La proposta di riforma della legislazione europea sui farmaci è stata presentata dalla Commissione europea al Parlamento di Ue la scorsa primavera.
“La riforma è ancora nel pieno del suo iter istituzionale, che presumibilmente durerà ancora molto tempo vita l’ampiezza delle modifiche proposte. Che si riferiscono sia al superamento della Direttiva 2001/83 in tema di medicinali per uso umano sia al quello del Regolamento 726/2004 relativo all’autorizzazione e la sorveglianza di questi medicinali. Chiamate in causa da questa proposta di riforma anche le norme comunitarie che regolano i medicinali orfani e quelli pediatrici”, ha affermato Renato Balduzzi, ex ministro della salute e promotore del workshop dedicato all’impatto di questa possibile rivoluzione sui farmaci innovativi, tenutosi lo scorso 6 novembre all’Università cattolica del Sacro Cuore di Milano.
Ma che ne pensano gli addetti ai lavori? Sarà possibile trovare un giusto equilibrio tra necessità cliniche e basi giuridiche degli ordinamenti? È questa la domanda a cui hanno cercato di rispondere farmacologi e giuristi riuniti a confronto nell’ateneo milanese.
Protocolli di studio per la medicina personalizzata e di genere
Tra i tanti temi che interessano la riforma legislativa al vaglio dell’Europa il tema della farmaceutica di genere è uno tra i più rilevanti secondo il presidente dell’istituto Mario Negri Silvio Garattini, che ha definito “illegale” il fatto che non ci siano protocolli di studio per i farmaci distinti tra uomini e donne. “Gli effetti collaterali dei farmaci sono maggiori nelle donne rispetto agli uomini e ben otto prodotti su dieci sono ritirati dal mercato a seguito di effetti collaterali manifestatisi sulle donne”, ha precisato.
La medicina personalizzata e di precisione si declina anche rispetto all’età dei pazienti
Il tema della medicina personalizzata e di precisione è stato evidenziato anche da Silvio Brusaferro, oggi ordinario di Igiene all’Università di Udine, che lo ha però declinato rispetto all’età dei destinatari del farmaco. “Molti degli studi clinici hanno come requisito il reclutamento di under-65, ma oggi e domani ancora di più i farmaci li utilizzeranno soprattutto gli over-65”. Un’ampia fascia di popolazione rispetto a cui “i dati sono limitati soprattutto in termini di effetti terapeutici derivanti dal politrattamento, che spesso diminuisce l’effetto dei singoli medicinali”, ha sottolineato l’ex presidente di Iss. Che ha poi aggiunto come sia necessario riflettere su quale sia “il reale impatto dei farmaci innovativi per gli over-65 in base all’età e alla sostenibilità in termini di compliance quando su inseriscono in contesti di politrattamento”.
Disparità di accesso e competitività a livello europeo
Favorevole alla proposta di riforma della legislazione farmaceutica europea si è detto anche il responsabile delle malattie rare del Gruppo Chiesi, Enrico Piccinini, che ha però evidenziato come ci siano tre aspetti che meritano ancora di essere approfonditi. In primis quello della disparità d’accesso al farmaco tra i diversi Paesi europei e tra le differenti regioni di una stessa nazione, come avviene in Italia e Spagna. “La Ce pare limitarsi a proporre incentivi alle aziende farmaceutiche in funzione dell’accesso uniforme al farmaco nei diversi Paesi. Ma sappiamo bene che ciò non dipende da una decisione delle aziende” ha detto Piccinini. Che ha anche ricordato come a fronte della questione accesso la revisione della normativa non porti “traccia rispetto a tempistiche sul tema prezzi e rimborso” dei medicinali.
Il punto non è se l’innovazione farmaceutica arriverà, ma dove e in quale Paese
Secondo aspetto su cui lavorare ancora secondo il responsabile di Chiesi è quello dei bisogni clinici insoddisfatti: “Nel caso delle malattie rare è evidente, ma vale anche per le malattie croniche, seppur in modo diverso, cioè avere un armamentario terapeutico più ampio per migliorare la pratica clinica e la qualità di vita dei pazienti. Pur essendo d’accordo nel modulare gli incentivi, andare a posizionarli nel concetto di unmet need clinico, variabile da realtà a realtà, non fa che aggiungere ulteriori termini di incertezza che possono portare allo spostamento degli investimenti verso Paesi in cui questa variabilità è inferiore”. Infine, non per importanza, il tema della competitività della farmaceutica europea, che deve confrontarsi con quella di Usa e Far East molto più aggressiva e frutto di decisioni prese più celermente di quanto avviene nell’elefantiaco Vecchio Continente.
