«Confidiamo che dopo una rapida condivisione in Commissione Salute, già nella seduta della Conferenza Stato-Regioni del 13 febbraio prossimo dovremmo poter avere il testo finale per arrivare poi all’intesa definitiva». Parola di Massimo Fabi, Coordinatore della Commissione Salute della Conferenza delle Regioni. Il riferimento è al via libera alle linee guida per la Piattaforma nazionale per il monitoraggio delle liste d’attesa, il cui testo ha subito un arresto proprio in Conferenza Stato-Regioni il 18 dicembre scorso.
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«È stato chiesto un approfondimento, peraltro già concluso, su alcuni punti sollevati dai tecnici delle Regioni – spiega Fabi a TrendSanità -. In sostanza, non è stata accolta la richiesta formulata dalle Regioni di avere a disposizione 120 giorni per adattare i sistemi informativi e le procedure alla nuova piattaforma nazionale dalla data di pubblicazione del decreto; il Governo ha rimodulato la richiesta a 60 giorni, un termine entro cui alcune Regioni potrebbero risultare non pienamente adempienti».
Nel testo è poi stata fissata entro il 15 marzo la predisposizione delle Linee guida di realizzazione, funzionamento e interoperabilità della Piattaforma nazionale, contenente le specifiche tecniche per l’invio giornaliero dei dati, complete del tracciato di trasmissione, da parte di AGENAS.
La lunga attesa
Lo scorso anno, alla vigilia delle Elezioni europee, il Governo ha approvato in fretta e furia un decreto per abbattere le liste d’attesa che però, a distanza di otto mesi, non è ancora pienamente operativo.
Tra le novità introdotte, l’individuazione di un Responsabile unico regionale dell’assistenza sanitaria, l’unificazione delle agende delle strutture pubbliche e del privato accreditato in un unico CUP regionale in modo da poter ricorrere a quest’ultimo nel caso in cui non si riesca a erogare una prestazione nei tempi previsti attraverso il canale pubblico. E, appunto, una Piattaforma istituita presso AGENAS che monitori l’andamento delle prenotazioni nelle Regioni. Una volta che sarà dato il via libera, le Regioni avranno 30 giorni per predisporre il progetto operativo per connettere le piattaforme regionali con quella nazionale.
Il decreto sulle liste d’attesa, approvato dal Governo alla vigilia delle Elezioni europee 2024, a otto mesi di distanza non è ancora operativo
A fine gennaio la Fondazione GIMBE ha denunciato come, a sei mesi dall’approvazione della norma, fosse stato emanato solo un decreto attuativo dei sei previsti. Pronta la risposta di Franco Zaffini, presidente della Commissione Sanità e Lavoro al Senato, che ha sostenuto che i decreti licenziati dal Governo sarebbero quattro – di cui tre sono in attesa dell’intesa della Conferenza Stato-Regioni – e che «due lo saranno nei prossimi giorni».
AMOIp: «Non vogliamo essere medici al 50%»
Tra le componenti che pesano sulle liste d’attesa, ci sarebbero anche le regole diverse tra pubblico e privato: «Noi riteniamo che nel sistema sanitario italiano ci debba essere un servizio pubblico forte e aperto a tutti i cittadini. Vorremmo però che il privato puro e il privato convenzionato potessero dare il proprio contributo», afferma Sergio Di Martino, endocrinologo e Presidente AMOIp, l’Associazione dei Medici e degli Odontoiatri liberi professionisti.
«Noi non possiamo erogare certificazioni per le esenzioni, oppure i piani terapeutici: per ottenerli, i pazienti che si sono rivolti a noi devono inserirsi nel flusso del pubblico». La ratio è che il controllo della spesa pubblica rimanga all’interno del SSN. «Il punto è che chi ne ha bisogno non viene ovviamente respinto dalla sanità pubblica. Solo, deve aspettare di più. Come liberi professionisti ci rendiamo disponibili a essere monitorati nei flussi prescrittivi e a iniziare la sperimentazione per alcune classi di farmaci – continua Di Martino – . L’importante è che ci sia riconosciuto un diritto, nell’interesse prioritario dei pazienti. I nostri, ma anche quelli del SSN, perché a questo punto chi si rivolge al privato non andrà a sovraccaricare il lavoro dei colleghi del pubblico, già gravosissimo».
«Noi non possiamo erogare certificazioni per le esenzioni, oppure i piani terapeutici: per ottenerli, i pazienti che si sono rivolti a noi devono inserirsi nel flusso del pubblico»
L’erogazione tardiva del piano terapeutico comporta, secondo Di Martino, un ritardo nell’inizio delle cure, un ulteriore aggravio sui pronto soccorso e talvolta anche sulle terapie intensive. «L’iperparatiroidismo primario per esempio comporta un incremento dei valori del calcio – spiega l’endocrinologo -. Si tratta di una condizione che, una volta inquadrata, noi potremmo trattare con una terapia attraverso il piano terapeutico, invece siamo costretti a mandare il paziente al pronto soccorso. Lì il cittadino viene compensato provvisoriamente e mandato a casa, dove deve attendere le liste di attesa per ricevere il piano terapeutico. Se nel frattempo si scompensa di nuovo, deve tornare in pronto soccorso o in terapia intensiva. Secondo noi questo circolo vizioso si può spezzare: noi siamo per una sanità pubblica forte, ma riteniamo che questa debba tenere conto anche della componente privata. Non possiamo fare i medici al 50%».
