Innovazione, condivisione, pianificazione: la ricetta per un procurement sanitario strategico

Lo tsunami della pandemia è stato gestito anche grazie alla bravura dei singoli provveditori e responsabili acquisti. Ma un procurement davvero strategico deve affidarsi alla sinergia del sistema, dall’azienda locale al governo centrale. Quali sono le priorità da implementare? Ne abbiamo parlato con Salvatore Torrisi (Presidente FARE), Donato Cavallo (Dirigente Programmazione, Monitoraggio e Razionalizzazione Spesa, Regione Lazio) e Niccolò Cusumano (Docente Università Bocconi di Milano).

La tempesta è passata, ma potrebbe ritornare. E il procurement sanitario italiano dovrà farsi trovare pronto. La sfida non sarà tanto quella di avere un numero sufficiente di mascherine chirurgiche e ventilatori polmonari (anche quella) ma di saper fare tesoro dei primi mesi di pandemia per compiere finalmente un salto verso un sistema di approvvigionamenti più strategico, che vada oltre la centralizzazione degli acquisti e punti sull’innovazione anziché sul risparmio, sugli acquisti a lungo termine anziché su quelli di oggi per domani e che cerchi valore nei prodotti acquistati, favorendo criteri green, di sostenibilità, di rispetto per i lavoratori che li producono e per l’ambiente in cui saranno smaltiti. Le leggi esistono, non c’è bisogno di nuove normative. Quello di cui il sistema ha bisogno è una capacità di programmazione più forte e una comunicazione e collaborazione tra livelli di acquisti più marcata. Gli enti, in poche parole, devono imparare a parlare un po’ di più tra di loro. Per evitare di ripetere gli errori del passato e quelli del presente, come le recenti gare per aggiudicarsi le dosi dei vaccini antinfluenzali che in alcune regioni (come la Lombardia) sono partite troppo tardi.

Lo tsunami della pandemia è stato gestito anche grazie alla bravura dei singoli provveditori e responsabili di acquisti che, armati di competenze, esperienze e conoscenza del mercato, si sono attaccati al telefono per trovare mascherine, guanti, camici, ventilatori e chissà cos’altro. Ma un procurement davvero strategico non può affidarsi all’abilità del singolo responsabile, ma far leva su un sistema che lavora per sinergie, dall’azienda locale al governo centrale.

Ne abbiamo parlato lo scorso 6 ottobre in una Live dedicata proprio al procurement sanitario, intervistando esperti del settore come  Salvatore Torrisi – Presidente FARE (Federazione delle Associazioni Regionali Economi e Provveditori della Sanità), Donato Cavallo – Dirigente Area Programmazione, Monitoraggio e Razionalizzazione Spesa e Sostenibilità Ambientale e Sociale negli Acquisti della Regione Lazio e Niccolò Cusumano – Docente di Government Health and Non Profit Division dell’Università Bocconi di Milano.

Pronti per la seconda ondata Covid

Cosa ci hanno raccontato i nostri esperti? Se oggi i provveditori si sentono pronti ad affrontare una seconda ondata, è pur vero che nessuno di loro si può dimenticare le prime settimane della pandemia. L’emergenza ha messo in luce la debolezza di un sistema acquisti basato principalmente sul prezzo più basso e che sconta anni di tagli ai finanziamenti pubblici destinati alla sanità: “Improvvisamente, ci siamo ritrovati a dover ritenere strategico un prodotto come la mascherina – ha commentato Torrisi – mentre prima dell’emergenza i prodotti strategici erano considerati altri”.  Il problema, quindi, non è stato tanto cercare, ma trovare. E le mascherine non si trovavano principalmente perché il sistema industriale italiano negli ultimi 15-20 anni ha delocalizzato la produzione di articoli come questi, di cui oggi la Cina è il principale fornitore a livello mondiale.

L’emergenza ha messo in luce la debolezza di un sistema acquisti basato solo sul prezzo più basso

I provveditori hanno così iniziato a interloquire con i produttori esteri, scoprendo modalità di negoziazione inedite e a cui non erano preparati. Dovendo comprare in altri paesi, i provveditori si sono ritrovati a lavorare in una realtà quasi sconosciuta: “Ci siamo dovuti confrontare con modalità di acquisto che non conoscevamo – racconta il presidente di FARE –  strumenti di contrattazione che noi non eravamo pronti ad utilizzare, come linee di credito da aprire all’estero, acquisti banca su banca o su estero, insomma tutta una serie di nuove misure per noi sconosciute, anche perché noi abbiamo sempre operato con fornitori italiani”.

