Eudamed: è della scorsa settimana la notizia dello slittamento di un ulteriore anno per la piena operatività. Cosa resta? Da un lato l’incertezza, dall’altro la crescita di una nuova cultura nel settore dei dispositivi medici cui il Regolamento europeo sui dispositivi medici 745/2017 ha imposto un’accelerazione.
A un anno dall’effettiva entrata in vigore del regolamento, quindi, la sfida della transizione dal sistema precedente a quello attuale, che ha rafforzato molti dei requisiti legati alle evidenze cliniche, è ancora da vincere. Sul tema sono largamente diffuse segnalazioni di difficoltà e confusione sulle corrette modalità da adottare e sui costi da sostenere. Molte le perplessità che, per le indagini cliniche, sono condivise tanto dalle aziende quanto dalle Contract Research Organization (Cro), che dovranno mettere a punto delle nuove modalità operative specifiche per i dispositivi medici.
In questo contesto, l’Osservatorio Trial ha organizzato un incontro informativo con l’obiettivo di analizzare cosa viene previsto dal nuovo quadro regolatorio, evidenziare le certezze ormai acquisite ma anche i punti ancora irrisolti, condividere esperienze di gestione della transizione tra il modello del passato e l’attuale, con il patrocinio di Confindustria Dispositivi Medici, Associazione Italiana Contract Research Organization (Aicro) e Società Italiana di Medicina Farmaceutica (Simef).
Eudamed: nuovo slittamento a fine 2024
La prima novità (fino a un certo punto, visto che gli slittamenti si susseguono dal 2019) è arrivata da Carla Cambiano, idel , e riguarda la banca dati Eudamed: ulteriore slittamento di un anno. Seguono quindi i ricalcoli delle varie fasi: audit indipendenti, poi presentazioni dei risultati del Medical Device Coordination Group (Mdcg) e verosimilmente, secondo l’esperta nel secondo quarto del 2024, pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della piena funzionalità di Eudamed, data importantissima perché da essa partiranno i termini per avviare l’utilizzo obbligatorio.
Qual è la situazione in Italia? Il quadro è quello dell’utilizzo volontario. “Il fabbricante può registrarsi e chiedere il rilascio del Single Registration Number (Srn) – ha spiegato -. Inoltre, come da articolo 123 comma d del Regolamento 745/2017, fino a quando Eudamed non sarà pienamente operativa, le corrispondenti disposizioni delle direttive 90/385/CEE e 93/42/CEE continuano ad applicarsi al fine di ottemperare gli obblighi previsti. Rimane l’obbligo di adempiere alla registrazione nella banca dati nazionale”.
La Circolare del 12 novembre 2021 del Ministero della Salute chiarisce alcuni aspetti necessari all’applicazione del Regolamento, tra i quali: disposizioni in materia di banca dati nazionale, i fabbricanti di dispositivi nazionali, i legacy devices, gli organismi notificati, la pubblicità, il ricorso a norme armonizzate, i prodotti dell’allegato XVI del Regolamento, le tariffe e le sanzioni. “La Circolare – ha affermato Cambiano – ha lo scopo di garantire un’applicazione uniforme e consistente del Regolamento sino al pieno funzionamento di Eudamed e durante il periodo di validità delle marcature CE ai sensi delle direttive”.
È inoltre possibile consultare la pagina del sito del Ministero della Salute dedicata a Eudamed.
Nel prossimo futuro ci attende il decreto di adeguamento della normativa italiana al dettato del Regolamento per la disciplina degli aspetti di interesse sanitario, dalle indagini cliniche fino alle attività di sorveglianza post-commercializzazione, vigilanza e sorveglianza del mercato (previsto dall’art. 15 della Legge 22 aprile 2021 n. 53), che è stato approvato in via preliminare dal Consiglio dei Ministri il 5 maggio scorso. Cosa attendersi per le Banche Dati? Registrazione obbligatoria per distributori e parallel trader e facoltativa per i soggetti che vogliono segnalarsi al SSN.
