Procedure di gara centralizzate e accordo quadro

Due esempi di politiche regionali di acquisto, con le interviste a: Anna Maria Marata, Coordinatore della Commissione Regionale del Farmaco, regione Emilia Romagna. Direzione generale Cura della persona, Salute e Welfare; Maurizio Pastorello, Direttore del Dipartimento Farmaceutico dell’Azienda Sanitaria Provinciale di Palermo.

Il commento di Anna Maria Marata

Coordinatore della Commissione Regionale del Farmaco, Regione Emilia Romagna. Direzione generale Cura della persona, Salute e Welfare

Negli ultimi anni si ricorre sempre più alle procedure di gara centralizzate, anche a livello nazionale. Qual è la sua esperienza in questo senso? Per la sua Regione, quali pensa che possano essere le opportunità di una gara a livello nazionale rispetto a una gara regionale (e viceversa)?

In Regione Emilia Romagna abbiamo a volte aderito ad accordi quadro per l’acquisto dei farmaci stipulati da CONSIP a livello nazionale, in base anche a quanto previsto dalla normativa in merito alle categorie di beni e servizi da centralizzare e alle relative soglie. Non sempre però la nostra adesione ad accordi quadro nazionali è stata confermata dopo aver visto i risultati, soprattutto in termini economici: in teoria, è possibile che a livello nazionale si riesca a contrattare una scontistica maggiore rispetto a quanto si potrebbe fare a livello regionale, anche in relazione ai volumi, ma non è sempre così, è una situazione variabile. I prezzi ottenuti da CONSIP non sono quindi sempre così vantaggiosi.

Ha avuto modo di riscontrare qualche criticità in particolare, nell’esecuzione di convenzioni nazionali o regionali stipulate a seguito di procedura d’acquisto tramite accordo quadro?

Il ricorso all’accordo quadro è diventato più frequente da quando è stato reso obbligatorio per i farmaci biosimilari, con la Legge di Bilancio 2017, e fonte di confusione. Ad esempio il “tam tam” mediatico che si è innescato recentemente sugli acquisti dei biosimilari di adalimumab, e il susseguirsi sulla stampa di notizie in merito ai fortissimi sconti ottenuti da alcune Regioni, come ad esempio il Piemonte o la Toscana (che sono state le prime ad attivarsi) ne è un esempio. In realtà, questi acquisti così vantaggiosi non sono stati il frutto di un accordo quadro, perché, al momento della gara, non erano presenti sul mercato almeno 4 prodotti a base del principio attivo adalimumab, dunque non era obbligatorio per legge impiegare questa tipologia di procedura. In questi casi perciò le amministrazioni aggiudicatrici hanno indetto in realtà una gara senza accordo quadro e hanno acquisito non i primi 3 farmaci con la migliore offerta economica , come accade con accordo quadro, ma un solo farmaco, quello che ha fatto l’offerta più favorevole e mediamente stipulando un contratto a breve termine. In questo modo, quando diventano disponibili sul mercato altri biosimilari dello stesso principio attivo e si supera il numero di 3, è necessario, secondo la normativa vigente, prevedere una nuova gara, questa volta sì con un accordo quadro garantendo la disponibilità di 3 biosimilari diversi. Questo può avere importanti ricadute anche a livello clinico/organizzativo, perché i medici possono trovarsi nella condizione di dover sostituire le terapie appena prescritte ai pazienti a causa dei risultati della nuova gara: lo switch da un farmaco biosimilare ad un altro, anche se credo non costituisca un problema in termini di efficacia e sicurezza della terapia può però creare problemi perché i clinici debbono, ad ogni cambio di farmaco, informare il paziente, e se è presente un device per la somministrazione (come ad esempio una diversa penna) fornire le informazioni necessarie al suo corretto utilizzo, con un importante consumo di tempo. Tutto ciò ovviamente non favorisce l’uso del biosimilare. Non dimentichiamo che il reale risparmio di tale operazione non si realizza con l’acquisto, ma con la realizzazione degli switch.

