Il sistema sanitario israeliano alla prova del Covid. Mairov: “I punti di forza sono domiciliarità e telemedicina”

Assistenza a domicilio e telemedicina: così lo Stato di Israele ha tenuto a bada la pandemia. Oltre a una campagna vaccinale tempestiva e massiccia. A raccontare il caso di successo è stato Enrico Mairov, medico che vive a Milano dove è docente universitario, ospite di un ciclo di conferenze a Torino

Assistenza a domicilio e telemedicina: così lo Stato di Israele ha tenuto a bada la pandemia. Oltre a una campagna vaccinale tempestiva e massiccia. A spiegare il segreto del successo della risposta israeliana al virus e il funzionamento del sistema sanitario nel Paese è stato Enrico Mairov, medico che vive a Milano dove è docente universitario, ospite del ciclo di conferenze “Pandemia e pandemie” organizzato dall’Ufficio Pastorale della Salute dell’Arcidiocesi di Torino.

Difficile fare confronti con altre realtà, tenendo conto in particolare del fatto che lo Stato di Israele ha poco più di 9 milioni di abitanti (circa un sesto degli italiani) su una superficie di circa 20.770 chilometri quadrati, poco più della Puglia. Ma è indubbiamente un caso di successo nella gestione pandemica che va analizzato.

Com’è organizzato il sistema sanitario israeliano

Enrico MairovMairov, che è stato anche Responsabile Struttura Complessa Grandi Emergenze Internazionali dell’Agenzia regionale emergenza urgenza della Lombardia, ha spiegato: “Il sistema sanitario israeliano si basa sul Ministero della Sanità, che ha a disposizione quattro aziende sanitarie paragonabili quelle italiane. Ma, a differenza di queste ultime, le aziende sanitarie israeliane non hanno un limite territoriale: sono tutte presenti su tutto il territorio nazionale”.

I cittadini devono iscriversi a una di esse per ottenere le prestazioni in base alla legge sull’assicurazione pubblica sanitaria e, se non sono soddisfatti, possono cambiare azienda due volte l’anno. “Si tratta di un buon esempio di competizione guidata nel pubblico, perché le aziende fanno a gara per offrire servizi e assistenza migliori”, ha commentato il medico.

In Israele operano quattro aziende sanitarie su tutto il territorio nazionale: è una forma di competizione guidata nel pubblico

Gli ospedali sono organizzati su livelli: ce ne sono nove di livello 1, tra cui lo Sheba Medical Center di Tel Hashomer (Tel Aviv) che la rivista Newsweek ha messo al nono posto nella classifica dei migliori ospedali al mondo. Al suo interno, ha sottolineato Mairov, ci sono ben 180 centri di ricerca internazionali. La struttura ha coordinato l’Unità di crisi anti-Covid e oggi gestisce l’ospedale da campo allestito in Ucraina, a Mostyska, a 15 chilometri dal confine polacco nella zona di Leopoli, con 66 posti letto e cure possibili per 150 pazienti. Israele è stato il primo paese a stabilire un ospedale da campo nel Paese in guerra.

Sul territorio sono poi presenti altri ospedali governativi o delle aziende sanitarie, che assistono i pazienti cronici o geriatrici. Questa è una delle caratteristiche principali del servizio sanitario israeliano: i posti letto per acuti sono meno del 2 per mille e la degenza media è di circa due o tre giorni per paziente. “Non sono pochi: sono sufficienti, anche perché la maggior parte dei pazienti cronici è assistita al domicilio – dice Mairov -. È stata sviluppata una larghissima rete di assistenza domiciliare, che viene fornita da tutte le quattro aziende socio-sanitarie per conto proprio o in collaborazione con realtà convenzionate”.

Inoltre si punta molto sulla telemedicina o sulla telesorveglianza: “Ogni cittadino sul proprio computer o smartphone ha un’app con cui può parlare direttamente con un call center dei servizi sociosanitari in video con un infermiere triagista che predispone la risposta più adeguata”.

