Dal Laboratorio MeS la valutazione delle performance dei sistemi sanitari regionali

Anche quest'anno il network delle Regioni coordinato dal Laboratorio MeS Management e Sanità dell’Istituto di Management della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa ha proposto una riflessione sui risultati di performance ottenuti nel 2022 dalle aziende sanitarie, territoriali e ospedaliere, includendo per alcuni ambiti anche le aziende private convenzionate

Anche quest’anno il network delle Regioni coordinato dal Laboratorio MeS Management e Sanità dell’Istituto di Management della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa propone una riflessione sui risultati di performance ottenuti nel 2022 dalle aziende sanitarie, territoriali e ospedaliere, includendo per alcuni ambiti anche le aziende private convenzionate. Il “Network delle Regioni”, facendo leva su uno spirito collaborativo e di condivisione inter-regionale basato sulla volontarietà di valutare e valutarsi, per il 2022 include nove Regioni italiane (BasilicataFriuli Venezia Giulia, Liguria, Lombardia, Marche, Puglia, Toscana, UmbriaVeneto) e le due Province Autonome di Trento e di Bolzano. In modo trasparente, le regioni che aderiscono condividono i risultati conseguiti su diverse dimensioni per stimolare il confronto, fra regioni e tra le aziende / territori all’interno di ogni regione, sui percorsi clinico assistenziali, sui servizi offerti nei diversi setting assistenziali e per attivare meccanismi virtuosi di valorizzazione delle buone pratiche.

L’evento di presentazione dei risultati e di confronto, che si è tenuto nei giorni scorsi al Castello di Udine, è stato organizzato dal team di ricerca del Laboratorio MeS, coordinato dalla dottoressa Francesca Ferrè, in collaborazione con l’Azienda Sanitaria per il Coordinamento alla Salute (ARCS) del Friuli Venezia Giulia e con il Patrocinio del Comune di Udine. Sono intervenuti l’Assessore alla salute della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia Riccardo Riccardi, e i direttori delle direzioni regionali che si occupano di sanità del Network. Ad arricchire il quadro fornito dai ricercatori e dalle ricercatrici del laboratorio MeS, due lectio magistralis tenute dal prof. Silvio Brusaferro, Presidente Istituto Superiore di Sanità, e dalla prof.ssa Sabina Nuti, Rettrice della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa.

“Quest’anno sono state introdotte due novità importanti nel sistema di valutazione della performance del network delle regioni”, spiega la prof.ssa Milena Vainieri, responsabile del Laboratorio MeS e responsabile scientifica del sistema di valutazione del Network. “La prima riguarda la granularità dei livelli di governo per i quali è possibile confrontare i risultati di performance. Dal 2022 il sistema prevede il monitoraggio non solo a livello regionale e aziendale ma anche a livello distrettuale. Un importante passo in avanti per poter analizzare gli effetti sulla salute legati agli investimenti e alle riforme di riorganizzazione del territorio promosse dalle regioni anche in attuazione del DM 77. Sono circa 40 gli indicatori di valutazione per i quali è presente un confronto a livello distrettuale fra almeno tre regioni su diversi ambiti: le coperture vaccinali, l’assistenza domiciliare e residenziale, l’efficacia delle cure per i cronici, la salute mentale e le cure palliative. Un’altra novità riguarda l’introduzione di una scheda regionale e aziendale che fornisce una sintesi grafica dei principali elementi di contesto come, ad esempio, la popolazione di riferimento, il numero di posti letto, il numero di distretti e dell’assetto organizzativo e gestionale con indicatori sui ricoveri in mobilità, sulla quota del privato accreditato, sul personale, o sulle scelte di esternalizzazione dei servizi. Elementi che possono aiutare nell’interpretazione dei risultati ed eventualmente supportare nella selezione delle realtà da confrontare”.

