Patto per la salute dell’orecchio e dell’udito, a tutela dei cittadini di ogni età

Il Patto per la salute dell’orecchio e dell’udito vuole portare in primo piano patologie spesso sottostimate e promuovere una sinergia tra le Società scientifiche e le diverse figure professionali coinvolte

I disturbi dell’udito, così come le malattie dell’orecchio, sono diversi e diffusi, ma l’informazione ai cittadini è scarsa, c’è poca consapevolezza. Con l’invecchiamento della popolazione, 7 milioni di casi e 36 miliardi di costi sanitari correlati a queste malattie, è dunque necessario concentrare gli sforzi e stipulare un’alleanza tra medici specialisti in otorinolaringoiatria, medici di famiglia, pediatri, geriatri, audiologi, audioprotesisti, foniatri e associazioni pazienti.

Il Patto per la salute dell’orecchio e dell’udito è un documento articolato in 10 punti scritto a tutela della salute uditiva dei cittadini di ogni età. L’obiettivo è sensibilizzare la cittadinanza e i medici, di base e specialisti, nonché le altre figure sanitarie, per migliorare l’efficacia della prevenzione e ottimizzare i percorsi integrati ospedale-territorio per la diagnosi, cura e riabilitazione.

Il Patto per la salute dell’orecchio e dell’udito è un documento articolato in 10 punti firmato da 13 Società e Federazioni medico-scientifiche, alla presenza delle istituzioni

È stato firmato al Senato da 13 Società e Federazioni medico-scientifiche, alla presenza delle istituzioni, rappresentate dall’onorevole Ugo Cappellacci, dal senatore Franco Zaffini e dall’onorevole Marta Schifone.

Tra le proposte presentate alle istituzioni, la principale è la creazione di un Osservatorio nazionale permanente.

Parliamo del Patto per la Salute dell’orecchio e dell’udito con Stefano Berrettini, Professore Ordinario di Otorinolaringoiatria, Direttore dell’Unità di  Otorinolaringoiatria, Audiologia e Foniatria, Università di Pisa, Direttore del Dipartimento Specialità Mediche e Chirurgiche AOUP e Presidente della Società Italiana di Audiologia e Foniatria (SIAF) e Giovanni Danesi, Past President della Società Italiana di Otorinolaringoiatria e Chirurgia Cervico Facciale (SIOeChCf) e Direttore del Dipartimento di Neuroscienze all’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo.

Qual è lo scopo del Patto per la salute dell’orecchio e per l’udito?

Risponde Berrettini: “Quelle dell’orecchio sono patologie molto diffuse e frequenti, pertanto lo scopo del Patto è di organizzare un’azione generale in questo campo, attraverso diverse attività. La prima, come succede nell’approccio a patologie di questo tipo, è sensibilizzare la popolazione al problema delle malattie dell’orecchio. Perché non si tratta soltanto di sordità, ci sono anche le otiti, i tumori e altro che prevedono trattamenti diversi.

Il secondo obiettivo è diffondere le tematiche relative all’orecchio. Questo Patto, infatti, è stato firmato da 13 Società scientifiche, comprese quelle dei pediatri, dei medici di medicina generale, proprio per promuovere una sensibilità, che spesso manca, per diagnosticare e intercettare queste patologie e dirigerle verso specifici percorsi diagnostico-terapeutici. Quindi, facilitare la prevenzione, la precocità di diagnosi e un trattamento appropriato in base alla patologia. Sono malattie che possono essere curate a livello territoriale. Si stima che il 60-70% delle malattie dell’orecchio e le problematiche legate alla sordità possono essere risolte appunto in ambito territoriale”.

“Il Patto per l’udito presenta due aspetti importanti – aggiunge Danesi – “uno come patto unitario tra tutti i protagonisti delle Società scientifiche coinvolti direttamente o indirettamente sul tema sordità; l’altro come patto di garanzia e di responsabilità verso la cittadinanza, in cui le Società si impegnano a creare dei percorsi diagnostico-terapeutici che vanno dalla diagnosi precoce, alla prevenzione. Il risvolto politico è che, a fronte di certi numeri, riteniamo necessaria la creazione di un Osservatorio nazionale”.

Che cosa prevede l’Osservatorio?