Per tali ragioni, nella mia Regione è stata fatta una scelta diversa: non abbiamo ancora predisposto la procedura di acquisto per l’adalimumab in attesa che siano disponibili almeno quattro prodotti a base di tale principio attivo e in questo modo si possa indire la gara una volta sola e tramite l’accordo quadro. Ora che tale condizione si è verificata [intervista rilasciata a febbraio 2019, NdR], sarà quindi possibile indire rapidamente la gara tramite la nostra centrale d’acquisto. Si procederà quindi con un’unica gara tramite accordo quadro, verranno resi disponibili 3 prodotti evitando così ai clinici di fare switch di terapia ripetuti in breve tempo. Avremo così rispettato la legge senza ostacolare il lavoro dei clinici e senza causare un aggravio di impegno per loro e per i pazienti. Mi auguro che tale scelta aumenterà la loro collaborazione per raggiungere l’obiettivo di risparmio programmato. Vorrei inoltre ribadire che credo fermamente che dai dati disponibili e dall’esperienza ormai decennale sull’uso dei biosimilari, il passaggio da un biosimilare all’altro non determina un rischio di minore efficacia e/o sicurezza per il paziente.

L’arrivo sul mercato di nuovi biosimilari ha innescato una serie di gare in tempi molto brevi: a suo parere, è un sistema sostenibile per le pubbliche amministrazioni?

Questo susseguirsi di gare costituisce a mio parere una criticità e, secondo me, bisognerebbe trovare il modo, a livello nazionale, di normare l’arrivo di questi farmaci, che vengono immessi sul mercato in ordine sparso, scaglionati anche di molti mesi o anni. Per fare l’esempio di adalimumab, che in questo momento è sulla bocca di tutti, ma il discorso vale in generale, adesso in Italia sono autorizzati al commercio quattro biosimilari (fino a 10 giorni fa erano 2), ma l’EMA (European Medicines Agency) ne ha approvati a gennaio altri due, che quindi saranno presto disponibili. Anche se è evidente che l’introduzione dei biosimilari ha il solo scopo di creare una concorrenza sul mercato e attraverso questa una significativa riduzione dei prezzi, mi chiedo se non si possa pensare di fare ciò in un modo più ordinato e rispettoso della pratica clinica.

Bisogna poi fare i conti anche con la durata dei contratti e la sostenibilità delle forniture. Un contratto valido per un periodo limitato di tempo può prevedere scontistiche maggiori non sostenibili sul lungo periodo. Mi chiedo se una gara di lunga durata, ad esempio di 5 anni, quindi in grado di rassicurare i clinici sui rischi di continui switch sia in grado di garantire gli stessi prezzi di una gara a breve scadenza. C’è quindi il problema di definire una strategia di gara (rispetto al momento in cui effettuarla, alla modalità della sua attuazione, alla scelta della base d’asta più opportuna ecc.) che sia efficace rispetto al risparmio e che garantisca il minor disagio organizzativo per i pazienti e per i professionisti coinvolti nella prescrizione. C’è poi la criticità legata alla sostenibilità della fornitura: le aziende che garantiscono una certa disponibilità di farmaco al momento della gara devono essere in grado di rispettare la fornitura senza incorrere in rotture di stock. E questo non sempre succede. Purtroppo questo è un altro elemento che dovrebbe essere organizzato e gestito uniformemente nell’intero paese.

Questo sistema di gare all’impazzata, di offerte per contratti di breve periodo non è, a mio parere, il modo giusto per affrontare il tema dei biosimilari: si crea caos, si fa notizia sulla stampa di grandi risparmi; in realtà, come affermato in precedenza, si tratta di risparmi potenziali perché per realizzarli è indispensabile sostituire i trattamenti più costosi in corso con quelli meno costosi, ma di pari efficacia e sicurezza. Tale operazione ovviamente è da portare a termine, in collaborazione con i clinici, informando i pazienti e nel modo più efficiente possibile.