300 indicatori per otto punti

I 300 indicatori che sono serviti a elaborare i risultati sono stati analizzati attraverso otto punti:

  1. La capacità di tutelare le categorie fragili e a rischio. L’importanza delle politiche di prevenzione e di promozione della salute, che si traducono nella capacità di copertura di alcuni servizi sanitari quali le vaccinazioni. Se da un lato le vaccinazioni pediatriche registrano una sostanziale tenuta della copertura, a riprova della solidità dei servizi del Sistema Sanitario Nazionale, dall’altro la copertura antiinfluenzale negli anziani e negli operatori sanitari conferma la tendenza in calo già registrata nel 2021. Nello specifico, tale calo risulta più evidente negli operatori sanitari, mentre la propensione alla vaccinazione antinfluenzale degli anziani mostra segni di ripresa nella Provincia Autonoma di Trento e in Veneto. Una nota di merito riguarda lo sforzo registrato da tutte le regioni nella campagna vaccinale per il Papilloma Virus (HPV), che si traduce in un maggior numero di cicli vaccinali completati dalle bambine fino ai 12 anni anche se complessivamente i livelli di copertura non sono ancora sufficienti. Un’altra categoria di persone fragili riguarda chi soffre di patologie di salute mentale. Sono presentati i tassi di ospedalizzazione nei maggiorenni e nei minorenni, degenze medie e ricoveri ripetuti a 7 giorni e fra 8 e 30 giorni. Il tema della salute mentale, molto più sentito dopo il Covid, presenta livelli di presa in carico e modalità organizzative molto diverse fra le regioni, le aziende e i distretti.

Le degenze medie per ricoveri chirurgici e medici si stanno allungando in alcune regioni

  1. La seconda riflessione riguarda la capacità di garantire cure nei setting assistenziali adeguati. Le degenze medie per ricoveri chirurgici e medici si stanno allungando in alcune regioni. In particolare, i risultati del 2022 mettono in evidenza che nelle regioni in cui l’indice di performance della degenza media per ricoveri medici è più alto si registrano collegamenti più difficili con setting assistenziali intermedi o territoriali come emerge dagli indicatori della percentuale di ricoveri oltre i 30 giorni e la percentuale di ricoveri oltre soglia negli over 65.
  1. La terza riflessione fa riferimento alla prossimità intesa come capacità di dare risposte al domicilio tramite prestazioni mediche, riabilitative, infermieristiche e di aiuto infermieristico. I tassi di utilizzo dell’assistenza domiciliare mostrano una fotografia eterogenea a livello regionale anche con riferimento all’intensità di cura erogata: tassi più contenuti per gli accessi in assistenza complessa (CIA 3). L’assistenza domiciliare rivolta agli anziani aumenta nelle realtà ove già consolidata (Toscana, Umbria e Liguria), rimane stabile e contenuta nelle altre regioni. Accessi con valutazione multidimensionale o definizione del PAI sociosanitario sono più frequenti in Toscana, Veneto e Liguria dove anche l’intensità assistenziale è maggiore. L’assistenza domiciliare è anche rivolta ai pazienti terminali; dai dati si evince come le regioni stiano aumentando l’accesso ai servizi di cure palliative, compresa l’assistenza al domicilio, sebbene con margini di miglioramento evidenti.
  1. La quarta riflessione riguarda la qualità dei processi e l’appropriatezza: qui entriamo nella tenuta degli assetti organizzativi e dei processi assistenziali, e ci muoviamo principalmente nella dimensione dell’emergenza-urgenza e dell’ospedale. Il Pronto Soccorso (PS) soffre: aumentano gli abbandoni dal PS, proxy di una percezione negativa della qualità del servizio, in media 5,1% dei pazienti delle regioni del Network abbandona il percorso diagnostico-terapeutico e si riscontrano criticità in alcune Regioni per i tempi di attesa in PS per il ricovero (fenomeno del boarding) entro le 8 ore. Nella partita dei ricoveri ospedalieri, la percentuale di pazienti che si dimettono volontariamente da ricovero ospedaliero, nel 2022 in media è il 1,2 % dei pazienti, dato in aumento in tutte le realtà ad esclusione della Liguria e Basilicata.
  1. La quinta riflessione è sulla tempestività di accesso alle cure. Il fattore tempestività è analizzato misurando la percentuale di interventi oncologici erogati nei tempi massimi di attesa per Classe di priorità A, e presenta una variabilità evidente, con le regioni del Network che si posizionano in tutto lo spettro delle fasce di valutazione. Rilevanti per la tempestività di presa in carico sono anche i tempi per l’accesso ai servizi ambulatoriali con evidenti difficoltà a garantire le prestazioni brevi e differibili, in particolare in Friuli Venezia Giulia. La tempestività di presa in carico in Pronto Soccorso varia secondo i codici di priorità: critica la velocità di presa in carico dei codici maggiori (priorità 2 e 3), mentre è soddisfacente la percentuale di dimessi da PS entro 8 ore, sebbene con ampia variabilità a livello aziendale. Quando consideriamo la tempestività di transizione tra servizi/setting, il contatto con i Dipartimenti di Salute Mentale (DSM) dopo ricovero ospedaliero non è sempre tempestivo, si va da circa il 40% degli adulti dimessi in Toscana preso in carica dai DSM entro 7 giorni a oltre il 70% in Umbria. Anche l’accesso tempestivo in Hospice per i pazienti oncologici in alcune Regioni spesso supera i 3 giorni dalla segnalazione (Liguria, Veneto e Umbria solo un paziente ogni tre accede entro 3 giorni dalla segnalazione). Ancor più critica e variabile la tempestività di accesso ai servizi domiciliare per gli over 75dimessi da ospedale: metà delle regioni del Network garantiscono a meno del 10% dei dimessi anziani l’accesso domiciliare a 2 giorni dalla dimissione ospedaliera.

