Il mondo dei farmaci biosimilari è sempre stato un laboratorio di soluzioni innovative e sperimentali anche per quanto riguarda la creazione di nuove regole e nuove procedure. La ragione è insita nell’importanza economica del settore, che coinvolge farmaci molto spesso onerosi per il SSN e nella possibilità di generare notevoli risparmi di denaro pubblico senza alcun abbassamento della qualità dell’assistenza farmaceutica. Anzi, come ben indicato dall’art. 15, comma 11 quater, d.l. n. 95/12, un efficiente uso delle procedure di acquisto per farmaci biologici e biosimilari consente di abbinare al già importante risultato di razionalizzare la spesa farmaceutica anche quello, non meno importante, di mettere a disposizione dei medici una pluralità di farmaci tra cui scegliere la prescrizione.
Questa fucina normativa, tuttavia, è sempre stata alimentata da scelte innovative di talune pubbliche amministrazioni, cui va riconosciuto il merito di essersi inventate – nel vero senso della parola – soluzioni che ai più apparivano impossibili da applicare e da coraggiose decisioni dei giudici amministrativi, ai quali è stato chiesto di scrutinare la legittimità di quelle stesse scelte coraggiose della P.A.; il tutto senza dimenticare i paletti regolatori, posti principalmente da AIFA, che ha saputo modularli rapidamente per seguire la veloce evoluzione scientifica in questo ambito (il riferimento è in primis ai due position paper sui biosimilari).
In alcuni casi la PA ha adottato scelte coraggiose, spesso poste al vaglio dei giudici amministrativi
Basti ricordare, ad esempio, quanto ha segnato la prassi delle gare per l’acquisto di farmaci biologici e biosimilari il leading case rappresentato dalla sentenza del Consiglio di Stato, Sez. III, n. 3572 del 13 giugno 2011, in un contesto normativo caratterizzato dall’assoluta assenza di norme specifiche sui biosimilari ed anche anteriore al primo position paper di AIFA sul tema. In quel giudizio, i giudici di Palazzo Spada riconobbero la legittimità non soltanto della gara a lotto unico, in cui cioè biosimilare ed originatore erano in concorrenza per il fabbisogno per i pazienti naive (eravamo ben prima del secondo position paper di AIFA che, nel 2018, ha aperto allo switch come regola) ma anche del meccanismo, inventato dalla Regione Toscana, di vincolare tutti i partecipanti alla gara al prezzo offerto, ancorché non aggiudicatari, per eventuali acquisti a trattativa privata, ad esempio per continuità terapeutica.
Forse siamo nuovamente di fronte ad un punto di svolta giurisprudenziale, sicuramente destinato ad indurre in tutti, ed in primis nei giudici amministrativi, un ripensamento di alcune dinamiche recenti, che si sono verificate nelle gare in accordo quadro ex art. 15, comma 11 quater, e che hanno interessato il rapporto tra originatore e biosimilari.
La scintilla scatenante è anche questa volta il ruolo dell’originator nelle gare per accordo quadro: è un dato di fatto che, molto spesso, l’ex monopolista non accetta la competizione concorrenziale sul prezzo e tende a mantenere la propria offerta in gara sui medesimi prezzi praticati prima dell’ingresso sul mercato alla concorrenza. Ciò perché, in linea di principio, l’originatore decide di conservare la propria quota di mercato soltanto in relazione ai pazienti in continuità terapeutica, ossia su quei pazienti, il cui numero necessariamente è destinato a scendere progressivamente fino ad azzerarsi, che hanno iniziato la terapia con l’originatore stesso, verosimilmente prima dell’ingresso dei biosimilari; al contempo, per mantenere una quota di mercato non concorrenziale, l’originatore confida che alcuni medici prescrittori ritengano non consigliabile operare uno switch verso un farmaco biosimilare a minor costo (nonostante – lo ricordiamo – lo switch appaia comunque la strada maestra indicata nel secondo position paper di Aifa).
Beninteso, si tratta di una pratica che dal punto di vista commerciale appare certamente possibile; il punto è, semmai, verificare se tale atteggiamento possa, in talune particolari situazioni, configurare un abuso concorrenziale, nella forma dell’abuso di posizione dominante nel mercato per la continuità terapeutica. Ma questo, chiaramente, esula da un’indagine sul piano giuridico ed astratto, poiché andrebbe chiarito caso per caso, in base al contesto di fatto specifico di ogni procedura e agli effetti di tale comportamento.