Vorrei in fine soffermarmi brevemente su alcune criticità insite nella modalità di acquisto attraverso l’accordo quadro. Mi riferisco al problema dell’attribuzione o meno delle quote di utilizzo dei 3 farmaci vincitori della gara.

Un’ulteriore criticità su cui vorrei soffermarmi è quella legata agli aggravi gestionali a livello delle farmacie ospedaliere creati dalla gestione di tre prodotti contenenti lo stesso principio attivo, ma non sostituibili automaticamente e dal conseguente aumentato rischio di errori nella somministrazione.

Il commento di Maurizio Pastorello

Direttore del Dipartimento Farmaceutico dell’Azienda Sanitaria Provinciale di Palermo

Negli ultimi anni si ricorre sempre più alle procedure di gara centralizzate, anche a livello nazionale. Qual è la sua esperienza in questo senso? Per la sua Regione, quali pensa che possano essere le opportunità di una gara a livello nazionale rispetto a una gara regionale (e viceversa)?

In Regione Sicilia abbiamo attivato alcune convenzioni tramite CONSIP ma non abbiamo mai effettuato gare aggregate per più Regioni. Le gare per l’acquisto di farmaci sono state effettuate sempre a livello regionale, tramite la Centrale Unica di Committenza (CUC).

A mio parere, in generale, maggiori volumi di acquisto, cumulati tra più Regioni, in alcuni casi potrebbero portare a maggiori risparmi ma vedo anche un importante limite, costituito dalle carenze di prodotto atteso che difficilmente una sola azienda potrebbe garantire, come unico aggiudicatario, i volumi richiesti, con possibili interruzioni del servizio. Per sopperire alla carenza di farmaci, bisogna che ciascuna azienda attivi singole procedure di acquisto in danno ricorrendo al secondo aggiudicatario.

Penso però che sia importante distinguere tra i diversi farmaci da acquistare. In determinati casi, ad esempio per i farmaci esclusivi, io andrei anche oltre la gara nazionale e proporrei addirittura un portale nazionale che consenta alle farmacie ospedaliere di effettuare, per il tramite degli uffici dei Provveditori Aziendali, direttamente gli ordini, nell’immediatezza a seguito di richiesta da parte del medico prescrittore, anche in assenza di convenzioni già stipulate, per fabbisogni precedentemente espressi. I Farmacisti infatti si trovano quotidianamente ad affrontare situazioni molto complesse: ad esempio, quando devono erogare a un paziente, sia esso ricoverato in un presidio ospedaliero o che afferisca alle strutture territoriali, un farmaco per cui non sia già stata effettuata una gara. In questi casi, è necessario mettere in atto una procedura molto lunga, che prevede il coinvolgimento del Provveditorato, il lancio della Richiesta di Offerta (RDO) e tutta una serie di altri passaggi, per cui i tempi, nella mia Azienda, non sono mai inferiori a 1-2 mesi. Il portale porterebbe ad una semplificazione sostanziale del processo. Penserei ad un portale dove siano caricate le schede dei farmaci nonché tutta la documentazione necessaria per l’espletamento dell’aggiudicazione compreso un link che si collega all’ANAC per generare il codice identificativo di gara (CIG). Quando si tratta di farmaci esclusivi, inoltre, il ricorso ad una gara ad hoc per singola Regione o struttura non consentirebbe comunque sostanziali risparmi perché il prezzo di cessione al servizio sanitario è concordato a livello centrale con AIFA, compresi eventuali sconti non presenti nei singoli provvedimenti di autorizzazione all’immissione in commercio e, pertanto, non sono possibili scostamenti significativi. Nell’ambito dell’esclusività, eventualmente un meccanismo di risparmio potrebbe generarsi nel caso in cui una Regione decidesse di indire una gara inserendo un determinato principio attivo in una più ampia contrattazione che preveda anche servizi o sconti non sul farmaco ma sul ciclo di processo o su altre prestazioni che possono essere fornite dalle aziende farmaceutiche. Per l’acquisto del solo farmaco esclusivo, secondo me, non è conveniente impegnare risorse, di personale e di tempo, in ogni singola Azienda Sanitaria o stazione appaltante di ciascuna Regione, per effettuare gare apposite ma sarebbe più utile poter avere a disposizione un portale nazionale per gli acquisti.