La vera sfida inerente alle risorse umane riguarda dunque la valorizzazione – e un adeguato investimento – nelle figure professionali

  1. La sesta riflessione fa riferimento alla tematica del personale, una delle eredità della pandemia che più andrà affrontata nei prossimi anni. La vera sfida inerente alle risorse umane riguarda dunque la valorizzazione – e un adeguato investimento – nelle figure professionali, da tradursi in un maggior engagement di esse. La percentuale di assenza, proxy del clima interno aziendale, torna a calare nel 2021. Saranno presentati anche i risultati dell’indagine di clima organizzativo svolta in due regioni, Veneto e Toscana a cui hanno partecipato circa il 50% dei dipendenti (più di 20.000 questionari per regione). Ciò che emerge è che per molti degli aspetti non si è registrato un peggioramento post-covid però su alcuni ambiti è opportuna una riflessione in merito alle differenze tra famiglie professionali.
  1. La settima riflessione concerne il tema della sostenibilità dei sistemi sanitari, laddove la gestione dell’emergenza e post-emergenza covid-19 ha richiesto l’impiego di risorse aggiuntive. Nonostante il calo nel 2021 rispetto al 2020, la pandemia ha portato a un incremento significativo del costo medio per punto DRG in tutte le regioni del Network, evidenziando un cambiamento ormai strutturale nella composizione dei costi delle regioni e aziende sanitarie rispetto alla complessità dei ricoveri. Il dato è confermato dal trend in crescita del costo sanitario pro-capite. Nonostante ciò, la maggior parte delle regioni ha dato prova di una capacità di far fronte ai maggiori costi, rimanendo in equilibrio di bilancio. Una nota di merito anche per la governance della spesa farmaceutica per alcuni farmaci biosimilari. Nonostante l’evidente variabilità tra le regioni il 2022 mostra una tendenza in calo nella spesa di alcuni famaci.
  1. In ultimo, la riflessione trasversale su parità di genere e digitalizzazione che interessa il nostro Paese. L’inserimento della dimensione di genere nella valutazione delle aziende sanitarie è il primo contributo utile per il monitoraggio delle politiche sulle pari opportunità che si stanno discutendo ed implementando. Ad esempio, una misura volta a monitorare le disparità di genere è il soffitto di cristallo che, pur calando in alcune regioni quali Toscana, Veneto e nella Provincia Autonoma di Trento, si attesta ancora lontano dal valore pari a 1 che indica parità tra donne e uomini in termini di possibilità di carriera. La sanità digitale continua ad essere una grande priorità per il rilancio dei sistemi sanitari, in coerenza con gli indirizzi del PNRR. Continua a crescere la percentuale di ricette farmaceutiche e specialistiche dematerializzate, più eterogenea la situazione relativa al Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE). La sfida della digitalizzazione si traduce anche in servizi comprensibili e di facile utilizzo per i cittadini. A questo proposito i ricercatori del Laboratorio MeS, in collaborazione con il Centro Nazionale delle Ricerche, hanno effettuato una analisi sui servizi digitali nelle cure primarie per comprendere il livello di digitalizzazione e leggibilità di alcuni servizi di base, nello specifico sul servizio di scelta/cambio Medico di Medicina Generale (MMG). L’analisi restituisce una fotografia eterogenea sia rispetto al livello di digitalizzazione (valutato da quattro dimensioni: informatività, accessibilità, inclusività e consultabilità) che di leggibilità.