Verso un approccio strategico

Come si legge in uno studio pubblicato da Niccolò Cusumano e altri ricercatori dell’Università Bocconi sull’American Review of Public Administration in merito alle differenze di procurement tra Italia e Stati Uniti ai tempi della Covid19 (Medical Supply Acquisition in Italy and the United States in the Era of COVID-19: The Case for Strategic Procurement and Public–Private Partnerships), il sistema degli approvvigionamenti in Italia è stato concepito come una funzione impiegatizia all’interno del settore pubblico, con un focus principale sulla trasparenza e responsabilità, senza alcun tentativo di passare a un approccio più strategico. Una mera funzione di acquisti a cui nessuno ha mai dato l’importanza che invece merita a pieno titolo, e questa pandemia lo ha ampiamente dimostrato.

Un procurement davvero strategico deve affidarsi non all’abilità del singolo ma alla sinergia del sistema

Affinché si compia questa evoluzione, però, occorre che a tutti i livelli (aziendale, regionale e nazionale) ci sia competenza, conoscenza del mercato e delle sue dinamiche, occorre abbracciare logiche di acquisto che guardano al lungo periodo, anche in ottica di fare scorte in modo oculato, anziché pensare agli acquisti di oggi per domani.

Durante l’emergenza, l’esigenza di dover acquistare nel minor tempo possibile gli apparecchi per le terapie intensive e i dispositivi di protezione per i medici e operatori sanitari ha portato molti dirigenti e provveditori a velocizzare tutte le normali procedure, anche al di là di quanto offerto dalle attuali procedure d’emergenza. In altri casi si sono anche sperimentate partnership con università, centri di ricerca e ospedali per dare risposte all’emergenza. Queste sono tutte esperienze su cui occorre riflettere per passare da un procurement tradizionale a uno strategico.

Si tratta di un’evoluzione che non ha come obbiettivo solo il cambiamento delle modalità di acquisto, ma della governance sanitaria in generale.

“I tempi sono più che maturi – osserva Cusumano – ma dobbiamo anche tenere conto del fatto che la sanità italiana degli ultimi dieci anni ha dovuto fare i conti con ristrettezze economiche: chi si è occupato di acquisti negli ultimi dieci anni, sia dentro le aziende sanitarie sia all’interno delle centrali di committenza, ha dovuto fare le nozze con i fichi secchi, e industriarsi per introdurre innovazione. Oggi per passare a un procurement strategico, al di là di utilizzare strumenti innovativi come l’Health Technology Assessment, occorre anche la capacità di muoversi al di fuori di quelle che sono le procedure standard, e un’abilità di adattamento e di interlocuzione con il mercato di riferimento”.

Vale a dire prendere l’iniziativa, non limitarsi a pubblicare un bando e aspettare che qualcuno risponda, non programmare gli acquisti di mese in mese ma adottare un approccio più olistico e sistematico, che sia capace di coinvolgere tutti gli attori e i vari livelli di acquisti. Quello che si sarebbe dovuto fare in questi mesi per acquistare le dosi di vaccini antinfluenzali e che alcune regioni hanno messo in atto meglio di altre. Tra tecnicismi, prezzi iniziali troppo bassi e ritardi vari, regioni come la Lombardia rischiano di non avere dosi sufficienti per tutti.

Saper pianificare

Gli esperti che abbiamo intervistato nella Live sono tutti concordi nel ribadire la necessità di una pianificazione più approfondita: “Se vogliamo fare acquisti strategici – sottolinea Cusumano – bisogna avere una programmazione sanitaria aziendale e regionale che ci consenta di capire dove stiamo andando”.

Anche per Donato Cavallo la pianificazione ha un ruolo cruciale: “Bisogna migliorare questa fase per poter gestire le future emergenze. Gli strumenti normativi ci sono e infatti i provveditori sanno bene quando utilizzare affidamenti diretti, procedure negoziate, etc. Il problema emerso durante la pandemia riguarda proprio la programmazione: occorreva forse una maggiore sinergia tra il governo centrale che è subentrato dopo e, in alcuni casi, non ha ottemperato in maniera tempestiva alle esigenze che esprimevano le singole regioni”.