Prosegue Danesi: “L’Osservatorio non è altro che un tavolo ministeriale cui partecipano sia i decisori istituzionali, sia i membri delle Società scientifiche che monitorano lo stato del problema a livello nazionale attraverso il flusso di dati richiesto ai vari assessorati, ecc. Perché in realtà l’Osservatorio dovrebbe essere il termometro del problema e far capire a chi eroga le risorse cosa è meglio fare, su cosa investire e perché.

Il problema sordità ha un costo sociale elevato: secondo una recente indagine, si stimano 26 miliardi di euro l’anno

Il problema sordità, infatti, ha un costo sociale elevato, che, secondo una recente indagine, si aggirerebbe intorno a 26 miliardi di euro l’anno, tutto compreso, cioè il non lavoro, il non reddito, l’assistenza e tutta una serie di problemi secondari. Quindi, l’Osservatorio servirebbe per monitorare, da una parte, e ottimizzare la presa in carico di questi pazienti dall’altra. Si tratta di una fetta di popolazione non irrilevante, si parla di circa 7 milioni di ipoudenti”.

Si richiede anche una modalità di finanziamento?

“Quando si parla di risorse, sicuramente s’intende anche un finanziamento, ma di cosa?” – continua Danesi. “Faccio un esempio: se si vuole avviare una campagna di screening neonatale, che già esiste in Italia, c’è bisogno di addetti, apparecchiature e quant’altro. Il finanziamento poi ricade nella questione del PNRR, che tende a dare risalto alla medicina del territorio, quindi la diagnosi e le cure primarie. Occorre però coordinarsi. Ad esempio, chiedersi se la telemedicina può essere utile per monitorare queste persone ipoudenti.

Sicuramente bisognerebbe, una volta nato l’Osservatorio, eseguire un’attenta analisi dei costi e dei benefici e decidere quali e quante risorse assegnare agli ospedali oppure al territorio. Tutto, però, passa attraverso la creazione di questo Osservatorio.

Faccio un altro esempio. In Lombardia da più di 20 anni c’è un Network creato dagli specialisti otorinolaringoiatri su richiesta della Regione che si chiama Rete Udito, voluta per avere un quadro della situazione sulla sordità nella Regione e sulle soluzioni terapeutiche e riabilitative più adatte. Per questo è stato reso obbligatorio lo screening neonatale entro il quinto giorno dalla nascita, con l’intento di raggiungere il 96% dei nati. Poi, tramite la Rete Udito e la trasmissione dei dati da parte di tutti gli ospedali regionali, avere un’idea della spesa protesica, ecc. Questo modello, ad esempio, potrebbe essere facilmente esportato a livello nazionale, poiché presenta il vantaggio che è già fatto. Una volta che il Ministero della Salute decide quindi di realizzare l’Osservatorio e verifica se esiste un modello attivo su questo tema, la risposta è sì. E si può esportare senza lavorarci più di tanto”.

Perché quelle dell’orecchio e dell’udito sono patologie sotto-diagnosticate e sottovalutate?

“Perché manca, appunto, la sensibilità verso queste malattie” – risponde Berrettini. “C’è l’abitudine di andare almeno una volta l’anno dall’oculista, molto meno dall’audiologo o dall’otorino. Nonostante quelle dell’udito e dell’orecchio siano patologie molto frequenti. Il medico di base, in generale, ha più conoscenze in altri settori e meno su queste malattie che, solo se hanno una certa rilevanza sono identificate. E in questo caso si invia il paziente allo specialista ospedaliero. Abbiamo tenuto dei corsi ai medici di base, in collaborazione con la SIMG, proprio per cercare di migliorare e approfondire la conoscenza di queste malattie. È importante quindi sensibilizzare medici e cittadini.

Non dimentichiamo che tutte le età sono colpite dalle malattie dell’orecchio e dalla sordità. In ambito infantile ci sono molte attività, cui ho partecipato personalmente sia in ambito regionale, sia nazionale, come lo screening uditivo neonatale che permette di individuare fin dalla nascita queste malattie e che è diventato obbligatorio in tutta Italia dal 2019. Un risultato importante. Abbiamo iniziato prima con la Regione Toscana, con lo screening obbligatorio nel 2007, definendo anche un protocollo, un PDTA, per l’identificazione della sordità infantile. Poi nel 2016 lo abbiamo aggiornato e ottenuto risultati davvero rilevanti, arrivando a protetizzare i bambini sordi gravi o profondi già intorno ai due-tre mesi: oggi questi bambini non sono più sordastri ma normoudenti e, in molti casi, hanno sviluppato il linguaggio normalmente”.