I risultati completi sono scaricabili gratuitamente, previa registrazione, dal sito del Sistema di Valutazione della Performance.

Nuti: “Per governare la spesa serve concentrarsi non solo sul risultato, ma sull’intero processo”

L’intervento della rettrice Nuti, che è anche membro del Comitato scientifico per le attività inerenti alla revisione della spesa istituito dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, è stata incentrata sul tema della valutazione della performance dei Sistemi Sanitari Regionali fra vecchie e nuove sfide post pandemiche.

Sabina Nuti

“Il Comitato, messo in piedi dal Ragioniere Generale dello Stato Biagio Mazzotta, in base alla Legge Finanziaria del 2023 prevede un grande lavoro a livello di amministrazioni centrali e di tutta la pubblica amministrazione, proprio sulla capacità di governo della spesa – ha affermato -. Tutto il lavoro svolto con le regioni, nelle occasioni di confronto con i colleghi per me è stato utilissimo per poter mettere sul tavolo numerosi esempi e poter sostenere che in Italia la sanità ha fatto da apripista e che non ha pari nelle altre pubbliche amministrazioni, considerando che mentre la sanità si dovrebbe adattare ai bisogni delle popolazioni, una serie di altri servizi pubblici ha meno questo problema e quindi dovrebbe aver lavorato molto di più su un confronto sistematico per rendere possibile un governo della spesa. Le domande aperte che ci siamo posti a livello nazionale partono da qui: si parla di spesa, ma un tema è l’allocazione delle risorse e un altro è se stiamo parlando di produzione di beni o erogazione di servizi. Cosa abbiamo imparato dalla sanità? Intanto conosciamo le conseguenze della strategia dei tetti di spesa: ci siamo ritrovati con il personale sanitario molto più anziano e senza competenze digitali. La strategia dei tetti di spesa per fattore produttivo e il blocco del personale non sono un buon meccanismo per governare la spesa”.

Cosa allora lo è? “Dal network delle Regioni abbiamo appreso che se si vuole governare la spesa bisogna agire sul processo, non solo sul risultato, che è come la foce del fiume. Dobbiamo capire quali sono le risorse in input, quali sono le attività svolte, quali sono gli indicatori di processo, qual è l’output, qual è l’outcome, fino ad arrivare all’impatto, perché se si misura solo un pezzetto si rischia di fare dei gravi danni. Questo l’abbiamo imparato e l’abbiamo messo in pratica, e badate: è l’unico ambito che lo fa, dimostrando che cosa vuol dire public disclosure e cosa significa trasparenza. Tutte le amministrazioni hanno la famosa sezione dedicata sul sito ma non si capisce assolutamente niente. Non si capisce come va l’azienda, qual è la sua percentuale di assenze, quali sono le sue dinamiche: una sezione dove c’è una valanga di file caricati, ma non è questo non vuol dire essere trasparenti”.

