No-vax, i profili psicologici di chi rifiuta la vaccinazione

Un misto di paura di essere sotto controllo o di non essere adeguatamente rappresentati dai propri referenti politici, di sfiducia verso la scienza, verso la politica o la società. Ad essere minata, secondo gli esperti, è la macro-area della fiducia. Se da un lato i media hanno le loro responsabilità, anche la comunità scientifica deve interrogarsi sul divario fra scienziati e i cittadini


Un misto di paura di essere sotto controllo o di non essere adeguatamente rappresentati dai propri referenti politici, di sfiducia verso la scienza, verso la politica o la società. Chi decide di non vaccinarsi spesso vive situazioni personali e sociali di disagio precedenti e indipendenti dalla pandemia. Ad essere minata, secondo gli esperti, è la macro-area della fiducia. Dal punto di vista cognitivo la fiducia si colloca proprio in una zona intermedia fra la completa conoscenza, in presenza della quale non ci sarebbe bisogno di fidarsi, e della completa ignoranza.

Nella drammaticità della situazione epidemiologica che infierisce sulla vita e sulla salute della popolazione mondiale da ormai due anni non si può non riconoscere che, rispetto quanto accaduto durante le epidemie del passato, oggi la capacità di reagire ad un agente patogeno così aggressivo e inaspettato sia notevolmente migliorata. La creazione di un vaccino anti-Covid in tempi record ha permesso a tantissime persone di sopravvivere al virus nonostante il contagio e alle economie mondiali di trovare, in tempi relativamente brevi, una via d’uscita che permettesse a quasi tutti i cittadini di tornare ad avere quei rapporti sociali indispensabili al benessere psicosociale e a rimettere in moto l’economia delle nazioni. Un beneficio a tutti gli effetti innegabile che però non viene ancora apprezzato o riconosciuto all’unanimità.

Le ragioni, a cui senz’altro hanno contribuito una comunicazione del rischio non sempre chiara e priva di allarmismi da parte dei media così come anche una polarizzazione politica in tema di vaccini, possono trovare una spiegazione attraverso una rosa di sentimenti che vanno dalla diffidenza alla paura, fino alla avversione ideologica. Le teorie del complotto offrono certezze a cui ancorarsi in una situazione complessa su cui non possiamo avere il pieno controllo. Secondo gli esperti, questa mancanza attiva fantasie negative e paure profonde.

Dall’infodemia alla paura del vaccino

Si dice che l’infodemia sia la seconda epidemia causata dalla Covid-19. Questo termine è stato coniato dal giornalista del Washington Post David J. Rothkopf per descrivere genericamente la “patologia” che affligge chi viene sommerso da una quantità troppo alta di informazioni tanto da andare incontro ad una vera e propria indigestione mediatica. Il risultato è la totale disinformazione dal momento che, nella moltitudine di notizie in circolazione su un tema, informazioni verificate e fake news si trovano mischiate in un marasma indistinguibile. Niente di più attuale se pensiamo alle difficoltà riscontrate negli ultimi due anni di pandemia nel districarsi tra le informazioni relative alla Covid-19 e la quantità di notizie vere ma non utili a inquadrare realmente la situazione sanitaria in corso.

Come, per esempio, l’incessante e quotidiano concentrarsi dei media sui dati dei contagi anziché sui numeri dei ricoveri in terapia in tensiva considerando che ora siamo in una fase in cui i vaccini ormai sono in grado di proteggere chi si è infettato dalle conseguenze più gravi del virus.

Da questo caotico punto di partenza le reazioni personali degli individui possono essere radicalmente diverse. C’è chi, in presenza di una quantità di informazioni contraddittorie, si sente chiamato a mettere in atto uno sforzo maggiore per informarsi, partendo da una scelta più accurata delle fonti d’informazione a cui rivolgersi e adoperandosi per mettere in atto una doppia verifica delle notizie. E chi invece si fa metaforicamente travolgere dalla corrente e si lascia informare da quello che gli arriva prima all’orecchio, dando credito a fatti appresi e mai verificati o messi realmente in dubbio.

