosta supera il 19%. All’estremo opposto, Veneto, Abruzzo e Trentino-Alto Adige si attestano intorno al 13%.

Le assenze, spesso legate a malattie, burnout, permessi e congedi, sono anche una cartina tornasole del clima interno alle strutture sanitarie

Le assenze, spesso legate a malattie, burnout, permessi e congedi, sono anche una cartina tornasole del clima interno alle strutture sanitarie e della tenuta psicofisica del personale. La possibilità di “recuperare” risorse – in termini di Full Time Equivalent – riducendo le assenze alle soglie delle Regioni best performer, è tutt’altro che marginale.

Stipendi bassi e poche prospettive di crescita

Il trattamento economico degli infermieri italiani è un altro nodo critico. Lo stipendio medio annuo lordo è pari a 32.400 euro, appena sopra la media nazionale di altri impiegati, ma ben al di sotto della media OCSE di 39.800 euro. Le retribuzioni più alte si registrano in Trentino-Alto Adige (37.204 €), Emilia-Romagna (35.857 €) e Toscana (35.612 €). In coda troviamo il Molise (26.186 €), la Campania (27.534 €) e la Calabria (29.810 €).

La progressione di carriera risulta limitata e fortemente disomogenea. Mediamente si contano solo 1,66 dirigenti ogni 1.000 infermieri. Anche in questo caso il Nord guida la classifica, con il Trentino-Alto Adige che raggiunge un rapporto di 4,31, mentre al Sud – Campania in testa – le opportunità di accesso a ruoli dirigenziali sono scarsissime. Solo il 3% delle posizioni apicali nelle aziende ospedaliere è occupato da infermieri, e appena l’1% nelle Asl.

Gli infermieri maggiormente soddisfatti sono tra coloro che lavorano nel contesto dell’assistenza domiciliare, sul territorio, rispetto a quanti operano in ospedale, soprattutto se non sono coinvolti a sufficienza nei processi gestionali.

Tanti continuano a scegliere il settore pubblico, con un picco di interesse dell’84,9% nel 2018

Una professione ancora sbilanciata dal punto di vista di genere

Le donne costituiscono oltre il 76% degli iscritti alla FNOPI, ma questo dato non si riflette in maniera proporzionale nelle posizioni di vertice. L’indice del soffitto di cristallo mostra un valore medio nazionale di 1,4, segnale che gli uomini, pur essendo una minoranza numerica, sono sovrarappresentati nei ruoli dirigenziali. La Sicilia (2,2) mostra la disparità più alta, mentre Valle d’Aosta (0,9) e Campania (0,8) risultano più bilanciate.

Il dato invita a riflettere sulle barriere ancora presenti per l’accesso delle donne ai ruoli di leadership nel settore sanitario, nonostante l’ampia rappresentanza femminile nella base della piramide.

La voce degli infermieri: tra motivazione e desiderio di fuga

Uno dei dati più preoccupanti riguarda la soddisfazione professionale. Solo il 50% degli infermieri si dichiara completamente soddisfatto del proprio lavoro. Ma il quadro è molto variabile: in alcuni contesti si scende al 25%, in altri si supera il 70%. Oltre a ciò, quasi il 30% pensa spesso di cambiare lavoro o di lasciare la professione.

Lo stress, la pressione assistenziale, la mancanza di riconoscimento e le difficoltà organizzative sono tra i principali fattori che spingono all’abbandono. A conferma di ciò, sono ancora pochissimi gli studi italiani che monitorano in modo sistematico e periodico il benessere e la soddisfazione del personale infermieristico.

Il paradosso: pazienti soddisfatti, professionisti in affanno

Nonostante le difficoltà interne alla professione, la soddisfazione degli utenti è alta: l’84% delle persone assistite esprime un giudizio positivo sull’assistenza infermieristica. Il comportamento empatico, la capacità di ascolto e l’attenzione alla persona sono riconosciuti come elementi centrali della qualità percepita delle cure.

Il comportamento empatico, la capacità di ascolto e l’attenzione alla persona sono riconosciuti come elementi centrali della qualità percepita delle cure

Molto positivi i riscontri degli assistiti per fattori come coinvolgimento nelle decisioni (78 punti su 100), chiarezza e utilità delle informazioni ricevute (91 su 100), rispetto e dignità (94 su 100), supporto emotivo (95 su 100).

Durante la pandemia di COVID-19, il ruolo degli infermieri ha ricevuto una forte attenzione mediatica e sociale. Ma questo riconoscimento, se non accompagnato da politiche concrete di valorizzazione, rischia di restare simbolico.

FeC o IFoC? Definizione e frammentazione

Dal monitoraggio dei provvedimenti regionali di recepimento del DM 77/2022 emerge un dato interessante: le parole associate alla figura dell’infermiere nei documenti ufficiali richiamano principalmente i concetti di “assistenza e cura” (47%) e, in misura minore, “supporto e riferimento” (12%). Raramente si evoca il “lavoro in team”, un’assenza che lascia intuire una visione ancora poco innovativa sul piano dell’integrazione multiprofessionale.

Un aspetto non trascurabile riguarda la terminologia adottata: “Infermiere di Famiglia e Comunità” (IFeC) oppure “Infermiere di Famiglia o Comunità” (IFoC). Solo quattro Regioni (Lazio, Lombardia, Sardegna e Toscana) scelgono la congiunzione “e”, indicando un modello integrato che abbraccia entrambi gli ambiti. Le altre Regioni optano per la “o”, suggerendo una maggiore flessibilità, ma anche una possibile incertezza sulla configurazione del ruolo.

Riappare così il tema della frammentazione territoriale, alimentato dalla carenza di personale, ma anche da una poco chiara percezione dei cittadini della riforma sul territorio nazionale. Potrebbe essere proprio la figura dell’infermiere a modificare questa percezione, soprattutto se sostenuta da campagne di informazione a livello centrale e regionale.

Infine, tra le richieste più forti emerse dai focus group (condotti durante l’incontro annuale della Consulta dei pazienti e cittadini della FNOPI) c’è anche quella dell’introduzione dell’infermiere scolastico, per garantire supporto sanitario e promozione della salute nelle scuole di ogni ordine e grado.

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Ivana Barberini
Giornalista specializzata in ambito medico-sanitario, alimentazione e salute