Diverso è il caso dei farmaci che hanno perso la copertura brevettuale e per il quale il discorso del mercato concorrenziale è significativo: in questo ambito però il livello più appropriato per la gestione delle gare e degli acquisti è, a mio parere, quello regionale, e non quello nazionale. In caso di aggiudicazione ad una sola azienda per tutto il territorio nazionale, io vedo alcune criticità importanti, relative soprattutto al rischio di rottura di stock e alla chiusura del mercato, con l’esclusione delle aziende non aggiudicatarie. D’altro canto, la prospettiva regionale nella gestione delle gare comporta alcuni vantaggi da non sottovalutare, correlati alle peculiarità della Regione, ai fabbisogni locali e alle logiche, anche normative, proprie delle diverse realtà. Le gare centralizzate a livello nazionale potrebbero essere maggiormente utili se nella normativa nazionale fosse presente in maniera stringente un’indicazione precisa verso l’utilizzo del farmaco a minor costo: in assenza di tale indicazione da parte di AIFA, la gestione deve essere, secondo me, demandata in toto alle Regioni. Ad esempio, anche la gara CONSIP per i farmaci biologici ha risentito dei diversi provvedimenti presenti nelle Regioni.

Ha avuto modo di riscontrare qualche criticità in particolare, nell’esecuzione di convenzioni nazionali o regionali stipulate a seguito di procedura d’acquisto tramite accordo quadro?

A mio parere il ricorso all’accordo quadro può comportare alcune difficoltà, in particolare per quanto riguarda l’individuazione di un unico fornitore, le percentuali di attribuzione e la definizione della base d’asta. Ad esempio, chi deve gestire le percentuali di attribuzione? Non è una questione semplice, dal momento che la Centrale Unica di Committenza può stabilire determinate percentuali di attribuzione ma poi ogni Azienda può accedere alla gara con il CIG derivato e, pertanto, nessun controllo viene posto in essere.

Inoltre io penso che al di sotto di determinati prezzi non sia possibile scendere, che ci sia il biosimilare o meno: in questo periodo, con le gare di acquisto per l’adalimumab (l’ultimo principio attivo biologico, in ordine di tempo, che ha perso la copertura brevettuale) l’abbassamento di prezzo da parte delle aziende è stato molto consistente e probabilmente, nelle future contrattazioni, non sarà possibile acquisire offerte più convenienti.

Quindi la mia proposta per quanto riguarda la definizione della base d’asta va in una direzione diversa: a mio parere, dovrebbe essere la Regione a stabilire un prezzo equo di acquisto di un determinato farmaco, aggiudicando la fornitura a tutte le aziende che accettano tale proposta, siano esse di biosimilari o di farmaci branded. Tengo a precisare che il prezzo fissato dalla Regione dovrebbe essere un prezzo equo, per garantire non solo la spesa farmaceutica regionale e l’accesso alle cure per i pazienti, ma anche la sostenibilità del mercato. Con questa procedura si incentiverebbe il ricorso al farmaco al minor costo e si garantirebbe la libertà di scelta del medico, che avrebbe a disposizione diverse alternative terapeutiche allo stesso prezzo. Inoltre non si obbligherebbero i pazienti a continui switch.

Questi meccanismi di incentivo verso l’utilizzo dei biosimilari e, in genere, dei farmaci a minor costo sono un argomento molto sentito. Infatti, sono stato il pioniere in Sicilia a promuovere l’utilizzo dei farmaci biosimilari e la Regione Sicilia, che lavora in questo senso da anni, ha emanato numerosi provvedimenti specifici, raggiungendo il terzo posto in Italia per consumo dei farmaci biologici a brevetto scaduto (dato IQVIA gen-set 2018).

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Rossella Iannone
Direttrice responsabile TrendSanità