Cosa pensano i direttori generali delle politiche legate al personale sanitario? Questa la domanda di partenza della survey promossa da Federsanità Anci con la collaborazione di C.R.E.A. Sanità e i cui risultati vengono presentati al Forum Risk Management in corso ad Arezzo.
Una cinquantina di domande per gettare luce su uno dei nodi non affrontati dal Pnrr, che prevede una parte residuale di risorse per le spese correnti.
“L’idea è che, poiché gli investimenti permessi dal Piano di Ripresa e Resilienza siano fruttuosi, il Piano dovrebbe essere affiancato da riforme strutturali – spiega Federico Spandonaro, Università San Raffaele di Roma e presidente del Comitato scientifico di C.R.E.A. Sanità – Purtroppo, del cambio delle regole che riguardano gli appalti o l’assunzione di personale non si parla più. Con la survey abbiamo voluto riportare al centro la questione delle risorse umane”.
Durante la pandemia è infatti emerso chiaramente come gli anni di blocco del turnover abbiano inciso sulle aziende sanitarie: si è riusciti a far fronte all’emergenza solo grazie a procedure in deroga.
Tra gli elementi che sono emersi con più forza c’è la necessità di avere delle procedure d’incentivazione per le aree più marginali e regole più semplici per l’assunzione.
Tra gli elementi che sono emersi con più forza c’è la necessità di avere delle procedure d’incentivazione per le aree più marginali e regole più semplici per l’assunzione
Oggi non è ancora del tutto chiaro se la riorganizzazione della sanità territoriale comporterà necessariamente anche una revisione della rete ospedaliera, come sarebbe auspicabile. In ogni caso, una migliore programmazione passa dal calcolo accurato dei fabbisogni e dalla comprensione delle modalità di utilizzo dell’esistente.
“L’aspetto che emerge dai dati internazionali è che l’Italia è poco attrattiva: un medico straniero preferisce andare a lavorare in altri Paesi invece che venire nel nostro, ricorda Spandonaro. Questo per ragioni economiche – i nostri camici bianchi sono retribuiti peggio rispetto alle altre Nazioni – ma anche per le regole che oggi condizionano i rapporti di lavoro e la mancanza di flessibilità”.
Il reclutamento del personale
I rispondenti alla survey, tutti direttori generali, hanno un’età media di 55 anni e un’anzianità nel ruolo di 18 anni. Oltre la metà (il 52,9%) dirige un’Asl, mentre il 23,5% un ospedale e altrettanti (23,5%) un’Azienda ospedaliera universitaria. Più differenziata la formazione: il 41,2% proviene dall’area clinica, il 23,5% da quella economica e il 35,3% dall’ambito giuridico.
“Abbiamo innanzitutto chiesto quanto la spesa del personale incida sul bilancio delle strutture – afferma Spandonaro – È emerso che il peso è in media del 44,7%, cui si aggiunge un 8,3% di risorse indirizzate alla formazione”. Complessivamente, oltre la metà del bilancio, a riprova della centralità della questione “personale” per l’efficienza del sistema.
Complessivamente, la spesa per il personale rappresenta oltre la metà del bilancio delle strutture
“A differenza di quello che si potrebbe pensare, sebbene la totalità dei rispondenti abbia evidenziato l’esistenza di alcune difficoltà nell’acquisizione di personale, nessuno ha segnalato problemi nel reperimento di specifiche figure professionali negli scorsi tre anni. Probabilmente si tratta di un tema sentito, ma che – al momento – non è ancora diventato urgente”, commenta Spandonaro.
Quello che i due terzi dei direttori generali ha segnalato, invece, è l’utilità nell’acquisizione di medici al primo anno di specializzazione, misura che è stata introdotta durante la pandemia.
“Interessante che, secondo la maggioranza dei Dg, dovrebbe essere la struttura stessa a certificare che i giovani medici abbiano acquisito le competenze necessarie per prendersi le responsabilità”. Così per il 70,6% di chi ha risposto alla survey. Per il 23,5% dovrebbe invece essere il tutor e per il restante 11,8% il docente universitario di riferimento.