Il timore dell’ignoto, per quanto comprensibile, ha generato uno dei profili più comuni della platea no-vax: quello di chi ha più paura del vaccino che del virus

Ne è esempio lampante la reazione che molti hanno avuto alla notizia delle persone morte in seguito ad un malore avvenuto subito dopo la somministrazione della prima dose di vaccino. Come riporta la stessa stampa, che ha dato evidenza a questi fatti di cronaca realmente accaduti, la percentuale di chi ha avuto una reazione avversa alla profilassi vaccinale è minima, per non dire infinitesimale, ma la sensazione di essere potenzialmente in pericolo che questo genere di notizia è in grado di scatenare è concreta e reale.

È proprio questo timore dell’ignoto, per quanto pienamente comprensibile, ad aver generato uno dei profili più comuni della folta platea no-vax: quello di chi ha più paura del vaccino che del virus e non si fida di chi gli dice il contrario. Chi appartiene a questa categoria di solito ha regolarmente espletato tutti gli altri obblighi vaccinali e non è ideologicamente contrario alla vaccinazione. La paura per la propria incolumità, amplificata dall’ansia generata dalla situazione pandemica e dalla sensazione di non trovare referenti in cui riporre la propria fiducia, ha però la meglio sul senso civico. Statisticamente è la presenza di restrizioni particolarmente vincolanti e limitanti della libertà personale, su cui ha puntato la strategia politica messa in atto finora, a riuscire ad avere la meglio sulla diffidenza verso i vaccini.

Le fonti e la fiducia

Quando le notizie sono troppe, la scelta di rivolgersi solo a fonti credibili e certificate va di pari passo con la fiducia nelle istituzioni, nella politica e nella comunità scientifica a cui i media ritenuti più seri e credibili fanno da cassa di risonanza.

Se sono convinto che lo Stato stia ordendo un complotto alle mie spalle, difficilmente andrò a reperire le informazioni sul sito del Ministero della Salute. Se penso che alla pandemia sottostiano oscure logiche di geopolitica internazionale ordite a mio danno, sarà molto improbabile che creda alle analisi di scienziati e virologi sulle cui convinzioni si basano tutt’ora le azioni e le strategie dei Governi per contrastare la diffusione del virus.

Quando le notizie sono troppe, la scelta di rivolgersi solo a fonti credibili e certificate va di pari passo con la fiducia nelle istituzioni, nella politica e nella comunità scientifica

Chi è contrario alla vaccinazione perché crede alle più disparate teorie del complotto è quindi solitamente una persona che va a cercare volutamente le notizie che arrivano da fonti non ufficiali. Quindi non validate da quella comunità scientifica che crede essere complice di una truffa.

“L’evidenza clinica a supporto della vaccinazione è chiara e la tecnica dell’Rna messaggero viene usata da ormai 20 anni – ha commentato il professor Fabrizio Pregliasco, virologo e consulente scientifico per la gestione della pandemia della più grande Rsa d’Europa, il Pio Albergo Trivulzio di Milano –. Non si tratta quindi di aver messo in piedi in poco tempo tecniche improvvisate. Quello che è cambiato è la velocità di approvazione di questo vaccino che, per ovvie necessità di urgenza, ha beneficiato di una accelerazione burocratica mai vista prima”.

“Dal punto di vista psicologico invece c’è una differenza molto grande fra farmaco e vaccino – ha proseguito il medico –: il primo lo assumiamo quando stiamo male e la sensazione è quella di non poterne fare a meno, anche se non sappiamo cosa c’è dentro. Il secondo va assunto quando siamo perfettamente in salute, a scopo preventivo. È una scommessa che ha un peso completamente diverso e qualcuno, facendo male i calcoli, preferisce scommettere sulla sua salute piuttosto che sulla possibilità di ammalarsi”.

Da una ricerca effettuata di recente dall’EngageMinds Hub dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza emerge che il 56 per cento dei cittadini italiani ritiene il Green Pass una misura efficace per ridurre i contagi. La percentuale crolla al 30 per cento fra chi non ha fiducia nella ricerca scientifica, al 37 per cento fra chi non ha fiducia nella sanità e al 46 per cento in chi non ha fiducia nelle istituzioni. Ecco perché la fiducia è alla base di questa partita più di ogni altro atteggiamento. Se da un lato i media hanno le loro “colpe”, fra notizie allarmiste e titoli non sempre corrispondenti al corretto messaggio da divulgare, anche la comunità scientifica dovrebbe chiedersi se il divario creato fra il gruppo ristretto degli scienziati e i cittadini comuni non abbia in qualche modo concorso a causare questa lontananza.