La domanda che si è posto il direttore dell’assessorato alla Sanità della Regione Lazio, Andrea Urbani, riguarda una possibile sintesi tra equo accesso e sostenibilità (economica). “Penso che questa riforma debba affinarsi ancora un po’ sugli aspetti relativi alla tutela degli investimenti, che non sono ancora sufficientemente chiari”, ha affermato. Ricordando poi che le decine e decine di nuovi farmaci immessi sul mercato nel 2021 dimostrano che l’industria farmaceutica è molto effervescente. E che quindi “il punto non è se l’innovazione farmaceutica arriverà, ma dove. In quale Paese. E i 16 miliardi di investimenti sulle CarT degli Usa a fronte dei 3 miliardi europei” indicano che “l’Europa nonostante la pandemia non ha ben capito l’importanza di investire in salute”. Cosa che si riflette sull’accesso che “dipende dalla volontà dei singoli Paesi di investire in questo settore. L’idea vincente potrebbe essere stabilire un investimento minimo di ogni Paese rispetto al Pil”.
Innovazione farmaceutica tra sostenibilità e prossimità
Di equo accesso al farmaco innovativo e dell’evidente nodo sulla sostenibilità ha parlato anche il direttore generale della Federazione degli Ordini dei Farmacisti (Fofi), Guido Carpani. “Si tratta di una delle sfide più complesse dei nostri tempi. Tanto che nel 2010 Stato e Regioni trovarono un accordo per favorire l’accesso a questi medicinali sul territorio anche prima del loro inserimento nel Prontuario terapeutico regionale”. Eppure “indagini di Cittadinanzattiva e altre organizzazioni di pazienti ancora oggi fotografano una situazione di indisponibilità di questi farmaci negli ospedali e sul territorio e tempi di attesa lunghi”. Un quadro poco felice se si pensa alla prossima introduzione sul mercato di tanti farmaci innovativi.
La farmacia potrebbe essere il distributore di prossimità in grado di assicurare in Dpc un equo e capillare accesso al farmaco innovativo sul territorio
Ciononostante bisogna affrontare la situazione con atteggiamento positivo secondo Carpani. Che propone di trarre insegnamento da quanto avvenuto in pandemia con l’innovazione terapeutica. “L’esperienza dell’antivirale Paxlovid, per il quale da aprile 2022 Aifa deliberò la sua distribuzione territoriale tra farmacie e medici di medicina generaòe ha permesso un largo accesso a questo farmaco innovativo. Basti pensare che due terzi delle circa 150 mila dosi erogate sono state dispensate proprio dalla farmacia. La farmacia potrebbe essere il distributore di prossimità in grado di assicurare, in Dpc (Distribuzione per conto), un equo e capillare accesso al farmaco innovativo sul territorio”.
Sul tema della sostenibilità si sono espressi anche Garattini e l’ex direttore generale di Aifa, Nicola Magrini. Una sostenibilità etica ed economica per il primo: “La legislazione Ue dovrebbe eliminare, se non strettamente necessari, la possibilità di studi clinici verso placebo in quanto non etici. Stimolando invece studi comparativi per capire quali sono le molecole migliori. In quanto a sostenibilità economica, una delle strade potrebbe essere la revisione dei prontuari terapeutici nell’ottica di eliminare grandi quantità di referenze come si fece nel 1993, senza ripercussioni sui malati”. Ma sulle aziende sì.
Ha ricordato poi Magrini: “Tra i pilastri della Eu pharma strategy c’è il binomio ‘farmaco innovativo-affordable’. Come a dire che innovazione e sostenibilità devono andare a braccetto e non essere esclusive una dell’altra”. Già ma come fare? Diverse le carte messe sul tavolo da Magrini. Dall’ipotesi di “estendere di 36 mesi della denominazione di ‘innovatività’ laddove ci siano studi comparativi, a margini negoziali più alti per i prodotti innovativi e più bassi per gli altri farmaci”. Passando per l’idea di dare un premio di 5 milioni di euro all’anno per 5 anni alle aziende che arrivano a un prodotto innovativo per le malattie rare, che possa ripagare dello sforzo di ricerca e sviluppo sostenuto, a cui affiancare una negoziazione di prezzo e rimborso a prezzi più “normali” di qualche centinaia di migliaia di euro a trattamento. Perché “se ci sono uno o due pazienti all’anno da trattare, chiedere cifre di due milioni di euro a trattamento non ha senso”.
Quanto ai tempi stimati perché la riforma della legislazione farmaceutica trovi compimento si parla di un paio d’anni: “Guardiamo al 2025, non prima. Siamo funamboli e dobbiamo camminare su una corda tesa tra 27 Stati membri” ha chiosato il direttore generale Salute e Sicurezza alimentare della Commissione Ue Sandra Gallina.