Le cardiopatie congenite (CC) vengono definite come un gruppo eterogeneo di patologie caratterizzate da alterazioni strutturali del cuore o dei grossi vasi già presenti durante la vita fetale. Costituiscono la malformazione più comune alla nascita (40%) e colpiscono circa un neonato ogni 100 nati vivi in Italia.
Le manifestazioni cliniche possono variare da semplici malformazioni ad esito benigno, a lesioni più complesse, che richiedono interventi di cateterismo o chirurgici multipli, con risultati, a volte, prognosticamente sfavorevoli.
Le CC hanno un’origine multifattoriale: in una piccola percentuale dei casi sono implicate cause ambientali quali patologie materne (es. diabete mellito, obesità, infezioni virali come rosolia e influenza), deficit nutrizionali (es. acido folico, vitamina A e D), esposizione a teratogeni (es. alcool, fumo, farmaci come talidomide, litio, anticonvulsivanti) e a sostanze chimiche o radiazioni. Sebbene gran parte delle CC abbiano un contributo eziologico ambientale, è difficile quantificare il ruolo specifico che i singoli fattori ambientali abbiano nello sviluppo della patologia e i meccanismi specifici attraverso i quali alterino la formazione delle strutture cardiache durante le primissime settimane di sviluppo embrionale.
Recenti evidenze cliniche hanno, inoltre, sottolineato come nella patogenesi multifattoriale delle CC giochino sempre più un ruolo accertato cause genetiche, attraverso meccanismi complessi ed eterogenei. Tale complessità è dimostrata, ad esempio, dal fatto che una stessa malformazione cardiaca possa essere causata da diversi fattori genetici, così come singole anomalie cromosomiche o geniche possano essere associate a malformazioni cardiache diverse (fenotipi diversi).
In occasione della Giornata Mondiale delle Cardiopatie Congenite, che ricorre il 14 febbraio, la Società Italiana di Neonatologia (SIN) e la Società Italiana di Cardiologia Pediatrica e delle Cardiopatie Congenite (SICP) sensibilizzano le famiglie sull’importanza delle nuove metodiche emergenti nella diagnosi genetica pre e postnatale dell’eziologia delle CC, non solo per le implicazioni cliniche in epoca prenatale (counseling genetico dei genitori), ma anche per gli outcomes a distanza, consentendo di selezionare i pazienti a rischio e il più corretto programma di follow up per gli stessi.
Per cardiopatie congenite sindromiche si intendono sindromi in cui alla cardiopatia sono associati altri sintomi extracardiaci; per molte di esse è stata dimostrata una specifica causa genetica correlata a variazione dei cromosomi (di numero o di struttura), mutazioni di uno o più geni, o di copy number variants (CNV, cioè alterazioni di regioni genomiche di DNA presenti in un numero variabile di copie nel genoma).
«Spesso l’insieme di informazioni ottenute dalla valutazione clinica del paziente possono essere orientative per una specifica condizione sindromica, indirizzando il test genetico di laboratorio più appropriato per la diagnosi – afferma il Presidente SICP Gabriele Rinelli – Talvolta, invece, l’insieme dei dati non consente di porre una diagnosi a priori di sospetto clinico e si ricorre alla valutazione di anomalie maggiori o minori del paziente che, elaborate attraverso database computerizzati e in associazione a specifici approfondimenti clinico strumentali, possono formulare a volte un dubbio diagnostico di anomalia genica».
Nonostante i progressi nella nostra comprensione della genetica sottostante le CC, la predizione degli esiti clinici mediante l’utilizzo dei risultati genetici rimane una sfida
L’importanza clinica di una diagnosi precoce è che la conferma genetica di un quadro sindromico può guidare lo specialista alla ricerca di una particolare cardiopatia congenita, anticiparne la storia naturale, l’outcome prognostico (che può differire tra pazienti sindromici e non a parità di cardiopatia), e protocolli di follow up multidisciplinari personalizzati.
Resta, invece, più indaginosa l’identificazione dei contributi genetici alle cardiopatie congenite non sindromiche, cioè di quei quadri clinici in cui la cardiopatia congenita è isolata.
Progressi importanti nelle tecnologie di sequenziamento genico hanno consentito la scoperta di una serie di varianti in nuovi geni candidati che contribuiscono, probabilmente, all’eziopatogenesi delle CC non sindromiche.
Il sequenziamento massivo parallelo, o Next Generation Sequencing (NGS), in particolare, è una tecnologia recente che permette il sequenziamento in parallelo di milioni di frammenti di DNA o lo studio dell’ESOMA (insieme degli esoni del nostro organismo, regioni contenenti le informazioni per la corretta sintesi delle proteine del nostro organismo), consentendo un’analisi di molteplici geni contemporaneamente, con una resa diagnostica superiore e tempi più rapidi del sequenziamento tradizionale, e permettendo di identificare la mutazione, ad esempio, che causa una determinata malattia.
Inoltre, se i benefici clinici noti della diagnosi precoce genetica delle CC includono il trattamento precoce della cardiopatia e delle condizioni associate, l’opportunità di predire la probabilità che la malattia si ripresenti in altri familiari risulta “eticamente” impegnativa, poiché numerosi sono i contributi che possono influire sulla completa espressione della cardiopatia e della sua gravità.
«Nonostante i progressi nella nostra comprensione della genetica sottostante le CC, la predizione degli esiti clinici mediante l’utilizzo dei risultati genetici rimane una sfida – conclude il Presidente SIN Luigi Orfeo – La sfida per il prossimo futuro sarà rendere disponibili nuove terapie geniche per rallentare la progressione o prevenire l’insorgenza delle CC».