Il farmaco funzionerà? A dirlo sarà un organo su chip (insieme a un modello matematico). A spiegare come funziona sono Luca Businaro, esperto di tecniche di nano-fabbricazione dell’Istituto di nanotecnologia del CNR e Roberto Natalini, matematico e direttore dell’Istituto per le Applicazioni del Calcolo del CNR, che sono stati protagonisti di un appuntamento di GiovedìScienza, lo storico format di divulgazione scientifica nato a Torino con l’intento di rendere la scienza chiara, semplice e sempre più accessibile.
Perché un organo su chip?
Capire cosa accade nel nostro corpo durante una malattia, oppure quando si assume un farmaco, è un problema di straordinaria complessità, che implica osservare, misurare e descrivere processi che vanno dal livello molecolare a quello dell’intero organismo. Di recente, gli esperti hanno cominciato a costruire alcuni modelli di organi e delle loro connessioni su un chip, per cercare di renderli più verosimili. Nel contempo, oltre agli organ-on-a-chip si stanno anche elaborando nuovi modelli matematici che fanno da ponte tra queste realtà semplificate e gli organi veri e propri.
“Più si va avanti, più emerge che molti modelli comunemente usati negli studi per ottenere risultati in tempi rapidi, dal topo alle colture di cellule in vitro, spesso e volentieri portano a falsi positivi: si ritiene cioè che una sostanza darà un certo tipo di riscontro, cosa che invece non si verifica al momento della somministrazione all’uomo – spiega Businaro -. Si pone quindi il problema di creare modelli che riassumano la complessità del corpo umano, mantenendone la specificità della fisiologia. Si è iniziato a creare nuovi modelli, di cui una famiglia sono gli organi su chip”.
Cosa sono gli organ-on-a-chip? “Dispositivi in plastica, piastrine con dentro camerette e canali che possono essere perfusi, cioè al loro interno può essere iniettata una sostanza che contiene un farmaco o un vaccino – dice l’esperto -. Ad esempio, in una cameretta mettiamo cellule tumorali e in quella a fianco cellule del sistema immunitario: possiamo iniettare con una siringa una terapia per il tumore e vedere come quest’ultimo risponde”.
I vantaggi degli organi su chip sono tanti. “Trattandosi di sistemi in vitro, le aziende farmaceutiche non usano animali per i loro test. Inoltre sono compatibili con quasi tutte le tecniche di analisi che si usano in biologia e soprattutto con la microscopia: sotto il microscopio ho la ricostruzione di un fenomeno che interessa un organo del corpo umano e lo posso misurare a piacimento, ottenendo una grandissima quantità di dati che si interfacciano con una parte di analisi dati avanzata che coinvolge anche l’Intelligenza Artificiale e i modelli matematici”.
Gli organi su chip oggi e domani
Non si tratta del futuro, ma del presente della ricerca biomedica sia in Europa che negli Stati Uniti, dove alcune tra le principali case farmaceutiche stanno lavorando a un progetto da 130 milioni di euro. “Per il momento, però, si sta sviluppando in questo modo la fase in cui si devono validare le sostanze per lo sviluppo dei farmaci – precisa Businaro -. Per passare al trial clinico gli organ-on-a-chip dovranno essere validati dall’Agenzia europea per i medicinali e Fda, ma nella fase preclinica dello studio dei farmaci c’è già grande impegno a usarli. Nel Lazio ci stiamo lavorando per alcuni progetti con piccole aziende locali che sviluppano vaccini antitumorali e anti-Covid che puntano a usare modelli su chip per vedere se i loro vaccini stanno funzionando prima di passare alla fase successiva”.
Questi oggetti fanno parte del filone delle “tre r”: reduce, refine e replace per la sperimentazione animale. “È presto per dire che gli animali possono essere rimpiazzati in laboratorio da questi oggetti, ma di certo in prospettiva potrebbero dare risultati anche migliori – afferma Businaro -. In concreto, si potrebbero usare le cellule staminali pluripotenti indotte ottenute da un donatore o paziente prelevando sangue o un pezzo di tessuto: si fanno regredire le cellule mature a staminali e si riprogrammano per diventare il tipo di cellule che servono dentro il chip. In questo modo si potranno fare test su neuroni che hanno il patrimonio genetico del donatore: se vorrò studiare una malattia del sistema nervoso potrò farlo su cellule cervello di quel paziente. In futuro si potranno fare modelli davvero personalizzati per testare i farmaci, ma già ora si sta lavorando per arrivare a una medicina personalizzata per macrofamiglie: uomini, donne, bambini, anziani”.
Cosa c’entra la matematica
“Gli organi su chip sono modelli che agiscono in un microsistema simile all’organo, con magari 10mila o anche meno cellule, ma noi vogliamo simulare quello che succede nel vero fegato – afferma Natalini -. Con un modello matematico computazionale che tiene conto degli esperimenti condotti in questi organi, noi possiamo fare simulazioni che offrono numerosi vantaggi: sappiamo che fare sperimentazione sulle cellule è costoso, che magari una linea cellulare muore, e che comunque non è facile come con un computer variare i parametri”.
Il paragone che suggerisce l’esperto è quello con la progettazione degli aeroplani: prima si lavorava con chiavi inglesi e bulloni, mentre oggi per il 95% si usa il computer fino al momento in cui si capisce che il mezzo va bene, e a quel punto è praticamente pronto per volare.
Anche in questo caso la rivoluzione è in corso ma non ancora del tutto realizzata: “Siamo nella preistoria, nel senso che prendiamo esperimenti fatti e costruiamo un modello matematico che ha l’obiettivo di mediare fra la dimensione della cellula e quella dell’organo: se per il medico conta l’organo e per il biologo il comportamento delle singole cellule, noi cerchiamo di far comunicare questi mondi, fungendo da ponte – dice Natalini -. Possiamo far variare la situazione in tanti modi diversi per capire ad esempio che cosa succede se ci sono 20 o 50 cellule tumorali oppure se questo farmaco ha una migliore efficacia, senza usare gli animali che hanno caratteristiche diverse”.