“Rispetto al 2021 la situazione epidemiologica è molto cambiata, così come la stessa malattia e si è, quindi, potuto eliminare l’obbligo di vaccinazione per i professionisti sanitari, con una decisione di buon senso e saggezza”.
Non rinnega certo l’utilità della vaccinazione contro il Covid – che ha salvato, nel mondo, 20 milioni di vite in un anno, 150mila solo in Italia e ha praticamente azzerato la mortalità tra i medici – il Presidente della Fnomceo, la Federazione nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri, Filippo Anelli, ascoltato questa mattina in audizione presso la Commissione Giustizia del Senato sulla conversione in Legge del Decreto che, tra le altre disposizioni, ha anticipato al 2 novembre la cessazione dell’obbligo vaccinale per i professionisti sanitari. Le condizioni che avevano reso necessario tale obbligo, però, sono mutate e bene ha fatto il Governo a eliminarlo.
“Del resto – ha ricordato Anelli – già lo scorso 22 luglio 2022 il Consiglio nazionale della FNOMCeO, con una mozione approvata all’unanimità, aveva chiesto una revisione legislativa della materia, auspicando quindi di tornare a una gestione ordinaria del rischio biologico e della sicurezza delle cure, lasciando agli Ordini territoriali solo il compito di valutare i comportamenti degli iscritti sotto il profilo deontologico. In considerazione del fatto che gli Ordini, quali enti sussidiari dello Stato, hanno svolto un’opera di supplenza intrisa di non poche responsabilità, senza la quale non sarebbero stati raggiunti gli obiettivi prefissati dalla norma di legge, ad oggi è giusto che essi tornino a svolgere il ruolo di garanti della Professione medica e odontoiatrica che ha nella tutela della salute individuale e collettiva il proprio fondamentale e principale obiettivo”.
Una decisione, quella del Governo, presa “nel pieno rispetto della legge e della Costituzione”.
“Abolire l’obbligo – ha spiegato Anelli – non significa sminuire l’utilità del vaccino. L’obbligo vaccinale si inserisce in un contesto più generale rispetto alla deontologia, che è quello dei diritti previsti dall’articolo 32 della Costituzione secondo cui nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. Quindi il tema dell’obbligo attiene esclusivamente al legislatore che deve valutare se l’interesse legittimo dell’individuo a determinare se sottoporsi o no alla vaccinazione sia o meno prevalente rispetto alla tutela della salute collettiva”.
Soltanto “marginale”, però, secondo la Fnomceo, l’effetto sugli organici degli ospedali e sulla medicina del territorio.
“Abbiamo stimato che i medici reintegrati nel Servizio sanitario nazionale sono meno di mille – ha fatto presente Anelli – mentre la carenza è di 20.000 colleghi tra ospedale e territorio. La mancanza di medici in molte regioni italiane è del resto un problema noto e denunciato da tempo”.
Come risolverlo?
“Bisogna cambiare paradigma sulla programmazione – ha proposto il presidente Fnomceo – sburocratizzare e rendere attraente la carriera con più risorse e più dignità del lavoro. La programmazione, che spetta alle regioni, è stata impostata in questi anni sulla disponibilità di risorse economiche e non sulla reale esigenza di professionisti. La programmazione invece va fatta sulle reali esigenze e, solo dopo, andranno trovate le risorse. Corretta programmazione, però, non significa solo limitare gli ingressi al percorso formativo: significa anche aumentare i posti letto, e ricalibrare il numero di specialisti e di professionisti sanitari per paziente, per migliorare la qualità dell’assistenza. E su questo vanno stanziate le risorse”.
“Appare urgente poi – ha continuato – un aggiornamento delle norme che definiscono i limiti economici di riferimento della spesa per il personale entro i quali le aziende sanitarie possono effettuare assunzioni (Monte salari 2004 diminuito dell’1,4%). Ad oggi il fondo è fermo, così come non è ancora stato attivato il corso di formazione specifica in medicina generale 2022-2025. A causa di un eccesso di burocrazia si accumulano ritardi ingiustificati”.