Quel che è certo è che questo atteggiamento finisce per vanificare, almeno in parte, gli sforzi delle stazioni appaltanti verso l’ottimizzazione della spesa farmaceutica: la quota di continuità terapeutica con l’originatore rimarrà, per un tempo più o meno lungo, vincolata ai prezzi precedenti alla concorrenza e le procedure di acquisto per continuità terapeutica, normalmente a trattativa privata, non sono in grado di ottenere condizioni significativamente migliorative.
Per ovviare a tale situazione, e cercare quindi di ottenere prezzi in linea con il valore di mercato del farmaco anche per la continuità terapeutica, la Regione Piemonte e la sua centrale d’acquisto hanno stabilito che, in una gara per accordo quadro, la fornitura sarebbe avvenuta esclusivamente con i tre aggiudicatari e con tutti gli altri farmaci validamente in graduatoria.
Ciò anche per le esigenze di continuità terapeutica, per le quali, in sostanza, solo il farmaco in graduatoria, ancorché non aggiudicatario, poteva essere prescritto con conseguente switch nel caso in cui esso non fosse disponibile, perché non ha partecipato alla gara o perché ne è stato escluso.
Il punto è che questo meccanismo, già di per sé critico rispetto all’estensione della garanzia di continuità terapeutica, va necessariamente combinato con i meccanismi di gara, ed in particolare con la determinazione della soglia a base d’asta. È evidente, infatti, che quanto più la base d’asta sarà elevata tanto minore è il rischio che l’originatore (o comunque il farmaco con prezzo molto superiore a quello di mercato) non sia disponibile; al contrario, se la base d’asta è molto vicina al reale prezzo concorrenziale, allora accadrà frequentemente che un concorrente non possa, o non voglia, scendere a quel prezzo. Nel primo caso, non vi saranno particolari ripercussioni sulla continuità terapeutica ma non si otterrebbe il risparmio ottimale; nel secondo caso, un eventuale rifiuto della gara per il concorrente che garantisce la continuità terapeutica pone problematiche aggiuntive.
Continuità terapeutica e determinazione della base d’asta sono elementi correlati
In questa situazione, quel che accade è in sostanza una prova di forza tra centrale d’acquisto e impresa: la prima impone, a pena di esclusione dalla gara e da qualsiasi tipo di approvvigionamento, un prezzo sopra il quale non è disposta a salire; la seconda ha la possibilità di aderirvi, garantendosi almeno la fornitura per continuità terapeutica, oppure di “rompere” la fornitura, anche per i pazienti già in trattamento.
Tocca ancora una volta al T.A.R. per il Piemonte fare da apripista nella ricerca di una soluzione giuridica al problema: è legittimo o no impostare una gara nella quale, se l’ex monopolista non vuole o non può almeno uguagliare la base d’asta, il SSR non lo acquisterà nemmeno per esigenze di continuità terapeutica?
La sentenza è certamente coraggiosa anche se con ogni probabilità occorrerà verificarne la tenuta davanti al giudice d’appello.
La soluzione cerca di salvaguardare entrambe le esigenze: la parte centrale del ragionamento è che, in buona sostanza, l’amministrazione può determinare basi d’asta inferiori rispetto al prezzo dell’ex monopolista – purché ovviamente esse siano legittime ossia consentano la partecipazione di un numero sufficiente di imprese per garantire la concorrenza – e che il rifiuto del confronto concorrenziale da parte di quest’ultimo non appare giustificato alla luce dell’intera normativa di settore. Cosicché, se effettivamente l’originatore non vuole o non può offrire un prezzo almeno pari alla base d’asta determinato dalla stazione appaltante, allora non potrà beneficiare di acquisti pubblici.
D’altro canto, il T.A.R. torinese è perfettamente consapevole di non poter concludere, per questa via, che la garanzia della continuità terapeutica non sussiste tout court. Ecco che, allora, il punto di equilibrio viene ritrovato nell’affermazione che al paziente può comunque e sempre essere prescritto il farmaco necessario per la continuità terapeutica ma il prezzo di tale acquisto non può gravare sul SSN, e rimane dunque a carico del paziente stesso.
