Osservatorio Sanità Digitale: governance, processi nuovi e fiducia per far crescere i “germogli” della trasformazione

di Rossella Iannone

Il 2025 rappresenta un anno cruciale per l’innovazione del Servizio Sanitario Nazionale. Le scadenze fissate dal PNRR si avvicinano rapidamente, e con esse la necessità di fare un primo bilancio sullo stato di avanzamento della trasformazione digitale della sanità. A sottolinearlo è Mariano Corso, responsabile scientifico dell’Osservatorio Sanità Digitale del Politecnico di Milano, intervenuto durante la presentazione del nuovo report annuale dell’Osservatorio, realizzato con la collaborazione di numerosi partner scientifici, società di professionisti sanitari e associazioni di pazienti.

«La sanità è oggi al centro del dibattito politico e sociale come non accadeva da tempo. Un’attenzione che è positiva, ma che può diventare un elemento di disturbo se non è accompagnata da evidenze e dati concreti. Il nostro compito è proprio questo: contribuire a orientare il confronto su basi oggettive», ha dichiarato Corso. «Il 2024 è stato un anno importante. Il 2025 lo sarà ancora di più: entro dicembre dovremo raggiungere il target di 300mila persone assistite attraverso servizi di telemedicina. Un obiettivo ambizioso ma essenziale», ha sottolineato ancora Corso.

Telemedicina e infrastrutture digitali: opportunità e ostacoli

Oltre alla telemedicina (Componente 1 della Missione 6 Salute), la Componente 2 prevede 2,8 miliardi per la digitalizzazione e il rinnovamento tecnologico delle strutture sanitarie. Si tratta di investimenti fondamentali per rendere possibile una gestione moderna e interoperabile dei dati clinici.

Accanto alle opportunità, Corso ha evidenziato le principali criticità segnalate dalle direzioni strategiche delle aziende sanitarie: incertezza sulla sostenibilità futura degli investimenti, scarsità di risorse interne, mancanza di competenze digitali e difficoltà nel reperire professionalità adeguate.

Tra le aree di investimento ritenute più rilevanti spiccano la cybersecurity, la cartella clinica elettronica e le infrastrutture digitali. Tuttavia, senza un’adeguata programmazione e continuità di risorse, il rischio è quello di una trasformazione incompleta.

«I professionisti che fanno uso di queste tecnologie riconoscono gli impatti positivi della Telemedicina – ha spiegato Cristina Masella, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Sanità Digitale -. In particolare, sono consapevoli che la televisita permette di raggiungere pazienti che altrimenti non avrebbero accesso alle cure, ad esempio a causa di difficoltà motorie o perché residenti in aree isolate (75% dei medici specialisti e 40% dei MMG). Inoltre, il 67% dei medici specialisti e il 35% dei MMG sottolineano che, attraverso il telemonitoraggio, è possibile adattare i piani terapeutici in base ai dati raccolti e rilevare peggioramenti clinici in fase precoce». Anche il teleconsulto può avere impatti rilevanti: il 65% dei medici specialisti e il 40% dei MMG, infatti, pensa che possa semplificare la collaborazione interdisciplinare, facilitando la gestione condivisa dei casi complessi.

Sul tema della telemedicina, l’Osservatorio ha coinvolto nella ricerca di quest’anno anche le farmacie territoriali, grazie alla collaborazione con Federfarma. «Le farmacie territoriali potrebbero amplificare significativamente gli impatti della Telemedicina – afferma Deborah De Cesare, Direttrice dell’Osservatorio Sanità Digitale -, soprattutto nelle aree periferiche e rurali, dove rappresentano un fondamentale presidio di prossimità. Ad oggi, le farmacie risultano già attive nell’erogazione di servizi di telerefertazione e, in particolare, di telecardiologia che è già offerto dall’80% delle strutture. Ma le farmacie si dicono interessate a erogare anche altre tipologie di servizi, come teledermatologia nel 56% dei casi, e telepolisonnografia nel 44%».

