SSN e salute dei cittadini nell’emergenza-urgenza: è tempo di cambiare

L’Accademia dei Direttori SIMEU, meeting operativo tra i primari dei reparti di Medicina d’Emergenza-Urgenza italiana, si è riunita a Roma per portare avanti una visione complessiva del SSN, per superare la frammentazione e trovare nuove soluzioni

Non si vuole rappresentare soltanto il disagio dei professionisti, quanto assicurare un servizio ai cittadini. È questo il messaggio condiviso dai primari dei reparti di Medicina d’Emergenza-Urgenza italiani, ospedalieri e universitari, riunitisi a Roma per l’Accademia dei Direttori SIMEU.

Il titolo dell’evento è RiEvoluzione del servizio sanitario, troppo spesso identificato come sistema. Si cercano soluzioni scientifiche da applicare agli attuali scenari critici e complessi in ambito del Pronto Soccorso e del 118. Un servizio indispensabile per la salute pubblica in cui si affrontano situazioni patologiche gravi, nonché la sopravvivenza, che coinvolgono tutti, indistintamente da ruolo, classe sociale e condizione.

Il Sistema dell’Emergenza-Urgenza italiano deve affrontare soprattutto l’esigenza di un servizio efficace in termini clinici ed efficiente in termini organizzativi, senza tralasciare le novità in campo tecnico scientifico e le evidenti difficoltà organizzative determinate in particolare dalla carenza degli organici e dal crescente fenomeno del boarding.

Si cercano soluzioni scientifiche da applicare agli attuali scenari critici e complessi in ambito del Pronto Soccorso e del 118

Come sempre l’obiettivo finale dell’Accademia è generare una posizione comune e un documento di sintesi da sottoporre all’opinione pubblica e alle Istituzioni.

Vogliamo tornare a svolgere il nostro lavoro di specialisti dell’emergenza-urgenza per garantire i giusti percorsi di cura ai pazienti. Oggi, per lo stato di necessità, siamo a volte costretti a operare delle scelte di priorità che possono arrivare a penalizzare chi ha bisogno di assistenza. Ci rendiamo conto che spesso alle persone manca questa consapevolezza”, dichiara Andrea Fabbri dell’Ufficio di Presidenza SIMEU.

Purtroppo il confronto con le Istituzioni non è stato possibile, poiché nessun esponente politico si è presentato all’incontro.

Rilancio del SSN: risorse e proiezione futura

L’analisi del Rapporto Gimbe evidenzia un processo che sembra ormai inarrestabile di de-finanziamento della sanità pubblica italiana. Ma non è solo una questione di risorse, che comunque sono necessarie, perché quelle disponibili devono essere usate in modo appropriato, mentre è evidente che in Italia ci sia un problema organizzativo con profonde disuguaglianze a livello locale.

“Per la sanità italiana non si prevede nessun rilancio del finanziamento pubblico, ma si torna alla ‘manutenzione ordinaria’ che punta a risolvere i problemi contingenti senza eliminare le cause, portata avanti ormai da molti anni dai governi e che non fa che erodere sempre più i princìpi di universalismo, uguaglianza ed equità”. In altre parole, “dalla manovra di bilancio non si evidenzia alcun potenziamento strutturale del servizio sanitario”. Così il presidente della Fondazione Gimbe, Nino Cartabellotta, illustra le misure per la sanità contenute nella manovra, nell’ambito di un’analisi indipendente realizzata da Gimbe.

“Manca il personale infermieristico e in ambito europeo l’Italia si attesta agli ultimi posti per infermieri/1.000 abitanti” – prosegue Cartabellotta. “Soprattutto per attuare quanto previsto dal PNRR per le Case di comunità, le centrali operative territoriali, gli ospedali di comunità e l’assistenza domiciliare integrata. Siamo anche indietro su 5 scadenze e la proposta di rimodulazione dei fondi prevede di sopprimere 105 case di comunità, 87 centrali operative territoriali e due ospedali di comunità ex novo con criteri di distribuzione regionale non noti”.

Il punto è che il SSN è una conquista sociale irrinunciabile e un pilastro della nostra democrazia. Inoltre, il livello di salute e benessere della popolazione condiziona la crescita economica del Paese. Quindi, la perdita del SSN è destinata a portare a un disastro sanitario, sociale ed economico. “Occorre una visione chiara sul modello di Sanità pubblica che vogliamo lasciare alle generazioni future, quante risorse investire e quali riforme sono necessarie per indirizzare il SSN”.

Anche l’obiettivo dell’aggiornamento dei LEA, con la proposta di esclusione di prestazioni e servizi ormai superati e di inclusione di prestazioni innovative ed efficaci per allineare i LEA al progresso scientifico, non è mai stato raggiunto.