Altri esempi frequenti riguardano i nuovi anticoagulanti orali per la prevenzione della trombosi venosa profonda, che non possono essere prescritti dai flebologi privati, oppure le gravidanze a rischio, che possono essere certificate solo dal sistema pubblico.
Aspettare il dentista
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L’offerta del pubblico per gli odontoiatri è molto limitata e accessibile solo ad alcune categorie vulnerabili: «Abbiamo liste d’attesa di 6 mesi mediamente e anche qui c’è un problema molto serio. Consideriamo che la cura del cavo orale è fondamentale anche per un benessere dell’organismo. Noi abbiamo portato dei dati che riguardano, ad esempio, le pulpiti, processi infiammatori per carie: se il paziente viene fatto attendere troppo possiamo arrivare a ascessi e situazioni più serie».
Una fetta di pazienti che non può rivolgersi al privato rinuncia alle cure odontoiatriche, con tutto quello che ne consegue.
«La nostra proposta è stringere una convenzione tra pubblico e privato, anche con i singoli studi odontoiatrici e non soltanto con le strutture più grosse, stabilendo dei parametri che al tempo stesso siano sostenibili e accettabili per chi deve erogare i servizi. In questo modo, anche chi ha difficoltà avrebbe più possibilità di accedere alle cure odontoiatriche», conclude il presidente AMOIp.
Cosa stanno facendo le Regioni
«Tutte le Regioni hanno predisposto i programmi di abbattimento delle liste d’attesa», fa il punto Massimo Fabi, ammettendo che «non tutto è stato finalizzato nei tempi previsti perché il riparto 2024 delle risorse ha risentito dei tempi legati alla verifica del decreto ministeriale che individuava le nuove tariffe delle prestazioni di specialistica ambulatoriale. Il riparto si è poi concluso nella seconda metà dell’anno».
Questo significa che la maggior parte delle Regioni ha impiegato la percentuale definita per legge, cioè lo 0,4% del Fondo Sanitario Nazionale. Le altre, hanno accantonato questo “tesoretto”, in attesa di finalizzarlo. «Questo tuttavia non esaurisce il quadro, che è molto più complesso: le Regioni stanno chiedendo al Governo che venga reintrodotto lo 0,7% del Fondo sanitario nazionale dedicato ai piani di contenimento dei tempi di attesa, una proposta che lo stesso Esecutivo aveva avanzato nella prima stesura della Finanziaria e che garantirebbe flessibilità nel rapporto col privato accreditato e nel reclutamento del personale sanitario oltre i tetti di spesa».
Le Regioni stanno chiedendo la reintroduzione dello 0,7% del Fondo sanitario nazionale per i piani di contenimento dei tempi di attesa
La Regione Emilia Romagna, di cui Fabi è assessore, ha destinato più di 50 milioni di euro di risorse proprie («ben oltre lo stanziamento dello 0,4% sul Fondo sanitario nazionale previsto dal Governo»), ovvero 38 milioni, per ridurre le liste d’attesa, erogando più di un milione e mezzo di prestazioni aggiuntive nel 2024. «Questo ha migliorato in modo significativo i tempi di attesa, così come l’introduzione sistematica delle pre-liste di presa in carico e la disponibilità delle agende a 24 mesi. Ma lo sforzo delle Regioni non è sufficiente. Senza un piano nazionale vero, condiviso dal Governo centrale con i territori, rischiamo di privare milioni di cittadine e cittadini del diritto primario alla cura e alla salute, un diritto costituzionale. Uno scenario che, ci auguriamo, possa cambiare rapidamente», afferma Fabi.
L’importanza della programmazione
E le risorse sono il tema cruciale, secondo il Coordinatore della Commissione Salute della Conferenza delle Regioni: «L’indicizzazione all’inflazione e il finanziamento della sanità in rapporto al PIL nazionale che deve crescere coerentemente anno per anno sono le leve da azionare per dare ossigeno alla sanità pubblica e universalistica che rimane il nostro obiettivo prioritario. La salute inizia dalla prevenzione, dalla cultura della prevenzione, e poggia sulla rete dei professionisti e degli operatori sanitari. Senza le persone, le risorse umane, non si può garantire questo bene prezioso che ci riguarda tutti. E qui va sottolineato che siamo in grande ritardo sulla formazione degli infermieri rispetto ai Paesi OCSE: in Italia 6,5 unità per mille abitanti contro 9,8 dei Paesi OCSE e 16,4 laureati su 100mila abitanti rispetto ai 44,9 di media OCSE. Per non parlare delle retribuzioni che vanno allineate a quelle dei Paesi europei più avanzati, e ritorniamo così al tema delle risorse».
Risorse significa però anche buona programmazione: «E questo riguarda anche noi, le Regioni, che, in una situazione difficile quale quella attuale, devono fare squadra, ad esempio incidendo sull’appropriatezza delle prescrizioni per evitare zone grigie e sprechi. Un lavoro che deve essere fatto insieme ai professionisti e allineando a livello nazionale regole, protocolli e metodologie, anche dei controlli. Quindi, risorse aggiuntive, ma con un contestuale lavoro sulla valutazione di appropriatezza dei setting assistenziali e delle indicazioni», conclude Fabi.