Il nostro servizio sanitario nazionale quest’anno compie 45 anni, ma non ce la fa più. E non è colpa sua: «I costi dell’evoluzione tecnologica, i radicali mutamenti epidemiologici e demografici e le difficoltà della finanza pubblica hanno reso fortemente sottofinanziato il SSN, al quale nel 2025 sarà destinato il 6,2% del Pil, cifra molto distante dal livello degli standard dei Paesi europei avanzati che ammonta all’8% del Pil». «È necessario un piano straordinario di finanziamento» poiché «la spesa sanitaria in Italia non è in grado di assicurare compiutamente il rispetto dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) e l’autonomia differenziata rischia di ampliare il divario tra Nord e Sud d’Italia in termini di diritto alla salute». Con questo appello-denuncia 14 scienziati hanno firmato un documento in 10 punti dal titolo “Non possiamo fare a meno del servizio sanitario pubblico”.
Tra i 14 firmatari spiccano il Premio Nobel Giorgio Parisi, l’immunologo Alberto Mantovani e il presidente del Consiglio Superiore di Sanità Franco Locatelli, e con loro anche il farmacologo Silvio Garattini, fondatore e presidente dell’Istituto Mario Negri, che TrendSanità ha intervistato proprio su queste tematiche.
Un problema che si accoda e che si ripercuote sulle liste d’attesa è anche l’ipermedicalizzazione. Il tema dei ‘troppi esami diagnostici’ eseguiti più volte, si riversa sulla sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale?
«Sì e in due modi – risponde Garattini –. Il primo problema è rappresentato dalle liste d’attesa che rappresentano prima di tutto un aspetto della disuguaglianza nella disponibilità del Servizio Sanitario Nazionale perché, quando una persona chiede di poter fare un determinato esame e si sente dire che bisogna aspettare sei o sette mesi, ma a pagamento si può fare dopo pochi giorni, ecco, questa è una grande disuguaglianza che dovrebbe essere assolutamente cancellata. Perché l’intramoenia è, di fatto, un’ingiustizia. Chi ha soldi si può curare o avere esami e chi non li ha, peggio per lui.
È necessario ripristinare una situazione in cui ci sia veramente un’eguaglianza dei diritti
Il secondo problema è la contraddittorietà che si è creata con la stipula dei contratti dei sindacati con le assicurazioni sanitarie al fine di agevolare vie di preferenza. Questi sono contratti tasse esenti, quindi, alla fine li paghiamo ancora noi e danneggiano coloro che non li hanno».
Se si procede così, facciamo un salto indietro a prima del 1978, anno in cui si è istituito il Servizio Sanitario Nazionale con la legge 833, il quale si basa su universalità, uguaglianza ed equità?
«È per questo che diventa necessario ripristinare una situazione in cui ci sia veramente un’eguaglianza dei diritti, come esprime d’altra parte, anche la Costituzione italiana nei confronti della salute delle persone».
Tornando alle liste d’attesa e all’ipermedicalizzazione…
«Dobbiamo porci la domanda se molte delle richieste di esami diagnostici siano giustificate. In realtà, attualmente, c’è una grande richiesta di esami, spesso non necessari; questi esami fanno parte della medicina difensiva. Il medico ha paura di essere portato in tribunale, quindi prescrive qualsiasi cosa gli venga richiesto. Il medico dovrebbe invece prescrivere soltanto le cose che sono strettamente necessarie. Inoltre, molte delle prescrizioni sono inutili perché si rivolgono a malattie che sono evitabili. Il 50% almeno delle malattie croniche è evitabile.
È la prevenzione che può controllare il mercato: senza prevenzione, il SSN non sarà più sostenibile
In Italia, abbiamo oltre 3,7 milioni di persone con diabete di tipo due che hanno complicazioni nella sfera visiva, nella sfera cardiovascolare e nella sfera renale; tutte patologie che potrebbero essere evitate. Il diabete di tipo due è una malattia evitabile, quindi è anche una responsabilità di tutti noi il non far lavorare inutilmente il servizio sanitario nazionale. Dobbiamo inoltre pensare che il 40% dei tumori è evitabile. Eppure, di tumore muoiono in Italia, ogni anno 180 mila persone e spendiamo quasi 7 miliardi di farmaci antitumorali ogni anno. Per non parlare poi dei ricoveri, degli interventi chirurgici e di tutto quello che ne è inerente.
Bisogna tener conto del fatto che la medicina è diventata un grande mercato che non vuole mai diminuire, il mercato vuole sempre aumentare e noi abbiamo, in qualche modo, offuscato, dimenticato, il termine prevenzione, soprattutto la prevenzione primaria; cioè, abbiamo dimenticato che è necessaria una grande rivoluzione culturale in cui si cambi il paradigma; ovverosia, dobbiamo curare quello che non è prevenibile. Si crea quindi questo conflitto di interessi fra la prevenzione e il mercato, ma è solo la prevenzione che può controllare il mercato; senza la prevenzione il servizio sanitario nazionale diventerà insostenibile».
La percezione attuale dello stato di salute delle persone si è un po’ spostata, soprattutto dopo il Covid, verso un certo stato di incertezza. Ciò ha influito ulteriormente sulla sovramedicalizzazione e sulla sovradiagnosi?
«Abbiamo sempre avuto persone che vogliono fare sempre degli esami, anche quando non sono assolutamente necessari, ma succederà molto di più con l’avvento dell’intelligenza artificiale. In molti, già si rivolgono al medico dicendo quello che vogliono e se il medico non gli prescrive qualcosa, ritengono che il medico sia un incapace. Anzi, probabilmente è un medico molto attento. I cittadini, oggi, sono persuasi di sapere in anticipo quello di cui hanno bisogno».
I cittadini oggi sono persuasi di sapere in anticipo quello di cui hanno bisogno, e con l’intelligenza artificiale questo capiterà ancora di più
Per concludere, Garattini indica tre “ricette” per salvare il nostro SSN.
«Io dico sempre: abbiamo bisogno di una grande rivoluzione culturale, che significa attuare la prevenzione. Inoltre, sarebbe utile una scuola superiore di sanità per formare i dirigenti, affinché siano preparati, perché, molto spesso, sono i politici a prendere le redini della sanità. E poi avremmo bisogno della presenza dell’insegnamento della salute nelle scuole di tutti i livelli. Basterebbe un’ora alla settimana: un’ora, ma svolta da persone che siano preparate per questo scopo, anche solo per parlare di igiene, a partire dalle scuole materne ed elementari e con un linguaggio adatto all’età».