Giuridicamente, questa conclusione poggia soltanto in parte su basi solide. Infatti, essa appare conforme alla lettera dell’art. 15, comma 11 quater, nella parte in cui stabilisce che il medico può comunque prescrivere ogni farmaco che abbia preso validamente parte alla procedura di accordo quadro con più operatori. La garanzia di legge, infatti, presuppone che il farmaco in questione, ancorché non aggiudicatario (ossia non classificatosi tra i primi tre), possa essere “comunque” prescritto per la continuità terapeutica solo se esso sia “incluso” nella procedura di accordo quadro (comma 11 quater, lett. a-b). Il riferimento terminologico alla inclusione comporta che, a contrario, il farmaco che ne sia stato escluso non gode della garanzia di legge per la continuità terapeutica.
Obiettivi dell’accordo quadro sono la razionalizzazione della spesa e nel contempo l’ampia disponibilità di terapie
La seconda base giuridica solida è rappresentata dagli obiettivi della procedura di accordo quadro, che la legge chiaramente indica non soltanto nel mettere a disposizione del medico una pluralità di farmaci tra cui scegliere la terapia più adatta ma al contempo anche la razionalizzazione della spesa farmaceutica. Ed è evidente, per quanto sopra detto, che questo secondo obiettivo non può essere lasciato totalmente nella disponibilità dell’industria, lasciando cioè libera scelta se praticare un prezzo in linea con il mercato oppure se mantenere un prezzo da monopolista.
Infine, la soluzione proposta dal T.A.R. per il Piemonte interpreta perfettamente le osservazioni che l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato pubblicò durante l’iter di approvazione dell’attuale art. 15, comma 11 quater stesso. In quell’occasione, l’AGCM aveva rilevato che: a) la base d’asta di un accordo quadro con più aggiudicatari non può coincidere con il prezzo massimo di cessione al SSN del farmaco biologico di riferimento (ossia con il prezzo dell’originatore da ex monopolista), dal momento che ciò avrebbe l’effetto di spingere i prezzi dei biosimilari al rialzo verso quel prezzo, anziché al ribasso verso il valore di mercato; b) l’espressa esclusione di un obbligo di motivazione, (poi espunta nella versione finale della norma) per il medico prescrittore, che intenda utilizzare il farmaco non aggiudicatario per continuità terapeutica, è in grado di vanificare l’obiettivo pro-concorrenziale della norma e la finalità specifica di ottenere i risparmi di spesa auspicati.
Resta allora da verificare se la soluzione proposta sia effettivamente un giusto equilibrio e se, in particolare, la continuità terapeutica sia ancora un dogma non negoziabile. Se prima del secondo position paper di AIFA sui biosimilari ciò non era mai stato messo in discussione dal giudice amministrativo, presumibilmente per la mancanza di un sufficiente supporto tecnico-scientifico in tal senso, questa conclusione potrebbe ora mutare, considerando che è l’autorità regolatoria che ritiene, di regola, sempre praticabile lo switch.
Ciò sta a significare che il paziente già in trattamento con un farmaco non vincitore della procedura di accordo quadro può, in linea di principio, sempre proseguire il trattamento con uno dei tre farmaci aggiudicatari. Ciò a maggior ragione in considerazione del fatto che l’art. 15, comma 11 quater lett. b), ulteriormente stabilisce che i pazienti devono essere trattati con uno dei primi tre farmaci e che il quarto (e il quinto, il sesto, ecc.) sia prescrivibile per motivate esigenze di continuità terapeutica.
La conclusione cui giunge il T.A.R. per il Piemonte probabilmente non convincerà tutti: vi sarà chi continuerà a ritenere che la continuità terapeutica va garantita – letteralmente – ad ogni costo e chi, facendo leva su di una interpretazione costituzionalmente orientata espressa anche dalla sentenza in commento, affermerà che le risorse pubbliche non sono infinite. Quel che è certo è che questa sentenza mette a nudo un punto critico del sistema che si è creato, quando conclude che l’esigenza di continuità terapeutica non può essere la cartina di tornasole per perseguire strategie di prezzo non concorrenziali a danno del SSN.