Sanità digitale, la spesa cresce del 7% a quota 1,8 miliardi di euro

Il digitale assume sempre più il ruolo di fattore abilitante nella riorganizzazione dell’assistenza territoriale. Nel 2022 la spesa per la sanità digitale in Italia è infatti cresciuta del 7% rispetto al 2021, raggiungendo quota 1,8 miliardi di euro, ma è ancora lenta la diffusione nell’uso del Fascicolo sanitario elettronico che nel corso del 2023 è stato utilizzato almeno una volta solo dal 35% dei cittadini, come dimostrano i dati dell’Osservatorio Sanità digitale del Politecnico di Milano. Gli strumenti digitali stanno trovando comunque ampio spazio nella vita delle persone, anche nel campo della salute. Più della metà degli italiani ha scelto internet per identificare possibili diagnosi e il 42% per cercare informazioni su sintomi e patologie prima di una visita. Il 73% degli specialisti, il 79% dei medici di medicina generale e il 57% degli infermieri utilizzano applicazioni di messaggistica per comunicare con i pazienti. Già prima del Covid circa un connazionale su quattro accedeva a una app per trovare le farmacie più vicine e quelle di turno e il 15% se ne serviva per avere informazioni sulle medicine e leggerne i foglietti illustrativi.

Tra i vantaggi della digitalizzazione c’è proprio la possibilità di raggiungere più facilmente un numero maggiore di persone e, come previsto dalle riforme e dagli investimenti legati al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), avvicinare la sanità ai pazienti, contribuendo anche a ridurre le disparità di accesso e i tempi di attesa.

Sono questi alcuni degli spunti raccolti nello studio “Il digitale a supporto della sanità territoriale. Quali modelli organizzativi?” realizzato dall’Istituto per la Competitività (I-Com) e presentato nel corso di un dibattito promosso insieme a Doctolib, tech company nata in Francia nel 2013 e attiva in Italia dal 2021, tra i principali player europei nella sanità digitale. Parte del ciclo di tavole rotonde “Salute Digitale: nuovi paradigmi per la sanità”, l’iniziativa ha avuto lo scopo di approfondire lo stato dell’arte e i possibili scenari evolutivi per la digitalizzazione del settore, nell’ottica di un avvicinamento proattivo della sanità pubblica ai cittadini-pazienti e di una maggiore integrazione tra professionisti, strutture ed enti territoriali con l’obiettivo di migliorare l’accessibilità, l’efficienza e la qualità dell’assistenza fornita.

Il Decreto ministeriale 77/2022 che ha riorganizzato l’assistenza territoriale rappresenta una grande opportunità, ma pone notevoli sfide per quanto riguarda la fase attuativa affidata a regioni, aziende sanitarie e comuni, dalla quale dipende il vero cambio di paradigma immaginato dalla riforma che porta con sé l’esigenza di ripensare i modelli di interazione tra i diversi interlocutori: pazienti, medici, infermieri, care givers, organizzazioni pubbliche e private anche di settori apparentemente molto distanti. Una delle novità riguarda le Centrali Operative Territoriali (COT), che da giugno 2024 dovranno svolgere una funzione di coordinamento della presa in carico della persona e di raccordo tra servizi e professionisti coinvolti nei diversi setting assistenziali, e alle quali vengono destinati circa 280 milioni. Si tratta di poco più di 171 mila euro per la realizzazione di ogni singola COT, se ad essere realizzate fossero  le 600 centrali al momento previste. Il resto degli investimenti, destinato all’acquisto e implementazione di tecnologie abilitanti alla loro operatività (177 milioni di euro), vale per ogni singola COT circa 295 mila euro.

