La valutazione dell’innovatività: il bilancio di una prima esperienza

Intervista a Patrizia Popoli, Direttore del Centro Nazionale Ricerca e Valutazione preclinica e clinica dei Farmaci (CNRVF) dell’Istituto Superiore di Sanità e Presidente della Commissione Tecnico Scientifica (CTS) dell’AIFA.

Intervista a Patrizia Popoli
Direttore del Centro Nazionale Ricerca e Valutazione preclinica e clinica dei Farmaci (CNRVF) dell’Istituto Superiore di Sanità e Presidente della Commissione Tecnico Scientifica (CTS) dell’AIFA

Qual è il suo bilancio di questo primo anno di applicazione della normativa che individua i criteri per la definizione dell’innovatività?

Dai commenti che abbiamo ricevuto e dai confronti con i diversi stakeholders, anche nel corso di convegni nei quali si è trattato questo tema, possiamo dire che complessivamente la novità è stata accolta con favore: abbiamo registrato una reazione positiva soprattutto rispetto all’approccio adottato, improntato ad una maggiore trasparenza rispetto al passato, grazie alla definizione e pubblicazione dei criteri per l’attribuzione del carattere di innovatività. In generale, il metodo applicato è stato apprezzato ed è risultato piuttosto condiviso da tutti, anche se, ovviamente, esistono sempre margini di miglioramento. Anche di questi aspetti si è discusso molto, e penso che alcune riflessioni potrebbero essere utili per la prossima Commissione.

Quali sono gli elementi che hanno suscitato qualche criticità o qualche riflessione, anche per il futuro?

Innanzitutto, un elemento che molto spesso le aziende farmaceutiche hanno fatto notare riguarda la terminologia utilizzata nelle valutazioni: per i criteri di bisogno terapeutico e valore terapeutico aggiunto sono stabiliti dei livelli basati su giudizi espressi in scala, da “massimo” a “scarso” o “assente”. Alcune definizioni di questi livelli possono essere interpretate in maniera errata. Per esempio, se per un farmaco il giudizio relativo al valore terapeutico aggiunto risulta essere “scarso” non si deve intendere che il valore terapeutico del farmaco sia “scarso” in senso assoluto, ma semplicemente che, quando lo compariamo all’alternativa terapeutica corrispondente di cui già disponiamo, questo farmaco offre sì dei vantaggi ma solo di scarsa entità. Quindi, non solo il farmaco è ammesso alla rimborsabilità, ma gli viene riconosciuto comunque un vantaggio rispetto all’esistente. È comprensibile che, quando si esprime un valore di “scarso”, questo possa essere interpretato non correttamente estendendolo al valore terapeutico intrinseco del nuovo farmaco, ma così non dovrebbe essere. E per questa ragione abbiamo sempre cercato, in ogni occasione in cui se ne è parlato, di chiarire questo potenziale equivoco. Una possibilità per evitare tali fraintendimenti potrebbe essere sostituire i giudizi con un’indicazione numerica corrispondente, come ad esempio una scala con valori di livello da 1 a 5.

Alcuni hanno invece avanzato dei commenti in merito all’innovatività per i farmaci oncologici, facendo notare che sarebbe stato utile stabilire dei criteri maggiormente dettagliati non solo per i diversi tipi di tumore ma anche per le diverse linee terapeutiche. Al momento non abbiamo previsto dei criteri diversi per i farmaci oncologici perché ritenevamo che questo non fosse corretto, in quanto ci sembrava giusto adottare un principio comune per tutti i farmaci; abbiamo però inserito delle note esplicative in merito agli indicatori di efficacia in oncologia, per evidenziare gli aspetti maggiormente importanti per questa tipologia di farmaci. La necessità di un maggiore livello di dettaglio sulle linee terapeutiche in oncologia potrebbe essere in effetti valutata in futuro.

La qualità delle prove attualmente viene giudicata tramite il metodo GRADE, che prevede delle indicazioni abbastanza rigide: un altro suggerimento che abbiamo ricevuto è stato quello di interpretare questo giudizio sul valore delle prove in maniera un po’ più elastica.