Il piacere della scoperta e della divulgazione dovrebbero infatti essere coltivati sempre, al fine prevenire una scollatura che nei momenti di crisi fa sentire più pesantemente le proprie conseguenze.

Confidence, Complacency, Convenience

La stessa Organizzazione Mondiale della Sanità ha identificato alcuni fattori che insidiano la fiducia delle persone nei vaccini e la loro propensione a vaccinarsi. Questi fattori sono identificati da tre parole inglesi che iniziano per C. È anche opportuno premettere che è proprio la percezione dei benefici delle vaccinazioni ad aver concorso ad indebolire i successi raggiunti dalle politiche vaccinali. I vaccini sono stati le principali vittime dei propri successi perché, funzionando, hanno ridotto rischi e frequenza delle malattie che sono in grado di prevenire, facendo perdere la percezione della loro pericolosità.

Lorenzo MontaliCiò riguarda ovviamente solo in parte anche la Covid 19, la cui situazione è complicata notevolmente dalla presenza di una pandemia mondiale. Tuttavia, ciò non invalida la teoria delle tre C spiegata dalla psicologia sociale, come conferma il professor Lorenzo Montali, professore associato di Psicologia Sociale all’Università Bicocca di Milano, vice presidente del Comitato italiano per il controllo delle affermazioni sulle pseudoscienze (Cicap).

“La prima C sta per Confidence e riguarda la fiducia nell’efficacia del vaccino (quindi del prodotto), ma anche nelle istituzioni che lo producono e nelle autorità sanitarie che lo distribuiscono (medici e infermieri) – spiega Montali –. La seconda C, la Complacency, riguarda invece la percezione di assenza di rischi reali della malattia oppure il rifiuto di un ordine artificiale contrapposto ad una filosofia di vita più naturale in cui ci si cura solo e se strettamente necessario e non preventivamente”.

“Infine, c’è la terza C che sta per Convenience – conclude il professore –, che riguarda l’accessibilità fisica al vaccino, la difficoltà della prenotazione, la lontananza con il centro vaccinale o la stessa idea di avere delle patologie pregresse o delle condizioni mediche che mal si adattano con l’assunzione del vaccino”.

Queste tre macroaree della diffidenza non si combattono solo favorendo la diffusione di conoscenze mediche. Né bastano la corretta informazione da parte dei media, che pure è indispensabile. È anche necessario che la battaglia per i vaccini non diventi campo di polarizzazione politica, per evitare di alimentare la sfiducia nelle istituzioni preservandone la neutralità.

È necessario che la battaglia per i vaccini non diventi campo di polarizzazione politica, per evitare di alimentare la sfiducia nelle istituzioni preservandone la neutralità

“Pensare che la competenza sia l’unico fattore in gioco è un errore – avvisa il professor Montali –. In una società completamente dipendente dalla scienza e dalla tecnologia, solo gli specialisti di ciascun ambito ne sanno abbastanza per poter compiere scelte completamente informate nel loro settore. Ma neppure il migliore dei medici ha una piena competenza se deve prendere posizione su questioni che attengono per esempio le fonti energetiche. Ecco perché è importante alimentare e preservare la fiducia nelle procedure attraverso le quali il sapere viene validato, per esempio la sperimentazione nel caso dei vaccini, e nelle istituzioni che presiedono a tali procedure, per esempio l’Istituto superiore di sanità o la comunità scientifica. Mentre sarebbe illusorio pretendere che le persone avessero una conoscenza adeguata delle tantissime questioni tecniche con cui pure entrano in contatto ogni giorno”.

Il racconto trasparente dei processi scientifici, così come la conoscenza dei fondamenti della psicologia sociale, portano quindi a concludere che è necessario che sui vaccini non si giochi una battaglia fra le forze politiche e ideologiche e non si riduca tutto ad un problema di ignoranza, quando si tratta anche di un problema di fiducia, che non può essere data per scontata e che va continuamente rinnovata.

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Sofia Rossi
Giornalista specializzata in politiche sanitarie, salute e medicina