Comitati etici e indagini cliniche
È quindi intervenuto l’avvocato Agostino Migone de Amicis, componente del Centro di coordinamento nazionale dei comitati etici: incontro di professionalità diverse, titolari di competenze plurime, i comitati etici a oggi sono ancora poco definiti, visto che il decreto di riordino è ancora in gestazione. Di certo c’è, ha spiegato l’avvocato, che uno dei focus fondamentali dei comitati è tutelare la posizione del paziente: ecco perché su 15 membri, è previsto che tre siano espressione di associazioni di pazienti.
“La situazione attuale dei comitati etici, che si basa sulla legge Lorenzin (3/2018), è molto differenziata, perché seppur debbano essere indipendenti, sono legati fisicamente a centri di sperimentazione e c’è da questo punto di vista una grande distanza fra chi ha un’organizzazione capillare e un elevato numero di studi e altri con dimensioni, territorio e numero di studi di molto inferiori – ha detto -. In questo momento non si sa neppure chi, come e dove siano: si attende che il decreto di riordino indichi quali siano i quaranta comitati etici destinati a soddisfare le esigenze territoriali del Paese, di cui venti corrispondenti alle Regioni e gli altri secondo un principio “meritocratico”. Ma il problema principale per diversi aspetti tra cui la sperimentazione clinica è dato dal tempo che fugge, perché il regolamento trial prevede il passaggio dal vecchio al nuovo sistema il 31 gennaio 2023, che è praticamente dopodomani e per allora dovrebbero essere indicati, nominati, insediati e funzionanti quaranta comitati etici. Il tempo è molto poco”.
I comitati etici devono passare da un incrocio “contrappositivo”, di incontro-scontro tra le istanze degli stakeholder, a un incanalamento sinergico
Al centro di pressioni ed esigenze diversi, i comitati etici per Migone de Amicis devono trovare il modo di passare da un incrocio “contrappositivo”, di incontro-scontro, a un incanalamento sinergico delle istanze. Ma non è tutto: serve un cambio di passo, non più solo fra normative di Stati membri e materie complementari ma anche fra regolamenti (Gdpr, Ctr, Mdr) e fra organismi nazionali e comunitari. “I tre regolamenti sono tra loro coordinati molto poco e in modo non ottimale: pensiamo ai 70-80 rinvii alla normativa nazionale del Gdpr, che fanno addirittura dubitare della natura regolamentare della norma – ha commentato il legale -. Eppure l’impatto della privacy sul mondo della ricerca clinica è pesante”.
L’avvocato è quindi passato a illustrare una serie di nodi “domestici” da sbrogliare: quadro generale, inteso come attuazione dei regolamenti prima che sia troppo tardi; competenza dei comitati etici per le indagini cliniche; infine, contenuti e coordinamento dell’attività dei comitati etici. Su quest’ultimo aspetto, ha sottolineato, il Centro di cui fa parte sta operando con un approccio prospettico (formazione, monitoraggio, disponibilità all’ascolto) e pragmatico (strumenti a disposizione: linee guida, contratti-tipo).