Il segreto è nel confronto sistematico, per superare l’autoreferenzialità e per imparare, e nel processo

Il segreto, secondo Nuti, è nel confronto sistematico, per superare l’autoreferenzialità e per imparare, e nel processo. “Dai dati dei nostri report negli anni emerge come non è detto che chi spende di più abbia risultati migliori, anzi il contrario: così si torna al principio dell’appropriatezza. Poi è arrivata la pandemia, una rivoluzione. Noi eravamo andati avanti anni con miglioramenti incrementali degli indicatori, poi arriva quello tsunami che cambia completamente le regole del gioco e ci fa capire quanto i professionisti sono fondamentali per tenere in piedi il sistema sanitario e si aumentano le risorse, perché davvero sono aumentate significativamente le risorse e abbiamo assunto tanto personale nelle Regioni e ci siamo ripromessi di non dimenticare questa lezione. Ora c’è questa grossa percezione che ci sia carenza di personale sanitario e su questo dobbiamo farci delle domande: davvero manca il personale? O forse dobbiamo lavorare in un modo diverso? C’è qualche cosa che dobbiamo studiare più a fondo, soprattutto pensando alla sanità territoriale?”

Ecco quindi la proposta di Nuti. “Ho fatto parte per sei anni del gruppo degli esperti europei sui sistemi sanitari e abbiamo fatto un grande lavoro sul concetto di task shifting, che potrebbe essere un elemento da studiare quando si pensa al personale, perché usiamo ancora i modelli organizzativi prepandemici. Quando si parla di task shifting, tutti pensano al solito problema di cosa fa l’infermiere e cosa fa il medico, ma è molto di più: si tratta di ragionare su chi fa cosa tra tutte le diverse tipologie di professionisti sanitari e anche su cosa può essere fatto dalla tecnologia. Siamo pieni di prototipi di telemedicina, ma non c’è un progetto che è entrato in modo sistematico e ha cambiato l’organizzazione. Diciamo che funziona perché ci sono dieci pazienti che hanno avuto dei sensori e c’è qualche medico che ha provato e ha visto che poteva essere utile, ma non abbiamo cambiato l’organizzazione, non abbiamo nemmeno previsto il cambio del modello di orario del personale che fa le televisite, che è una cosa diversa rispetto a fare delle visite in presenza: le abbiamo previste ma non abbiamo cambiato l’organizzazione”.

Un altro punto toccato da Nuti è quello del rapporto con i volontari: “Gli ospedali americani sono pieni di volontari che svolgono delle attività che qui da noi riserviamo ai professionisti, mentre i volontari faticano a capire che ruolo hanno: anche su questo aspetto si può ragionare in termini di task shifting e altre realtà europee stanno facendo molto di più”. Ancora, un ulteriore passo in questo senso potrebbe essere compiuto con il task shifting verso pazienti e caregiver.

All’importanza del territorio e della prossimità al paziente si affianca la riluttanza del personale sanitario a lavorare sul territorio

Altro tema: l’importanza del territorio e della prossimità al paziente, cui però si affianca la riluttanza del personale sanitario a lavorare sul territorio soprattutto nelle aree interne, dalle zone montane alle isole. “Lo si dice lo dice da vent’anni: guardate che se non ci mettete mano diventa una spirale negativa, le aree si depauperizzano, la gente se ne va e allora non c’è più quella dimensione minima per tenere aperti i servizi; quando chiudono i servizi il territorio diventa più insicuro, rimangano solo gli anziani e si va sempre peggio – ha detto la rettrice -. Possiamo cambiare questo paradigma. Possiamo pensare che le aree interne diventino il centro, per esempio, delle sperimentazioni e dell’innovazione: sarebbe intrigante. Questo cambio di paradigma deve coinvolgere anche la popolazione, gli stakeholder, i sindaci in un cambio culturale che responsabilizzi il cittadino”.