Tra le questioni poste sul tavolo, la possibilità di reclutare il personale in modo simile a quanto succede nel sistema sanitario inglese: “Si tratta di una sorta di corso-concorso dove il National Health Service bandisce ogni anno borse di studio per i migliori master internazionali di management e policy sanitaria per neo-laureati, a cui offre successivamente contratti di inserimento a tempo determinato, accompagnati da percorsi di crescita professionale basati su programmi di rafforzamento delle competenze, anche con processi di affiancamento, bench learning, sperimentazioni sul campo”, spiega Spandonaro. Per i Dg questo meccanismo potrebbe essere un buon metodo, ma senza troppi entusiasmi (per oltre il 40% la misura vale 3 su una scala di 5; solo il 30% la valuta 5/5).
L’aspetto legislativo
Altro aspetto su cui concorda la maggior parte dei Direttori generali sono le regole per l’assunzione: per oltre l’80% è meglio una procedura più snella, semplificata, come quella utilizzata durante il Covid, a discapito di un insieme di prove concorsuali che mirano a selezionare meglio il personale, ma in tempi più lunghi. A fronte di questo, però, i Dg vorrebbero alcune regole che permettano di valutare competenze e comportamenti delle persone prima dell’assunzione a tempo indeterminato. La richiesta è dunque una maggior velocità nel coprire le posizioni vacanti, seguita da un test in corsia per capire se il neoassunto ha davvero le qualità – professionali e umane – richieste dal ruolo che ricopre.
Oltre il 70% dei Dg, inoltre, gradirebbe che fosse inserito un vincolo alle strutture accreditate nell’acquisizione di personale proveniente dal pubblico: “Capisco il punto di vista dei direttori generali, ma credo sarebbe necessario interrogarsi su come impedire il fenomeno a monte, invece di mettere paletti a valle”, riflette Spandonaro.
Per quanto riguarda i maggiori incentivi – economici e professionali – richiesti, i Dg stimano nel 30% la percentuale di retribuzione aggiuntiva che riterrebbero equa per professionisti dislocati in aree periferiche.
Per oltre l’80% dei direttori generali, sarebbe auspicabile una procedura di assunzione snella e semplificata, come quella utilizzata durante il Covid, piuttosto che prove concorsuali più approfondite ma con tempi più lunghi
Dal punto di vista dell’acquisizione di personale, il decreto Balduzzi nel 2012 ha fortemente limitato la possibilità di attivare contratti dirigenziali a tempo determinato ex 15 septies per dirigenti amministrativi, tecnici e professionali, restringendo, di fatto, la possibilità di ricorrere a profili specialistici presenti nel mercato privato e assenti tra i dipendenti pubblici, che normalmente devono passare 5 anni nelle vesti di collaboratore prima di poter accedere alle procedure concorsuali dirigenziali. La possibilità di estendere il 15 septies ha spaccato quasi a metà i rispondenti: per il 58,8% è un sì, per il 41,2 è no. Sullo stesso tema, la domanda sull’adeguatezza del vincolo dei cinque anni cui devono sottostare i collaboratori amministrativi ai fini dell’accesso ai concorsi della dirigenza ha fatto registrare un 47,1% di sì e un 52,9% di no. “Evidentemente questi non sono temi così sentiti come ritenevamo”, commenta il direttore del Comitato scientifico C.R.E.A.
Per contro, il 76,5% ritiene utile la rimozione del vincolo dei 5 anni stabilito dal contratto collettivo per l’affidamento di incarichi di struttura al personale dirigente: “Questo permetterebbe, in presenza di un giovane che brucia le tappe, di farlo avanzare prima del lustro previsto”.
La formazione
Sono considerati molto utili corsi di laurea per professioni sanitarie oltre ai clinici: per tecnici e amministrativi della sanità e per la formazione professionale istituzionale. Il Ssn, infatti, non è composto solo da camici bianchi, ma da un vivaio di professionisti che sempre più dovrà essere in grado di collaborare. Queste persone avranno bisogno di una formazione continua, che si articoli lungo l’intero percorso lavorativo.