“Bisogna rendere più attrattivo il lavoro – ha chiosato -. Molti colleghi lasciano per l’estero, dove gli stipendi sono migliori, e molti altri per le cooperative, dove il salario immediato è più alto e non ci sono ordini di servizio, per cui si può organizzare meglio la propria vita privata. Non solo maggiori risorse, dunque, (l’Italia è agli ultimi posti per gli stipendi dei sanitari), ma anche una migliore qualità di vita individuale, che a oggi è “inaccettabile”. Negli ospedali ci sono turni massacranti per mancanza d’organico, retribuzioni più basse rispetto al resto d’Europa, rischio più alto di contenziosi medico legali e aggressioni, poca flessibilità nell’attività libero professionale. L’organizzazione ospedaliera deve essere, quindi, riformata”.
“Spesso tra chi rimane a lavorare nel pubblico – ha evidenziato ancora Anelli – prevale un ragionamento etico, una forma di deontologia che fa accettare i turni lunghi e massacranti, il sacrificio della famiglia. Invece occorre renderlo un lavoro dignitoso. Condividiamo pertanto le preoccupazioni espresse dalla Corte dei Conti nella sua memoria sulla Nota di aggiornamento al Def: il mancato investimento sui professionisti sanitari rappresenta un duro colpo per il Servizio sanitario nazionale. Significa rinviare di un anno soluzioni che potrebbero essere adottate subito per fermare l’emorragia di medici verso il privato e verso l’estero. Di questo passo, il rischio che il sistema salti è molto concreto”.
“Il Servizio sanitario pubblico si sta svuotando, sta perdendo la sua linfa vitale, il suo capitale umano” ha continuato Anelli, che ha ricordato anche la recente analisi dell’Istituto Piepoli, secondo la quale un medico italiano su tre, potendo, andrebbe subito in pensione. E, a sognare di appendere al chiodo il camice bianco, è proprio la “fetta” più giovane della Professione, quella che dovrebbe essere più motivata ed entusiasta: il 25% dei medici tra i 25 e 34 anni e il 31% di quelli tra i 35 e i 44 anni.
“Un dato allarmante – ha commentato – che esprime la crisi in cui versa il nostro Servizio sanitario nazionale. Così, i Pronto soccorso, i reparti ospedalieri, la medicina generale diventano sempre meno attrattivi per i professionisti. I reparti e il territorio si svuotano di medici e personale, le liste di attesa si allungano, le disuguaglianze di salute si acuiscono. Non siamo solo noi medici, solo noi operatori a dirlo: lo evidenziano i giudici contabili, lo scontano ogni giorno i cittadini, lo documentano i media. È il momento di invertire la rotta”.
“Conosciamo la sensibilità di questo Governo – ha aggiunto – nei confronti delle Professioni sanitarie e la sua volontà di fornire un’assistenza di qualità ai cittadini. Per questo auspichiamo che il Governo e il Parlamento individuino le risorse che sono necessarie, anzi indispensabili e urgenti per sostenere il Servizio sanitario nazionale. Crediamo che puntare sempre di più sulle professioni sia fondamentale e alla vigilia del dibattito parlamentare sulla Legge finanziaria riteniamo che sia doveroso da parte di questa Federazione richiamare la politica a un senso di responsabilità verso il Servizio sanitario nazionale”.
“Investire nel Servizio sanitario nazionale oggi – ha concluso Anelli – ci sembra il richiamo più importante che vorremmo rivolgere alla politica. Non servono soltanto interventi normativi: servono in questo momento risorse. Servono ai medici, sempre più preoccupati delle loro condizioni. Servono per i pazienti, che molto spesso si ritrovano senza medici di famiglia e di fronte al problema delle liste di attesa”.