In quest’ottica sono i cittadini che devono pretendere la prevenzione, passando da una logica “assistenzialistica” alla responsabilizzazione e “appropriazione” della propria salute collettiva”:

  • che considera costi e benefici in un’ottica complessiva per la popolazione residente
  • che include la valutazione ambientale
  • che considera tutti gli asset e le opportunità che ogni stakeholder del territorio può mettere in campo per creare condizioni di sostenibilità e valorizzazione
  • che prevede un ruolo di protagonista e produttore di valore del cittadino residente
  • che rimette la prevenzione al centro dell’azione

Come fare? Innanzitutto con la digitalizzazione:

  • potenzialmente a basso costo
  • facile da usare, se disegnata per il target di riferimento
  • può offrire varie funzioni aggiuntive e integrabili
  • sempre più accessibile agli anziani… che diventano in modo crescente famigliari con le tecnologie digitali

A questo proposito, Nuti ha citato il caso della Toscana in materia di screening: i cittadini si spostano più volte per esami diversi. Oltre alla spesa per la popolazione, ne consegue un consumo di CO2 di 35.000 chili. “Si può fare di meglio”, ha commentato, ad esempio con un camper attrezzato, per poi chiosare: “Questo progetto parte a settembre e sono i sindaci i responsabili di tutta la campagna di promozione locale: è un cambio culturale fondamentale”.

In conclusione, ha affermato Nuti, le dimensioni della valutazione si ampliano:

  • andrà monitorato come e dove l’innovazione si implementa perché sia strumento di equità
  • andrà inclusa sistematicamente la valutazione di sostenibilità ambientale e sociale
  • dovremo rilanciare la prevenzione come “bene pubblico”

Toccando in fine il tema della “public service motivation” e di come questa “sia legata alle competenze manageriali del top management e alla relativa capacità di comunicazione con i professionisti che da esso dipendono per condividere la missione strategica che il sistema sanitario ha nel nostro paese”.

Brusaferro: “Immaginare il futuro e adoperarsi nel quotidiano”

La seconda lectio magistralis è stata affidata al Presidente dell’Istituto Superiore di Sanità Silvio Brusaferro, sul tema della resilienza dei sistemi sanitari regionali: le sfide apprese dalla pandemia e nuove sfide.

Silvio Brusaferro

“Vorrei partire da alcuni dati che tutti conosciamo ma che forse è bene ricordare – ha esordito -. Il primo è che, a distanza di tre anni dall’avvio della pandemia, in realtà il globo ha risposto in larghissima parte in maniera molto significativa proteggendo tutta l’umanità. Parliamo di quasi 13 miliardi e mezzo di dosi di vaccino somministrato in tutto il mondo, con alcuni Paesi un po’ più in crisi e questa è la preoccupazione che dobbiamo avere a livello globale. L’altro tema importante è il dato italiano. Al netto di una serie di considerazioni di dibattiti che tutt’ora caratterizzano la scena sociale e mediatica, il nostro Paese è riuscito a somministrare qualcosa come 150 milioni di dosi di vaccino e ha coperto gran parte della popolazione, tant’è che le persone oggi probabilmente non c’è nessuna persona priva di copertura immunitaria o per vaccinazione o per aver contratto l’infezione; e una gran fetta della popolazione ha un’immunità ibrida, che è quella che copre maggiormente in base alle conoscenze che abbiamo attualmente, combinando il fatto di avere una copertura vaccinale con l’aver contratto un’infezione”.

“Quanto alle fragilità che che sono emerse durante questa esperienza, alcune in realtà risalgono a prima della pandemia e oggi si ripropongono tali e quali, anzi in alcune situazioni più aggravate”, ha proseguito Brusaferro.