Uso diffuso del digitale, ma senza sistematicità

Nonostante il crescente utilizzo di strumenti digitali da parte di medici, infermieri e personale amministrativo, secondo Chiara Sgarbossa, direttrice dell’Osservatorio, si riscontra ancora una scarsa sistematicità. «Molti professionisti utilizzano piattaforme digitali generaliste per attività di sintesi, analisi e ricerca di informazioni, ma solo uno su cinque affianca strumenti dedicati e validati per il contesto sanitario», ha spiegato.

Il rischio, avvertono gli esperti, è quello di affidarsi a tecnologie potenti senza un quadro di governance chiaro, senza una revisione dei processi clinici e amministrativi e senza strumenti che garantiscano qualità e sicurezza. «Non possiamo più limitarci a introdurre tecnologie nei vecchi modelli organizzativi – ha aggiunto Corso –. Serve ripensare i processi e investire in competenze. È da qui che passa la sostenibilità dell’innovazione digitale».

AI generativa: benefici potenziali, ma anche dubbi

Il risparmio di tempo è percepito come il principale beneficio dell’AI generativa: secondo le stime dell’Osservatorio, l’impiego dell’AI generativa potrebbe far risparmiare fino a una settimana lavorativa all’anno per i medici specialisti e fino a due settimane per i medici di medicina generale. Un impatto non trascurabile, soprattutto se applicato su larga scala. Altri vantaggi percepiti includono la riduzione degli errori e una maggiore rapidità nei processi decisionali.

«Un utilizzo più diffuso dell’AI potrebbe contribuire ad alleviare l’attuale stato di saturazione dei professionisti sanitari – ha sottolineato Emanuele Lettieri, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Sanità Digitale -. Ma emergono anche preoccupazioni sugli utilizzi più evoluti dell’AI a supporto delle decisioni cliniche: il 55% degli specialisti e il 47% dei MMG indicano la mancanza di spiegazioni nei processi decisionali dell’AI come un ostacolo alla sua piena integrazione nella pratica».

«I medici temono anche nuove responsabilità medico-legali, spesso poco chiare», ha precisato Sgarbossa. Inoltre, esiste il rischio percepito che l’AI possa interferire nel rapporto medico-paziente, creando distanza o diffidenza. «L’11% dei cittadini, ad esempio, già utilizza chatbot per ricevere informazioni sanitarie – ha aggiunto – e questo apre interrogativi sulla qualità e la provenienza dei contenuti».

Un altro nodo cruciale è quello delle competenze e della fiducia. Il 50% dei cittadini, secondo i dati raccolti, vede l’intelligenza artificiale come un’opportunità per migliorare il sistema sanitario, ma persistono timori legati alla perdita della relazione medico-paziente e alla sicurezza dei dati. Anche tra i medici, pur riconoscendo i benefici in termini di efficienza e supporto decisionale, resta l’incertezza sulle responsabilità medico-legali e sull’affidabilità di algoritmi non trasparenti.

Norme, responsabilità e cultura del cambiamento

Sul piano normativo, alcuni passi avanti sono arrivati di recente, sia in Europa che in Italia. «L’Ecosistema Dati Sanitari – EDS – abilita nuove modalità di raccolta, analisi e utilizzo dei dati a fini di programmazione, prevenzione e ricerca, con un’architettura federata e stratificata per garantire la protezione dei dati in base al livello di identificabilità» – ha spiegato Paolo Locatelli, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Sanità Digitale. «Lo sviluppo sia delle Cartelle Cliniche Elettroniche sia del Fascicolo Sanitario Elettronico 2.0 risultano essenziali anche per l’alimentazione dell’EDS, per mettere a disposizione di professionisti e cittadini i dati necessari in modo omogeneo a livello nazionale. Con la prospettiva di inserirsi poi in un contesto interoperabile a livello europeo, grazie allo European Health Data Space – EHDS».

In Italia, il disegno di legge sull’intelligenza artificiale approvato al Senato prevede l’obbligo di informare il paziente sull’uso dell’AI nel processo assistenziale e ribadisce che il giudizio clinico resta responsabilità del medico. Ma non basta. «Accanto alla normativa, serve un impegno forte delle istituzioni sanitarie per creare infrastrutture digitali sicure, processi condivisi e cultura del cambiamento», ha concluso Sgarbossa.

L’innovazione, in altre parole, c’è. Ma perché quei “germogli” possano diventare sistema, servono visione, strategia e responsabilità condivisa.

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