Lo studio evidenzia tuttavia alcuni dubbi riguardo alla capacità delle risorse stanziate di coprire le esigenze per la loro implementazione, tenuto conto del personale che sarà necessario a garantirne il funzionamento. In questo scenario, i servizi digitali che intermediano la ricerca e prenotazione delle visite, agevolando il contatto con il proprio medico curante, o la telemedicina rispondono a un bisogno reale dei cittadini e dei professionisti della salute sia nel pubblico che nel privato. E l’intervento degli operatori del settore privato dovrebbe essere riconosciuto come integrato e complementare rispetto al pubblico, e auspicabilmente dipendere dalla valutazione del valore aggiunto che è capace di creare per la gestione ed erogazione di servizi e prestazioni. Infatti, uno dei principali vantaggi documentati dell’inclusione del settore privato in progetti di natura pubblica è proprio la possibilità di trasferire in modo efficiente il rischio legato alla realizzazione degli investimenti in termini di tempi e costi certi, elemento che resta fondamentale anche nelle more dell’attuazione del PNRR.

“Le partnership pubblico-privato (PPP) manifestano un potenziale senza precedenti nell’innovazione digitale in sanità”, commenta la direttrice area Salute I-Com Eleonora Mazzoni. “Le aziende private specializzate in soluzioni digitali possono collaborare con le istituzioni pubbliche per sviluppare e implementare le piattaforme digitali, adattandole alle esigenze specifiche dei medici e dei professionisti sanitari, e garantendo il rispetto delle normative sia dal punto di vista sanitario che della privacy. La collaborazione tra pubblico e privato permette anche, peraltro, di supportare la formazione continua dei professionisti che utilizzano questi strumenti così che siano sempre in grado di trarne il massimo beneficio. Inoltre, i vantaggi maggiori legati alla crescente digitalizzazione della salute sono proprio per i cittadini”.

“Chi si occupa di innovazione, anche le aziende private, deve sentire il dovere di dare la propria disponibilità per lavorare al fianco delle istituzioni e con le organizzazioni dei professionisti sanitari, aprendo il dialogo e mettendo a disposizione il know-how e l’esperienza per aiutare a dare concretezza all’implementazione della Missione 6 del PNRR e migliorare per tutte e tutti l’accesso ai servizi sanitari”, spiega il CEO di Doctolib Italia Nicola Brandolese. “I servizi digitali come la prenotazione delle visite, le possibilità offerte dalla telemedicina o le soluzioni per contattare più facilmente il proprio medico rispondono ad un bisogno reale dei cittadini e dei professionisti della salute. Insieme, possiamo garantire ai cittadini un accesso ai servizi sanitari più semplice, veloce ed efficiente”.

Un’indagine degli Osservatori digital innovation del Politecnico di Milano ha evidenziato come i medici di medicina generale (MMG) siano una categoria particolarmente predisposta ad accogliere l’innovazione digitale. Prima del Covid-19, il 17% dei MMG effettuava teleconsulti tra loro e con medici specialisti, il 12% erogava teleassistenza e l’11% televisite. Dopo la pandemia circa il 60% è pronto ad utilizzare la telemedicina e l’uso che risulta più di interesse è proprio quello dei consulti con gli specialisti.

Gli strumenti di telemedicina, allo stesso tempo sono ancora lontani dal raggiungere il loro potenziale di diffusione. Più della metà degli italiani vorrebbe poter effettuare chiamate (video o audio) per un check di salute e usufruire di televisite con il medico di famiglia, ma solo il 13% effettua chiamate con il medico per un check e solo il 6% utilizza la televisita con il proprio dottore. Ancora, risulta che il 48% degli italiani sarebbe interessato ad effettuare un telemonitoraggio dei parametri clinici o una televisita con uno specialista. Questo invece accade effettivamente solo per circa il 2-3% della popolazione.

Le principali barriere nel recepimento dei cambiamenti a maggior carattere innovativo secondo i medici di medicina generale sono la limitatezza delle risorse economiche, le complessità intrinseche dei progetti, il basso livello di educazione digitale, ma anche la mancanza di soluzioni tecnologiche adeguate. Fattori che posizionano l’Italia al penultimo posto (a pari merito con la Spagna) tra i Paesi dell’Europa occidentale per maturità digitale dei sistemi sanitari.

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