PNRR e SSN: serve un cambio di paradigma

Come si legano un Piano di breve-medio periodo, con scadenze serrate (il PNRR) e una riforma strutturale del SSN? Intendendo il primo come un investimento, che avviene in un tempo limitato ma i cui effetti si dispiegano nel tempo

Il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) è sottofinanziato, soprattutto se si fa un confronto con il resto d’Europa. Eppure, un recente report dell’Istituto Toniolo, pubblicato nel maggio scorso, sottolinea il fatto che nel lungo periodo la tendenza della spesa sanitaria in Italia sia stata quella di un aumento. La crisi del SSN può allora essere frutto più di un problema di percezione che economico? Quali potrebbero essere quindi le risposte più appropriate? Si possono trovare nel PNRR? Ne abbiamo discusso con Eleonora Mazzoni, Direttore Area Innovazione dell’Istituto per la Competitività (I-Com).

Che rapporto c’è fra Servizio Sanitario Nazionale e PNRR?

Eleonora Mazzoni

Il PNRR nasce come strumento di breve-medio periodo e di certo rappresenta una grande opportunità perché stanzia delle risorse che rispetto al finanziamento ordinario del SSN sono aggiuntive. È questo il nodo centrale: il PNRR stanzia delle risorse che si aggiungono e sono da spendere nel breve-medio periodo, con scadenze controllate e monitorate dalla Commissione Europea necessarie affinché questo finanziamento possa effettivamente avvenire, entro il 2026.

Allo stesso tempo, tuttavia, si lancia una riforma che invece vuole e deve essere strutturale. Il legame fra PNRR e SSN è proprio questo: il SSN deve cioè trovare nel PNRR un supporto e un aiuto aggiuntivo rispetto a quella che sarà una sua riforma strutturale più di lungo periodo. Questa è la ragione per cui la visione legata all’attuazione del PNRR deve andare oltre alla scadenza del Piano stesso. Se vogliamo, quindi, il legame fra le due cose è paragonabile a quello fra investimenti e loro risultati: gli investimenti per definizione avvengono in un periodo limitato, però dalla loro messa a terra dipende quello che sarà il futuro in cui dovranno comunque continuare ad avere degli effetti da mettere a sistema. In questo momento io non sono convinta che si vada in questa direzione.

Il SSN è sottofinanziato?

I problemi ci sono ed è inutile cercare di nasconderli. Uno è legato alle risorse e al regime del finanziamento ordinario, che, al di là dell’ammontare più o meno ingente, consiste di risorse pubbliche che per definizione sono vincolate. Con questo dovremo fare i conti sempre e per fortuna, perché il nostro SSN è costruito per essere pubblico, universalistico, equo e accessibile a tutti i cittadini. Un altro grande problema è legato anch’esso alle risorse, ma in misura maggiore alla governance e al personale: parlo della carenza di medici di medicina generale, specialisti e infermieri che è testimoniato dai dati del ministero della Salute e fa venire anche delle preoccupazioni per il futuro per il turnover, visto che la differenza fra professionisti del SSN in uscita e in entrata nei prossimi anni è un rapporto negativo.

Una riforma più di lungo periodo del SSN non può prescindere dalla capacità di aggiornare in maniera flessibile e tempestiva le prestazioni e servizi che vengono erogati ai cittadini

Per quanto riguarda la messa a terra proprio della Missione 6 del PNRR – perché al di là delle strutture sono le persone, le competenze e le funzioni che svolgono a poterne garantire l’operatività e il raggiungimento degli obiettivi – questi sono degli scogli e non possiamo far finta che non esistano, così come un altro problema è l’aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza (LEA), perché una riforma più di lungo periodo del SSN non può prescindere dalla capacità di aggiornare in maniera flessibile e tempestiva le prestazioni e servizi che vengono erogati ai cittadini; altrimenti si va verso uno scollamento fra la domanda di cure delle persone e quello che il SSN è capace di erogare, indipendentemente dal fatto che costruiremo o meno delle strutture diverse o daremo a esse un’organizzazione diversa. Però c’è da dire che siamo abbiamo appena cominciato.

Cosa intende?

Il PNRR non va visto come qualcosa che dall’oggi al domani stravolgerà il sistema, bensì come un processo da accompagnare passo passo e che deve essere partecipato. Nel PNRR, così come nel DM 77, che poi è la vera riforma della parte quantomeno di assistenza territoriale, ci sono delle  linee guida che, giuste o sbagliate che possano sembrare, di fatto indicano degli standard; ma questo non significa che il relativo processo di attuazione, che deve avvenire piano piano nel tempo, non possa essere partecipato. Credo quindi che la cosa importante sia che tutti coloro che sono coinvolti in questo processo continuino a contribuire e a collaborare l’uno con l’altro per trovare soluzioni fino a dove possono essere individuate.