I pazienti vengono seguiti il più possibile al domicilio e con la telemedicina

Per la gran parte dei pazienti cronici viene attivato un programma di mantenimento a domicilio: “L’idea è di lavorare sull’appropriatezza: si evita di dover andare in modo inappropriato negli ospedali di primo livello, che sono riservati ai casi gravi o a interventi ed esami che non si possono effettuare al domicilio o in altri ospedali e strutture sul territorio. Vi sono infatti centri di pronto soccorso territoriali dove vengono assistiti i pazienti che non necessitano di recarsi nel pronto soccorso di un grande ospedale: ad esempio chi deve essere sottoposto a una visita internistica o fare una lastra o ricevere qualche punto di sutura”.

È attiva anche una relazione diretta tra ospedali e farmacie: “Se vengono prescritti dei medicinali, la ricetta viene inviata alla farmacia più comoda. Quando il paziente arriva, lo aspetta un sacchetto che contiene l’esatto numero di pastiglie necessarie per la terapia: in questo modo si evitano sprechi e immissione di sostanze inquinanti nell’ambiente e nell’acqua”.

Per le situazioni di emergenza si può chiamare il numero unico 101, simile al 118 del nostro Paese. Negli ospedali sono presenti uffici delle quattro aziende sanitarie, che ogni tre ore ricevono dalla direzione sanitaria un’email con l’indicazione dei loro assistiti ricoverati e possono informare i distretti o il medico curante o l’assistenza domiciliare e, alla fine del ricovero, programmare eventuali dimissioni protette. Poi entra in gioco la telemedicina.

“Una persona che avuto per esempio un infarto, una volta stabilizzata e curata viene dimessa con la previsione di assistenza domiciliare per due o mesi, cui si aggiunge la telemedicina attiva 24 ore su 24 con trasmissione anche dei dati biometrici al medico curante grazie a un apposito braccialetto – dichiara Mairov -. Al termine di questo periodo, se il paziente vuole continuare a usufruire del servizio, può abbonarsi e continuare ad averlo anche a vita pagando un ticket privato per modiche cifre intorno ai 50-60 euro al mese”.

La lotta contro il virus

Il fatto che la gran parte dei malati sia seguito con percorsi domiciliari ha salvato molte vite in Israele durante la pandemia: “In questo modo si è evitato il contagio negli ambienti ospedalieri”, osserva Mairov. “Inoltre, il governo israeliano, avendo capito già nell’ottobre del 2020 che Pfizer aveva preparato un vaccino, si è munito sin da subito di molti milioni di dosi di vaccino. Alla fine di febbraio, la stragrande maggioranza soprattutto degli anziani e dei pazienti cronici e lungodegenti era già vaccinata. Infatti a marzo è stato riaperto tutto fino all’estate. Poi ci sono stati dei ritardi legati alla seconda e alla terza dose, comunque recuperati, ma in generale il Paese è andato bene nella gestione dell’emergenza e relativamente alla popolazione ci sono stati pochi danni e morti. Nell’arco di circa 24 mesi, sono stati circa 10 mila i morti su tutto il territorio”.

Anche durante la pandemia non c’è stata una corsa verso gli ospedali: in questo modo si è limitata la diffusione del virus in ambiente ospedaliero

Adesso è in corso la vaccinazione con la quarta dose, che è consigliata agli over 60 e ai pazienti cronici e fragili. “Non è obbligatoria, ma in continuazione in televisione viene ricordato a tutti che, malgrado le emergenze che ci sono nel mondo, a partire dal disastro della guerra in Ucraina, bisogna essere consapevoli che il virus è ancora tra noi e che nel mondo molte persone muoiono ogni giorno e che per questo è fortemente raccomandato sottoporsi al richiamo. Grazie alla notevole adesione alla campagna vaccinale, oggi Israele è un Paese pressoché del tutto aperto, anche al turismo straniero, e la situazione in questo momento è sotto controllo”.

Attualmente in Israele permane l’obbligo di usare le mascherine al chiuso e chi arriva in aereo viene sottoposto a un tampone molecolare. “Un mese fa c’è stata una certa risalita dei casi, ma con l’aumento delle persone vaccinate con la quarta dose i numeri di questi giorni sono sempre più bassi – ha concluso l’esperto – In futuro vedremo cosa succederà, anche perché trattandosi di un virus influenzale sarebbe dovuto morire in estate ma questo non è avvenuto. Vedremo come andrà in autunno e se ci sarà un vaccino specifico per la variante Omicron. Sappiamo che i migliori specialisti al mondo ci stanno lavorando”.

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Adriana Riccomagno
Giornalista professionista in ambito sanitario