Elementi di fragilità pre-esistenti a Covid-19:

  • Demografia della popolazione (anziani)
  • Approccio alla fragilità
  • Globalizzazione e produzione industriale
  • Prevenzione
  • Literacy (alfabetizzazione: saper leggere un’informazione riguardante la salute e saperla comprendere e idealmente farne motivazione per le proprie scelte di vita)
  • Comunicazione

Due i volti della pandemia distinti da Brusaferro: da un lato una pandemia vecchio stile, con gli interventi non farmacologici che oggi chiamiamo NPI; ma anche terribilmente innovativa, cioè legata in maniera strettissima alla comunicazione e al tema del dato, alla possibilità di rapidamente rendere disponibili dati a livello globale.

Parola chiave resilienza: della popolazione, dell’industria e dei servizi sanitari

“Resilienza è una parola molto importante, una risorsa che è stata decisiva durante la pandemia ma è ancora più decisiva oggi, visto che dobbiamo affrontare sfide altrettanto importanti – ha detto il presidente dell’ISS -. Mi riferisco qui alla resilienza della popolazione, cioè alla capacità della popolazione di adattarsi e ricade sul fronte della prevenzione. È chiaro che la disponibilità, la volontà e la motivazione delle comunità di aderire a misure raccomandate fa la differenza. Da questo punto di vista, nell’ambito di uno studio europeo, il nostro Paese ha mostrato il maggior tasso adesione e consenso alle misure che venivano raccomandate. Questo è un punto importantissimo, perché ottenere risultati in termini di sanità pubblica passa attraverso la consapevolezza, la conoscenza e l’adesione dei singoli e delle comunità. Restando nel discorso della resilienza, l’altro tema è quello delle aziende e dell’innovazione, che è stato ovviamente centrale durante la pandemia. Pensate al lavoro di riconversione industriale che si è verificato nell’arco di sei settimane tra marzo e aprile 2020, quando da una produzione irrisoria di mascherine siamo passati ad autorizzare circa 600 aziende su 3mila che hanno fatto domanda perché rispettavano i requisiti di qualità e sicurezza. Di certo durante una fase pandemica è più pressante e drammatico, ma credo che quel capitale che abbiamo saputo mostrare di poter mettere in campo lo dobbiamo comunque mantenere con strumenti che ci aiutino in questo senso anche in tempi di “normalità”.

Ancora, l’altro passaggio è quello della resilienza dei sistemi sanitari, cioè la nostra capacità di riconversione: la più evidente è stata quella ospedaliera, ma pensiamo anche agli hotel e alle altre strutture residenziali oppure ai centri vaccinali avviati in maniera temporanea per rispondere a un certo tipo di esigenza. Questo spunto richiama la riflessione di Nuti sulla possibilità di concentrare per esempio in un unico punto d’accesso e in un’unica occasione tutta una serie di screening di popolazione soprattutto nelle aree più complesse da raggiungere o meno accessibili”.

L’altra lezione della pandemia citata da Brusaferro riguarda il tema del misurare. “Spesso, di fronte a un’emergenza, si attuano delle misure in sanità pubblica avendo delle evidenze limitate, così diventa essenziale in seguito misurare l’efficacia di quello che si è fatto”. Il risultato più eclatante emerso in questo caso è proprio quello della vaccinazione: “Questa pandemia segna un cambio nella storia delle epidemie, perché è la prima volta che ne modelliamo una grazie alla vaccinazione, ottenendo risultati spettacolari in termini di morti, di ricoveri e sofferenze evitate“.

C’è anche un’altra eredità della pandemia, il Long Covid, che è ancora in fase di studio, ha precisato Brusaferro, prima di passare ad analizzare le prospettive. “La prima credo consista nel partire da quanto ci siamo detti, ovverosia nel creare valore dalle storie di successo, al netto della risposta emergenziale”. In particolare, secondo Brusaferro:

  • In Italia abbiamo una rete capillare di professionisti altamente qualificati e appassionati: la risposta alla pandemia e alle sfide della salute non può prescindere dal mantenere e rafforzare questa rete
  • Innovazioni che si stimava sarebbero avvenute in molti anni hanno avuto un’accelerazione inaspettata: strumenti digitali per monitorare e gestire da remoto i pazienti; realizzare campagne di vaccinazione di massa; grandi investimenti pubblici in ricerca e innovazione in medicina; eccezionale produzione di conoscenza condivisa apertamente.