Gestire e programmare un’indagine clinica sui dispositivi medici
Il punto di vista delle Contract Research Organization è stato portato da Elena Ottavianelli, direttore scientifico Associazione Italiana Contract Research Organization (Aicro), che ha sottolineato innanzitutto alcuni aspetti critici:
- Parlare un linguaggio comune, il mondo delle Cro e i principi Good Clinical Practice (Gcp) declinati in ambito dispositivi medici. Quali procedure garantiscono la qualità del dato? Personale qualificato e adeguatamente formato, sistemi validati di raccolta del dato, il concetto di Alcoac (che sta per Attribuibile, Leggibile, Contemporaneo, Originale, Accurato e Completo)
- Nuovi interlocutori, nuovi sponsor: spesso i servizi necessari a condurre uno studio non sono ben compresi (costi inattesi)
- Indagini pre e post-marketing: varietà di mezzi e di sponsor, varietà di ambiti terapeutici
- Incertezza sul miglior approccio consigliabile riguardo alle attese degli sponsor sia rispetto alle richieste degli organismi notificati (dalla definizione di obiettivi ed endpoint al calcolo del sample size alla presentazione dei report)
- Incertezza sui tempi di realizzazione a causa delle variabili tipiche di uno studio (tempi di approvazione/attivazione, difficoltà nell’arruolamento), spesso in conflitto con la necessità di fornire dati nei tempi richiesti
- Difficoltà nell’individuare i centri di ricerca (ad esempio quando il campo di applicazione è essenzialmente in centri privati)
Ecco dunque l’approccio attuale delle Cro:
- Trasferire l’esperienza Gcp su procedure dedicate alle indagini cliniche su dispositivi medici
- Cercare un equilibrio tra le attività Gcp e l’effettiva esigenza dell’indagine clinica, sempre tutelando la qualità e la spendibilità del dato
- Attivare e mantenere un canale di comunicazione e confronto con le autorità competenti e i comitati etici nell’ottica di fornire indicazioni uniformi e condivise
- Monitorare le criticità sul campo in un periodo denso di nuovi obblighi regolatori in ambito di ricerca clinica, come l’attuazione del Regolamento 536/2014.
Un contesto chiaro e trasparente per trasformare i problemi in opportunità
Ha voluto presentare non tanto un elenco di problemi, quanto vedere come alcuni possano essere anche opportunità il direttore dei Rapporti istituzionali di Confindustria Dispositivi Medici Lorenzo Terranova.
“Il primo punto è avere un contesto trasparente: serve andare verso un sistema di regole chiare”, ha affermato. “I regolamenti europei già citati hanno rappresentato non solo un cambio di strumento, dalla direttiva al regolamento, ma un passaggio culturale fortissimo che va tenuto in conto, con il salto da un insieme di norme da rispettare a un quadro ben ordinato che ha generato per le imprese uno sforzo certamente considerevole per modificare, seppur in misura diversa, la propria cultura aziendale e l’obiettivo generale dello stato di salute è andato a stimolare un nuovo modo di organizzare l’azienda e di rapportarsi con una serie di elementi”.
Un altro tema evidenziato da Terranova è il fatto che il mondo dei dispositivi medici abbia sempre avuto come riferimento quello del farmaco: “Un’analogia che conduce a una serie di difficoltà, ad esempio, come ha sottolineato Ottavianelli, il tema della comunicazione con linguaggi diversi. Il fatto che molto spesso si parli di similitudini con il farmaco non consente di apprezzare tutta una serie di tematiche, tant’è vero che nella composizione dei comitati etici non sono previsti esperti di dispositivi medici, ma c’è una cultura del dispositivo medico che è diversa da quella del farmaco”.
Esiste una cultura del dispositivo medico che è diversa da quella del farmaco
Altro aspetto toccato dal rappresentante di Confindustria, le società scientifiche: “Ci sono aspetti carenti che non possono essere regolamentati solo dalle linee guida Iso ma dovrebbero essere convalidati da lavori scientifici: quando si deve definire cos’è un campione ormai nel farmaco l’abbiamo più chiaro, mentre nell’ambito dei dispositivi medici, poiché manca una cultura industriale clinica, abbiamo delle difficoltà. Il ruolo delle società scientifiche sarebbe pertanto essenziale, ma, con un po’ di disappunto, tranne che con qualche eccezione, sembra che non conoscano o sappiano in maniera molto blanda che esistono due nuovi regolamenti europei. A questo proposito potremmo essere un’opportunità come collettore e sintesi di esigenze, per cercare di condividere esperienze e possibili suggerimenti”.