Al processo di decisione e di investimento devono partecipare tutti gli stakeholder del settore

Questo vale anche per tutti gli spazi di collaborazione fra pubblico e privato, che poi oggi non è più solo una collaborazione ma una partnership cross settoriale. Al processo di decisione e anche di investimento allora devono partecipare il pubblico, il privato, il terzo settore, i cittadini, la politica, gli amministratori locali: in un contesto di risorse pubbliche comunque limitate, la compartecipazione del livello sia decisionale che operativa deve essere tra tutti gli stakeholder del settore. Credo che da parte della politica ci sia una buona apertura nei confronti di questo approccio e c’è anche tanto movimento tra gli operatori privati, le associazioni di pazienti, i cittadini.

I rischi ci sono sicuramente, ma non si può dare per fallito l’esperimento, un po’ perché spero che non sia così, un po’ perché credo sia ancora presto e un po’ perché penso che dopo due anni di emergenza sanitaria sia giusto anche dare una fiducia costruttiva invece di essere disfattisti nei confronti di questo progetto. C’è tanto lavoro da fare e penso che siano chiare a tutti le criticità, quindi mi auguro che abbiamo ingranato la marcia in avanti e adesso vediamo dove riusciamo ad arrivare.

Come far funzionare il piano complessivo?

Spesso ripetiamo che i processi di cambiamento arrivano dal basso e poi salgono verso l’alto. La capacità deve essere di mettere a sistema e rendere replicabili tante esperienze virtuose che ci sono a livello territoriale nelle ASL, nei distretti sanitari e tra i professionisti.

Adesso cosa si aspetta?

Un grande sforzo da parte delle Regioni, che sono i primi soggetti attuatori del PNRR. Questo sforzo deve essere di avere una visione sulla pianificazione sanitaria e sulla programmazione che va oltre la mera attuazione della Missione 6 e deve essere accompagnato da un intervento a livello centrale che renda possibile innanzitutto l’aggiornamento dei LEA, perché senza di esso non avremo prestazioni e servizi adeguati alla domanda di salute. Possiamo riformare tutto quello che vogliamo, dotarci delle strutture, assumere le persone, ma senza l’aggiornamento dei LEA non garantiremo una risposta adeguata da parte del SSN. Perciò allo sforzo regionale si deve accompagnare un commitment centrale molto forte su questo aspetto e anche per quanto riguarda gli investimenti in competenze e persone. Questo richiede di rivedere sia la parte della formazione che i contratti, in un’ottica di maggiore attrazione delle figure del SSN.

L’altro sforzo che serve a livello centrale è quello volto a rendere possibile la raccolta e l’uso dei dati sanitari per la stratificazione della popolazione e il monitoraggio dei bisogni di salute per guidare la pianificazione sanitaria

L’altro sforzo enorme che serve a livello centrale è quello rivolto a rendere veramente possibile la raccolta e l’utilizzo dei dati sanitari per la stratificazione della popolazione e il monitoraggio dei bisogni di salute per guidare la pianificazione sanitaria. Oggi siamo pieni di dati e la possibilità di raccoglierli c’è. C’è una tema di tutela di privacy molto importante perché i dati sanitari sono particolarmente sensibili, però si può gestire nei confini della normativa europea e nazionale. Anche questa, insieme ai LEA, è una conditio sine qua non per poter rispondere in maniera adeguata alle esigenze della popolazione e sapere chi bisogna andare a prendere in carico, dove e perché.

Altrimenti si rimane all’interno di un modello in cui è la persona a dover fare il primo passo verso il SSN, invece quello che vuole l’impostazione del DM 77 è che sia il SSN a essere proattivo verso il cittadino e questo si può fare solo se si riesce a raccogliere e a mettere a sistema tutti i dati. A livello locale, durante il Covid, già molte Aziende Sanitarie hanno cominciato a raccogliere dati utili da inserire in piattaforme grazie alle quali poter prendere in carico i cittadini anche con gli strumenti digitali come la telemedicina. Questa modalità di lavoro va convogliata e fatta salire al livello centrale, perché, sempre in una cornice di risorse scarse, permette di individuare le priorità di intervento e valutare dove crea più valore andarle ad allocare. Questo è un obiettivo molto importante, che spero si raggiungerà.

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Adriana Riccomagno
Giornalista professionista in ambito sanitario