Tutte le età sono colpite dalle malattie dell’orecchio e dalla sordità, manca però l’abitudine della visita periodica dall’audiologo o dall’otorino

“È vero – conferma Danesi – e abbiamo anche voluto stigmatizzare che non esiste una malattia dell’udito ma dell’orecchio che crea problemi all’udito, è ben diverso. In questo le Società scientifiche devono essere protagoniste, indicando i percorsi diagnostico-terapeutici più appropriati. Poi segue la catena terziaria come gli erogatori, i riabilitatori, i produttori di protesi, ecc. Questo è un punto fondamentale, perché abbiamo voluto far capire chi fa che cosa.

L’altro aspetto è l’importanza di una diagnosi precoce e la comunità otorinolaringoiatra in questo è molto attiva. C’è però da dire che chi lamenta problemi di sordità non può liquidare il problema andando a mettersi una protesi. Serve una visita medica ed è qui che entrano in gioco le campagne informative, le Giornate dell’udito, ecc.

Grazie allo screening, è intercettato un neonato sordo ogni mille, a cui sarà impiantato il cocleare entro i 12 mesi (parliamo di sordità profonda e bilaterale). Questo bambino sarà un adulto normoudente e si abbatterà tutto il percorso assistenziale e riabilitativo, nonché i costi sanitari. Per quanto riguarda i medici di base, presenti alla presentazione del patto in Senato con la SIMG, va detto che sono gli intercettatori primari della domanda di salute. In prima battuta il cittadino va, infatti, dal proprio medico. Quindi, c’è bisogno di questo Patto, di questo raccordo con la medicina territoriale che oggi è enfatizzata moltissimo.

Una volta che il medico di base è adeguatamente informato, anche se non è necessario che ponga una diagnosi, può inviare il paziente dallo specialista senza sottovalutare il problema. Già questo risolverebbe l’80% dei problemi, ma in parte è un aspetto già presente. Oggi si parla molto del rapporto tra ospedale e territorio, ma non è chiaro come si debba realizzare tale sinergia. L’ospedale non può gestire i medici del territorio che, tra l’altro, sono liberi professionisti e non dipendenti del SSN. Ma è questo quello che si chiede, un rapporto più stretto, che si potrebbe realizzare senza che le due comunità si diano carichi di lavoro ulteriori. Si parla una stessa lingua, quindi si può trovare una strada per collaborare”.

Ci sono delle linee guida per il trattamento di queste malattie?

Risponde Berrettini: “Il Patto prende origine da tre documenti e iniziative: innanzitutto il World Report on hearing che contiene delle direttive per sensibilizzare e identificare le patologie dell’orecchio. Poi il documento Stato attuale delle Politiche Sanitarie Italiane sulla Sordità, realizzato dalla SIAF nel 2022, insieme ad altre Società scientifiche e Associazioni dei pazienti, coordinati dal Prof. Cuda, Direttore dell’Unità Operativa di Otorinolaringoiatria dell’Ospedale “Guglielmo da Saliceto” di Piacenza. Infine, ci sono le Giornate della sordità promosse dall’OMS e la Giornata dell’ascolto. C’è quindi tutto un lavoro di diffusione di queste conoscenze, per informare ed essere di supporto a medici e pazienti.

Qual è stato l’impegno preso del Senato nell’ambito del Patto?

“Il mondo politico è sembrato molto interessato” – risponde Berrettini, “gli onorevoli Marta Schifone, Ugo Cappellacci e molti altri si sono impegnati ad affiancare questa attività scientifica sviluppata dalle diverse Società con un’azione legislativa per la riorganizzazione in ambito sanitario, anche a livello territoriale”.

Conferma Danesi: “La sensazione è stata molto favorevole sulla ricettività. Certo, occorrerà tornarci sopra e concretizzare. In particolare, l’onorevole Cappellacci è stato molto attento ed è apparso molto interessato al tema. Sono sicuramente processi lenti, ma almeno un passo ufficiale è stato fatto”.

In una popolazione destinata all’invecchiamento, si stanno mettendo a punto percorsi assistenziali adeguati?