Sul tema del farmaco versus dispositivo medico, Terranova ha espresso la necessità del recepimento negli ordinamenti nazionali delle indicazioni della Conferenza internazionale per l’armonizzazione dei requisiti tecnici per la registrazione dei farmaci ad uso umano (International Council for Harmonisation of Technical Requirements for Pharmaceuticals for Human Use, Ich) e dell’Iso 14155:2020 con riferimento anche agli accordi di Helsinki, ultima versione. Poi ci sono l’aspetto della complessità regolatoria e del Mdcg, il grande tema, in crescita, dei software come dispositivi medici (e di conseguenza delle terapie digitali), quello della scarsità di organismi notificati sul fronte Eudamed e, infine, il punto della quantità e qualità del dato: “È importante che ci sia la valutazione degli elementi che possono consentire la valutazione del livello di evidenza e dei dati”.
Calamea: “Siamo alle prese con una rivoluzione culturale”
Le conclusioni del seminario sono state affidate a Pietro Calamea, direttore Ufficio 6 – Sperimentazione Clinica dei Dispositivi Medici del Ministero della Salute, le cui considerazioni hanno preso le mosse dalle parole nuove che porta con sé il regolamento.
Quella che si presenta, ha sostenuto, è una complessità che viene disvelata, non creata dal regolamento. “Tuttavia questa maggiore attenzione a scomporre i temi e a creare nuove vie dà vita ai numerosi ostacoli che abbiamo visto”, ha dichiarato, per poi passare a selezionare alcune parole chiave della mattinata. La prima: il ritardo di Eudamed, che doveva essere essere pronta a fine 2019 mentre ora si parla di fine 2024 per la piena operatività. “E pensare che se non ci fosse stata la pandemia avremmo dovuto iniziare l’applicazione a maggio 2020”, ha chiosato.
Seconda, la cultura. “Siamo in una situazione di transizione e quanto illustrato dall’avvocato Migone mi ha fatto pensare che, quando le cornici istituzionali si evolvono, anche i soggetti devono rivedere la loro posizione sulla base di fenomeni nuovi: i comitati etici non sono i soli in questa fase, ma anche le autorità competenti hanno la necessità di riorganizzarsi. Assistiamo quindi a una transizione istituzionale che riflette una transizione culturale – ha detto -. Cultura è una parola fondamentale: ci vuole un cambio di cultura per accettare lo tsunami che il regolamento genera e auspichiamo che, più ancora che uno tsunami, il regolamento possa essere come le piene del Nilo, che fertilizzavano le terre circostanti. Ci troviamo nella condizione di dover continuamente ripensare al significato delle regole, perché altrimenti questa complessità diventa insopportabile. Così come fa bene l’industria a ragionare sul significato della cultura aziendale perché i dispositivi medici non sono comuni apparecchi elettrici, giocattoli o semplici software”.
Sempre dal punto di vista del mutamento a livello culturale, ha affermato Calamea, se è vero che il dispositivo medico non è un farmaco, “d’altro canto il mondo dei dispositivi medici fa bene a guardare al farmaco perché la storia di vissuti, valutazioni e regolamentazioni può sicuramente essere un esempio, visto che la disciplina dei dispositivi medici è stata più semplice fino a oggi ma il regolamento segna la consapevolezza della necessità che non lo fosse più a questo livello. Oltre a organizzarsi diversamente i fabbricanti e a sviluppare un’evoluzione culturale del settore, però, ci vuole anche una risposta all’incertezza da parte del sistema e ne siamo consapevoli. È arrivato il momento di fare cose pratiche e noi come ufficio ci proviamo. Per questo è fondamentale il dialogo con gli operatori e occasioni come la odierna servono per creare premesse per procedure più snelle, calzanti e culturalmente utili”.
Per approfondire
Regolamenti Ue sui dispositivi medici: ancora lungo il cammino per le aziende