Ripensare la sanità alla luce della pandemia diventa quindi essenziale innanzitutto perché è una cesura storica: non sarà più come prima. Inoltre emergono alcuni grandi temi:

  • Preparedness: rapidità di azione e flessibilità
  • Equità ed economia del benessere
  • Prevenzione e public health: essenziale per la salute della comunità; va rafforzata; necessità di un coordinamento “glocale”
  • Ospedali e cure di prossimità: tecnologia, IT, Big Data, digital health; Missione 6 del PNRR; ospedali del futuro in rete e modulari; ospedali integrati con il territorio

Brusaferro ha quindi mostrato una slide mutuata da Anthony Fauci, relativa ai sistemi sanitari e disuguaglianze sociali nel mondo che hanno causato le disparità nel mondo in ambito Covid: discriminazioni, accesso e uso limitati dell’assistenza sanitaria, occupazione (sproporzionatamente in ambienti di lavoro essenziali dove il lavoro da remoto o il distanziamento è impossibile), divario di istruzione, reddito e ricchezza, e alloggio (alcune persone vivono in condizioni di sovraffollamento ed è difficile seguire strategie di prevenzione).

In tutto questo non siamo soli, ha ricordato Brusaferro, rimarcando la cornice dell’Unione Europea e le cinque missioni principali: lotta al cancro e al cambiamento climatico, smart cities, tutela del suolo, acqua. “Le agende a lungo termine sono dell’UE ma riguardano tutti noi: adattamento al cambiamento climatico, cambiamento demografico, organizzazione dei servizi e nuovi modelli di cura e assistenza, nuove tecnologie, personalizzazione della prevenzione, del trattamento e dell’assistenza, approcci basati sui dati (next level complex modelling)”. La bussola sono i goal dello sviluppo sostenibile: “Pur facendo progressi, il nostro Paese non ha ancora superato gli effetti negativi causati dalla crisi pandemica”, ha affermato Brusaferro citando i dati del rapporto Asvis 2022. Gli strumenti sono numerosi, dal PNRR al Piano Nazionale della Prevenzione 2020-2025.

Tra le sfide del futuro, Brusaferro ha quindi citato le zoonosi. Come affrontarle? “Con una serie di strumenti diffusi che possono garantire dati sistematici, coordinati e condivisi, che mettano insieme la parte epidemiologica con quella genomica, con i laboratori e con la parte clinica, che è fondamentalmente quello che abbiamo realizzato per la prima volta nel nostro Paese durante il Covid con dati praticamente aggiornati ogni giorno, che fornivano settimanalmente quadri aggiornatissimi di quanto stava succedendo: quella esperienza straordinaria che è stata messa a punto per fronteggiare la pandemia e che auspichiamo diventi la norma”.

Per passare dalle criticità alle risposte serve una visione e azione di medio/lungo termine

Brusaferro ha quindi citato altre minacce, dall’antimicrobico-resistenza, una priorità su cui l’Unione Europea sta mettendo in campo molte risorse, al tema demografico con le due valenze dell’invecchiamento e della denatalità, alla carenza dei professionisti della sanità (tema collegato, l’importanza della formazione), fino al cambiamento climatico. Per concludere sottolineando la crucialità della fiducia nelle istituzioni e nella sanità pubblica. Per passare dalle criticità alle risposte, ha sostenuto, serve infatti una visione e azione di medio/lungo termine: “Il futuro è di chi sa immaginarlo”, ha spiegato citando Enrico Mattei, ma aggiungendo che è anche di sa coerentemente tesserne la realizzazione, passo dopo passo, con pazienza e determinazione.

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Adriana Riccomagno
Giornalista professionista in ambito sanitario