“Nonostante si tratti di malattie che possono colpire qualunque età” – afferma Berrettini, “la fascia più colpita è quella più anziana. Si calcola che in Italia ci siano più di 7 milioni di persone con problemi di udito, di cui gli over 75 sono la maggior parte. Circa 2 milioni si pensa abbiano una disabilità importante, con apparecchio acustico o cocleare. Sopra i 65 anni, una persona su tre è ipoacusico, sopra i 75 uno su due, sopra gli 80 lo è circa l’80% degli individui.

L’invecchiamento della popolazione è in crescita, aumenta la fascia degli anziani, quindi la problematica diventa importante. Così come resta importante fare una diagnosi e un trattamento precoce. Prima si interviene, meglio è. Negli ultimi anni sono emerse delle evidenze, ben dimostrate scientificamente, in cui si indica che il ritardo nella diagnosi dell’ipoacusia negli anziani favorisce l’insorgenza di disturbi cognitivi. L’ipoacusia è uno degli indici di rischio ormai definito per la demenza. Il trattamento con protesi acustica, invece, sembra avere un effetto benefico nel ritardare l’insorgenza della demenza.

Il ritardo nella diagnosi dell’ipoacusia negli anziani favorisce l’insorgenza di disturbi cognitivi

Sulla presbiacusia hanno rilievo anche gli aspetti genetici: dopo i 75 anni avere un’ipoacusia è abbastanza normale, ma ci sono casi in cui insorge precocemente, sui 50 anni, e si aggrava nel corso del tempo.

Diversi fattori influenzano l’insorgere della sordità, oltre ai fattori genetici, come lo stato di salute generale, lo stile di vita e l’esposizione al rumore (dal ragazzo che usa gli auricolari o va in discoteca, fino a chi svolge lavori rumorosi o va a caccia, ecc.). Ci sono, inoltre, condizioni vascolari e metaboliche, come ad esempio il diabete. Infatti, una delle nostre battaglie riguarda il fatto che, una volta iniziato un percorso diagnostico con il medico di base e lo specialista, il paziente non deve prendere la scorciatoia dell’apparecchio acustico, perché potrebbe ritardare la diagnosi o portare a diagnosi errate. A volte può esserci un tumore dietro la sordità o un’altra patologia trattabile con terapia medica/chirurgica. Tra gli scopi di questo Patto c’è quindi l’ottimizzazione di sinergie virtuose tra gli operatori delle professioni sanitarie non solo mediche ma anche audioprotesisti, audiometristi, logopedisti, ecc.”

A proposito di collaborazione, di team multi-disciplinari e di case di comunità, come si concretizzeranno?

“Molte cose purtroppo rimarranno sulla carta” – risponde Danesi. “Recentemente ho presentato una relazione sullo stato del PNRR che è stato utilizzato, al momento, con scadenza 2026, solo per lo 0,7% per quello che riguarda la Sanità. I 15 miliardi previsti in due tranche, una da otto e l’altra da sette miliardi, sono da destinarsi a due capitoli completamente diversi. 11,2 miliardi sono stati invece stornati tutti su unico argomento che sono le case e gli ospedali di comunità. Quindi è già sfumato l’82% del capitale. Il resto? La telemedicina, le nuove tecnologie, ecc.?

Che cosa serve per raggiungere un buon rapporto tra ospedale e territorio? In realtà serve solo una buona comunicazione e strumenti di comunicazione adeguati. Invece, tutto sta diventando complicato.

Nelle case di comunità sono previsti gli specialisti. Ma chi ci va? I medici ospedalieri? Non credo. E nessuno sa niente su questo. La Legge Bindi degli anni Novanta voleva chiudere gli ospedali sotto i 120 posti letto, poi non è mai stato fatto per ragioni politiche ed è stato meglio così. Ma considerando che ci sono tanti ospedali con 120-200 posti letto sul territorio, un ospedale di comunità con 20 posti letto ha senso? Perché non ricavarli all’interno degli ospedali o di strutture già esistenti? In realtà la medicina territoriale c’era, poi gli specialisti sono stati spostati negli ospedali e quindi si sono svuotati i consultori e le altre strutture di cura territoriali specialistiche. Tutto questo per non assumere altri medici, svuotando il territorio. Ora invece si parla dell’importanza della medicina territoriale. Sono tutti aspetti che ho vissuto in prima persona e non so darmi una risposta”.

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Ivana Barberini
Giornalista specializzata in ambito medico-sanitario, alimentazione e salute