L’obesità è ormai un problema sanitario nazionale. Quella infantile soprattutto, visto che fra le nazioni europee, l’Italia ha raggiunto il triste primato per numero di casi in questa fascia d’età, soprattutto al sud. Ma il dato preoccupante riguarda anche gli adulti: nel Paese della dieta mediterranea ormai oltre il 10 per cento della popolazione è affetta da questa patologia. E un terzo degli italiani, che è in sovrappeso, è a rischio di svilupparla.
I numeri delle persone affette da questa malattia sono in crescita in tutto il mondo. Perché? Quali fattori concorrono a questo incremento dei casi a livello globale? Le previsioni degli esperti parlano di un incremento del 100 per cento dell’obesità infantile entro il 2035. A seguito del World Obesity Day abbiamo analizzato il fenomeno dal punto di vista sociale e culturale con l’aiuto di Leonardo Mendolicchio, psichiatra e responsabile dell’Ambulatorio e dell’U.O. Riabilitazione dei Disturbi Alimentari e della Nutrizione presso l’IRCCS Auxologico di Piancavallo. Centro ospedaliero di primo piano a livello europeo per la cura e la riabilitazione dell’obesità di adulti, bambini e adolescenti, l’Auxologico rappresenta un osservatorio privilegiato dal quale approfondire le molteplici implicazioni di questa complessa patologia, che sembra essere sempre più legata a doppio filo con la salute mentale.
L’eccesso di nutrimento e salute mentale, un legame che si stringe
Clinicamente si parla di obesità in presenza di un accumulo patologico di grasso corporeo. La diagnosi si fa calcolando l’indice di massa corporea (BMI). Nella popolazione adulta, si esce della categoria del sovrappeso e si entra in quella dell’obesità quando questo dato è pari o superiore al valore di 30.
Dove manca la cultura alimentare, le persone sono meno consapevoli della tendenza a confondere lo stimolo fisiologico con l’appetito emotivo
Esistono naturalmente delle differenze legate al sesso, all’età e allo stato di fitness: le donne tendono ad avere più grasso corporeo rispetto agli uomini, così come gli anziani rispetto ai giovani. Chi ha una elevata massa muscolare, come gli sportivi, potrebbe avere valori più elevati senza per forza rientrare nelle categorie di sovrappeso o obesità. Per le persone sotto i 19 anni invece la classificazione dello stato ponderale avviene con le curve di crescita dell’Oms e con i valori soglia raccomandati dall’International Obesity Task Force che tengono conto dell’età e del sesso.
Se da un lato la comunità scientifica ha messo in chiaro che il sovrappeso, anche lieve, mette a rischio la salute dell’intero organismo, culturalmente c’è ancora la percezione che l’obesità non sia una vera e propria malattia. Oltre ad esserlo, l’obesità si lega a molti altri problemi di salute: patologie metaboliche e cardiovascolari, come il diabete, ma anche depressione, insonnia, apnee notturne, artrosi, gotta, incontinenza e persino i tumori, per i quali è un importante fattore di rischio. Per questo, ogni anno, il World Obesity Day vuole sensibilizzare la popolazione rispetto ai rischi che corre chi non si cura.
«Un conto è affermare che chi è obeso o in sovrappeso non vada stigmatizzato o giudicato in base al suo peso – ha commentato Mendolicchio –, altro invece è far passare il messaggio errato che vada bene rimanere così e che la soluzione sia semplicemente quella di accettarsi. Ricordiamoci che essere obesi o in sovrappeso mette a rischio la salute generale, fisica e mentale. Si tratta di una condizione patologica da non promuovere, bensì da curare».
«Una delle tendenze che noto di più nella mia pratica clinica è quella dell’aumento dei casi di obesità legati alla mancata consapevolezza dell’intrinseco legame fra il cibo e le emozioni», ha aggiunto lo psichiatra, che ha chiarito che dove manca la cultura alimentare, le persone sono meno consapevoli della loro tendenza a confondere lo stimolo fisiologico della fame con un non meglio identificato appetito emotivo.
Il ruolo della culturale individuale e delle decisioni politiche collettive
«Il gradiente socioeconomico gioca un ruolo centrale nell’insorgenza della patologia – ha aggiunto Mendolicchio –. La relazione fra obesità e povertà è visibile. Condizioni economiche più svantaggiate portano ad un livello di istruzione più basso e, di conseguenza, a scarsa o inesistente cultura alimentare».
D’altro canto, nei casi in cui la predisposizione genetica è fra i fattori preponderanti nell’esordio della patologia, al netto dei fattori ambientali, il pregiudizio comune porta le persone a pensare che per guarire basti solo la cosiddetta forza di volontà. Niente di più falso. Nella sua espressione più grave, l’obesità è una patologia cronica e recidivante, di cui i pazienti non sono strettamente responsabili. La loro condizione è determinata da complessi fattori biologici, genetici e ambientali.
Il gradiente socioeconomico gioca un ruolo centrale nell’insorgenza della patologia
«Una vera e propria responsabilità nell’incremento dei casi va invece cercata nella mancata regolamentazione dei criteri con cui vengono preparati gli alimenti venduti dalla grande distribuzione – ha affermato il medico –: so di essere provocatorio nel dirlo ma nei supermercati è possibile trovare anche dei prodotti di scarsissimo valore biologico e nutrizionale. Sarebbe opportuno che venissero imposti dei parametri di qualità alimentare più alti».
Ancora una volta, in mancanza di decisioni collettive che garantiscano che la produzione alimentare e la ristorazione siano tenuti a garantire un alto standard di qualità degli alimenti, è il livello culturale dei singoli a fare la differenza.
«Quando siamo ben informati, stiamo lontani da certi prodotti che si trovano in vendita – ha aggiunto Mendolicchio – se ci lasciamo guidare da difficoltà emotive nella scelte alimentari, finiremo con l’inserire troppo spesso nella nostra dieta prodotti altamente processati che, se consumati in determinate quantità, peggiorano la nostra salute».
Obesità e depressione
«Contrastare l’obesità vuol dire educare all’alimentazione, insegnando alle persone a riconoscere cosa è sano e cosa non lo è – ha spiegato lo psichiatra –. L’altro grande lavoro collettivo sta nell’educare al valore emotivo del cibo, per distinguere fra i bisogni del corpo e quelli della mente. Il 40 per cento dei casi affetti da obesità medio grave è in comorbidità con la depressione – ha concluso Mendolicchio –.
Il 40 per cento dei casi affetti da obesità medio grave è in comorbidità con la depressione
Gli esperti parlano di triade depressogena: l’obesità, l’insonnia e lo stato infiammatorio a cui il corpo è sottoposto si autoalimentano, generando un’altra grave ed invalidante patologia. Ecco perché è importante essere consapevoli di quanto salute mentale e obesità siano più che mai strettamente collegate».