Un approfondimento a parte è stato dedicato ai direttori di distretto, figure strategiche nella sanità del futuro, sempre più territorializzata: per il 94,1% dei rispondenti queste figure hanno bisogno di una formazione specifica a livello regionale (68,7%) o universitario (31,3%).
Per i medici di medicina generale, l’82,4% dei Dg ritiene utile una formazione universitaria.
L’82,4% pensa che gli attuali percorsi formativi universitari delle professioni sanitarie siano inadeguati alla luce del Pnrr
In generale, l’82,4%, inoltre, pensa che gli attuali percorsi formativi universitari delle professioni sanitarie siano inadeguati alla luce del Pnrr e quindi dello sviluppo dell’assistenza sul territorio, dell’integrazione socio-sanitaria e del ripensamento degli ospedali.
Quasi l’80% auspica l’introduzione, nel contratto collettivo nazionale, di nuove figure professionali che abbiano le competenze richieste per la gestione del Pnrr e non siano strettamente legate all’ambito sanitario, come people manager, operation manager, service designer, data analysist, stakeholders manager.
Un po’ a sorpresa il 70,6% dei Dg registra resistenze nel personale sanitario all’utilizzo della telemedicina. “In realtà è un dato in linea con una serie di studi che stiamo conducendo in parallelo – assicura Spandonaro – Dal punto di vista contrattuale, queste forme di lavoro non sono ancora ben normate. Non è chiaro, per esempio, chi paghi lo specialista che fa un teleconsulto con il medico di medicina generale, né quando questo debba avvenire”.
Il 94,1% dei direttori generali afferma che sono necessari interventi normativi specifici per regolare l’impegno dei professionisti nei servizi di telemedicina.
Le direzioni generali
Infine, alcune domande si sono concentrate proprio sulle direzioni generali: la retribuzione del top management del sistema sanitario italiano è infatti ferma al 2001 e non è correlata alle accresciute dimensioni delle aziende e ai correlati livelli di responsabilità.
Si calcola che i salari siano inferiori del 50% rispetto a ruoli analoghi nel settore sanitario privato e del 30% più bassi rispetto a quelli del top management delle altre amministrazioni pubbliche. Oltre a ribadire la necessità di un adeguamento delle retribuzioni commisurate al rischio che contraddistingue il settore sanitario, i Dg si sono espressi a maggioranza per la creazione di un unico albo di selezione dei direttori generali e sanitari e non per una serie di elenchi separati in base al tipo di azienda.
La retribuzione del top management del sistema sanitario italiano è ferma al 2001 e non è correlata alle accresciute dimensioni delle aziende e ai correlati livelli di responsabilità
Infine, la maggior parte dei rispondenti si è dichiarato a favore di una modifica dei criteri e dei processi per la costruzione degli albi, che tengano anche in considerazione le competenze raggiunte e le esperienze vissute.
“Viviamo una stagione di necessario mutamento organizzativo richiesto dal PNRR. In questo contesto è improcrastinabile una seria e complessiva riflessione su vari aspetti critici, relativi al personale del Servizio sanitario nazionale – sintetizza Tiziana Frittelli, presidente nazionale di Federsanità a Dg dell’Ao San Giovanni Addolorata di Roma – Occorre infatti un’operazione poderosa di change management per la nuova sanità territoriale, ripensando profondamente l’assetto del personale sia sotto il profilo delle acquisizioni che su quello dell’organizzazione”.
Per Frittelli “è quanto mai necessaria una corretta programmazione dei fabbisogni in una prospettiva di medio termine che devono essere poi tradotti in fabbisogni formativi. Occorre un tempestivo reindirizzamento dei programmi di formazione in ottica Pnrr, compresa l’alfabetizzazione tecnologica orientata alla teleassistenza. Infine il tema degli incentivi e dei meccanismi premiali che sono la chiave di volta per superare le criticità attuali. Tutti aspetti – conclude – che hanno trovato pieno riscontro nelle risposte alla survey da parte delle Direzioni strategiche e che Federsanità considera centrali per un cambio di passo per mettere a terra la nuova sanità di prossimità”.