Una riflessione scaturita invece all’interno della Commissione, e che ha portato ad alcune modifiche del nostro modo di procedere già nel corso di questi ultimi mesi, ha riguardato la necessità di giustificare con maggiore dettaglio i giudizi, elaborando una relazione più estesa che spiegasse le ragioni alla base di una determinata decisione. Ad esempio, per rendere conto pienamente del bisogno terapeutico esistente in una specifica patologia è necessario illustrare in maniera esaustiva quali sono le opzioni terapeutiche a disposizione e soprattutto qual è il livello di efficacia dei farmaci disponibili. Se pensiamo al morbo di Parkinson, ad esempio, esiste già un certo numero di farmaci disponibili, che tuttavia sono efficaci solo sulla riduzione dei sintomi, e non “curano” la malattia: in questo caso, come in altri, il bisogno terapeutico rimane alto pur in presenza di farmaci in commercio. Analogamente, per il valore terapeutico aggiunto vanno riportate tutte le evidenze che sono state considerate per misurare il valore terapeutico della molecola in analisi e per il confronto con le alternative. È opportuno esplicitare meglio quali sono gli studi, quali le evidenze, quali i parametri presi in considerazione. Come dicevo, la Commissione ha già adottato un maggiore livello di dettaglio nelle sue relazioni ma sicuramente è un aspetto da tenere ben presente e cercare di migliorare ancora.

Un suggerimento avanzato da più parti, anche pubblicamente nel corso di eventi, ma al quale abbiamo deciso di non dare seguito è stato il collegamento tra la valutazione dell’innovatività e la definizione del prezzo del farmaco. Al momento abbiamo deciso di voler tenere disgiunti i due aspetti ritenendo che la valutazione dell’innovatività fosse di pertinenza tecnico-scientifica e che quindi dovesse prescindere dal costo del farmaco.

Per quanto riguarda l’eventualità di assegnare un “premium price” al farmaco riconosciuto come innovativo, in analogia con quanto avviene in altri Paesi, di fatto nel nostro sistema il farmaco innovativo viene già “premiato” con vantaggi economici, e anche consistenti: innanzitutto perché non è sottoposto all’obbligo di sconto del 5%+5% ma, aspetto ancora più rilevante, perché l’azienda farmaceutica non partecipa al ripiano della spesa in caso di sfondamento.

Nella sua esperienza, quale dei 3 criteri può essere maggiormente correlato all’attribuzione del carattere di innovatività?

Ovviamente tutti e tre i criteri devono essere soddisfatti: devono essere presenti il bisogno terapeutico e il valore terapeutico aggiunto, e le prove che sono state portate dall’azienda a dimostrazione della propria tesi devono essere robuste. Però è il valore terapeutico aggiunto l’elemento maggiormente importante, fermo restando che anche gli altri due criteri devono essere sempre a livelli alti. Ovviamente, con una qualità delle prove bassa, a meno che non si tratti di una patologia rara, non si può riconoscere l’innovatività perché viene meno tutta l’impostazione di base: se le prove non sono affidabili, non possiamo parlare di innovatività.

Per concludere, le chiediamo un commento sull’utilizzo dei fondi nei 2017 e per i prossimi anni.

I fondi assegnati per il 2017 non sono stati usati per intero e questo è dipeso, in grandissima parte, dal fatto che si è iniziato a lavorare sull’innovatività tardi, nel corso dell’anno. I criteri sono stati pubblicati a inizio aprile 2017 e da lì sono cominciate le domande delle aziende. Anche nei casi in cui la Commissione si è espressa in tempi molto rapidi, come ad esempio per Spinraza, i tempi per il completamento della procedura sono comunque piuttosto lunghi: una volta che la Commissione concede l’innovatività, il farmaco passa al Comitato Prezzi e Rimborso per la negoziazione con l’azienda e, raggiunto l’accordo, viene effettuata la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. Dal quel momento inizia l’iter per l’inserimento nei Prontuari Terapeutici Regionali. È evidente che sono necessari alcuni mesi per completare tutto il processo per cui, nel 2017, l’applicazione dei criteri e della normativa è potuta avvenire solo nella seconda metà dell’anno. A mio parere, difficilmente si sarebbero potuti spendere tutti i fondi assegnati al 2017: sicuramente, se fosse stata prevista la disponibilità per 12 mesi di anno solare, la situazione sarebbe stata diversa. Dalle proiezioni già disponibili per i primi mesi del 2018, sembra che i fondi dovrebbero essere occupati per intero quest’anno, una volta andati a regime. Rimangono comunque i tempi lunghi per il completamento di tutto l’iter.

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