Per effettuare acquisti strategici è essenziale una programmazione sanitaria aziendale e regionale

Sarebbe utile stipulare accordi quadro con più fornitori, ad esempio, in modo tale da avere sempre un’alternativa nel caso in cui il primo fornitore della lista non fosse disponibile. Come successo proprio durante la pandemia e come racconta lo stesso Cavallo, sarebbe auspicabile una interlocuzione quasi in tempo reale con gli altri livelli di acquisti (Regione e Governo) per valutare insieme le varie strategie:

“Nei primi mesi della pandemia, ogni giorno ci collegavamo online con il Commissario Arcuri – racconta il responsabile acquisti della Regione Lazio – e ogni collega doveva descrivere la propria situazione, dicendo cosa era arrivato, cosa mancava, etc. Ecco, questo modello di comunicazione deve essere tenuto in considerazione in previsione di dover gestire una seconda fase emergenziale”.

Le produzioni strategiche

Se la Cina rimane il produttore numero uno di mascherine e in Italia se ne producono troppo poche per soddisfare le esigenze del Paese, come si può sperare di avere una produzione strategica nostrana nel caso di una nuova emergenza sanitaria?

“So che non è possibile un ritorno alla vecchia riserva di legge – taglia corto Torrisi – ma se vogliamo tutelare le produzioni nazionali occorre prevedere nelle gare che il 30% sia lasciato alle produzioni nazionali. Noi non abbiamo altri strumenti da introdurre per poter tutelare la produzione italiana, perché è anche difficile immaginare una gara prezzo/qualità su una mascherina: non saprei onestamente che griglia fare per potere valutare, oppure dovrei mettere una serie di accorgimenti di sostenibilità o relativi al ciclo di produzione che possano tutelare la produzione nazionale. Però ci deve essere consenso generale su questo approccio, altrimenti io che compro la “mascherina green” a, ipotizziamo, 35 centesimi e vengo poi additato come lo sprecone perché altri colleghi, che invece la prendono dall’estero, la pagano 5 centesimi. Se si cambia atteggiamento e si basano i rapporti sulla fiducia, allora la protezione della filiera è possibile, altrimenti noi come provveditori non abbiamo alternative”.

Come sviluppare un sistema di approvvigionamenti più strategico, che punti sull’innovazione e non solo sul risparmio?

Il Recovery Fund, un’occasione da non perdere

Per passare a un sistema di approvvigionamenti strategico il Recovery Fund potrebbe essere un’occasione d’oro. Letteralmente. Parliamo di qualcosa come 68 miliardi di euro destinati alla sanità italiana che saranno erogati non alla cieca, ma secondo la qualità dei progetti presentati all’Ue. Il procurement sanitario, razionalizzato e reso finalmente efficiente, potrebbe essere l’occasione per usare questi fondi in modo concreto, partendo proprio dalla valorizzazione dei processi e degli acquisti.

Il primo passo per spendere bene le risorse del Recovery Fund, quando arriveranno (non oggi, semmai nei prossimi anni) sarà dotarsi di programmi di acquisto regionali e nazionali (ma anche aziendali, perché le aziende sono poi quelle che erogano tutti i servizi sanitari). In questo modo si coinvolgono subito gli acquisti e si da seguito a quanto prescritto nella programmazione, senza attendere direttive regionali estemporanee che chiedono di fare acquisti oggi per domani, senza programmazione.

Il Decreto Semplificazioni (o Complicazioni?)

Da ultimo si è parlato del Decreto Semplificazioni (n. 76 del 2020): approvato lo scorso luglio, diventato legge poche settimane fa, a sentire chi si occupa di procurement non semplifica e non innova, anzi forse complica le cose. “Gli strumenti del codice appalti e delle direttive comunitarie sono sufficienti – spiega Cavallo – per accelerare le gare urgenti. Questo decreto credo abbia generato un po’ di preoccupazione tra i Responsabili Unici del Procedimento (RUP) che hanno sei mesi di tempo per aggiudicare una gara complessa. Il legislatore italiano sta cercando sempre di dettagliare troppo in profondità qualcosa che già esiste, ma noi non abbiamo bisogno di altre leggi per lavorare. Il sistema delle procedure regge benissimo ad impatti emergenziali. La cosa importante è focalizzarsi su una pianificazione strategica a medio e lungo termine, facendo in modo che venga salvaguardata o comunque incentivata una produzione nazionale. E non parlo solo di mascherine, che ormai hanno più che altro una valenza sociale, ma di apparecchiature elettromedicali, come i ventilatori, fondamentali per assistere i pazienti in terapie intensiva”.

La partita del procurement è complessa e la pandemia ci ha mostrato quanto il settore degli approvvigionamenti sia più strategico di quanto si potesse pensare prima dello scorso febbraio. Si vedrà in questi mesi se la misura di questa sfida sia stata correttamente percepita e se il sistema è pronto a vincerla.

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Angelica Giambelluca
Giornalista professionista in ambito medico