“Lo stato di salute del SSN” – conclude Cartabellotta – “richiede una profonda riflessione. Il tempo della manutenzione ordinaria è scaduto, è ora di fare delle scelte: o si avviano delle riforme e si mettono in campo investimenti importanti per restituire al SSN la sua missione originale, oppure si deve dichiarare apertamente che il nostro Paese non può più permettersi quel modello di SSN. In questo caso, la politica deve governare il processo di privatizzazione, che è ormai occulto visto l’indebolimento della sanità pubblica”.

Il tempo della manutenzione ordinaria è scaduto, è ora di fare delle scelte

In realtà, ci dice il presidente Gimbe, il sistema misto c’è già in parte, nella prassi comune, ciò che manca è la governance, una riforma coraggiosa che coinvolga i privati e che ne regolamenti l’attività. “Siamo già nel sistema misto nel percorso di cura. I pazienti spesso effettuano le analisi diagnostiche nel privato per poi farsi operare nel pubblico”.

La Fondazione GIMBE, con il Piano di Rilancio del SSN, conferma però che la bussola deve restare puntata verso l’articolo 32 della Costituzione che tutela il diritto alla salute di tutti i cittadini.

Dati dell’Osservatorio SIMEU

Fabio De Iaco, Presidente SIMEU, prosegue annunciando la mancata presenza dei rappresentati delle istituzioni invitati: il Ministro Orazio Schillaci, Francesco Zaffini, Presidente X Commissione permanente del Senato Affari sociali, sanità, lavoro pubblico e privato, previdenza sociale e Ugo Cappellacci, presidente della XII Commissione Affari sociali della Camera dei Deputati.

Poi illustra i dati raccolti dall’Osservatorio Nazionale permanente SIMEU sulla situazione in cui versano i PS, nello specifico 137 strutture di MEU, quindi un campione significativo, con un’omogenea distribuzione sul territorio nazionale, pari al 30% del totale nazionale. Sono dati che si riferiscono a un campione di accessi al pronto soccorso pari a più di 6 milioni, anche in questo caso rappresentativi del 30% dell’attività totale dei PS.

Mancano nei PS almeno 4.000 medici (pari al 40% del fabbisogno nazionale). Le fuoriuscite, negli ultimi 12 mesi, sono state 1.033 (di cui il 70% dimessi, pensionati, passati alla Medicina Generale o al privato e il 30% trasferiti ad altri reparti). I nuovi assunti, sempre degli ultimi 12 mesi, sono stati invece 567.

Ne consegue che il bilancio tra fuoriusciti e nuovi ingressi è negativo per il 45%; ciò vuol dire che solo il 55% dei medici è sostituito.

Continua poi il trend di abbandono. Secondo Beniamino Susi, Vice presidente nazionale SIMEU, “per invertire la tendenza, è necessaria una progettualità che parta dalla valorizzazione del ruolo del medico d’urgenza e proponga un modello organizzativo innovativo proiettato alle esigenze del futuro. Riceviamo continue manifestazioni di entusiasmo rispetto alla medicina d’urgenza da parte dei giovani professionisti che, però, dichiarano di non voler compiere questa scelta di vita, a causa del contesto in cui oggi si opera”.

Il bilancio tra fuoriusciti e nuovi ingressi è negativo per il 45%: solo il 55% dei medici è sostituito

Anche il livello del contenzioso in pronto soccorso è oggi uno dei motivi che allontana i giovani medici da questa specializzazione e incoraggia le dimissioni. Si rileva che nel 53% dei centri è presente almeno un procedimento penale a carico dei Dirigenti. In altre parole, c’è un procedimento penale ogni 12 medici.

Un’insufficiente copertura dei turni necessari da parte del personale in organico genera invece l’attuale difficoltà di gestione. 

Come si attrezzano le strutture per colmare questa carenza? Dall’analisi dei dati emerge:

  • nel 54% dei PS sono presenti contratti atipici: ogni medico è impegnato per una media di 4 turni al mese;
  • nel 48% dei PS operano dirigenti medici non MEU (provenienti da altri reparti dell’ospedale) in regime di prestazione aggiuntiva per una media mensile pro-capite di 3 turni;
  • nel 32% dei PS operano specializzandi MEU per una media di 5 turni pro capite al mese;
  • nel 29% dei PS operano specializzandi NON MEU per una media di 5 turni pro capite al

mese;

  • nel 28% dei PS sono presenti cooperative che forniscono in media 60 turni al mese (di cui al Nord 47%, al Centro 19% e al Sud 10%);
  • nel 20% dei PS operano dirigenti medici non MEU gestiti dalla Direzione per una media di 3 turni al mese pro capite.

“Se consideriamo che un pronto soccorso, con un’attività medio bassa, non oltre i 30.000 accessi annui, ha la necessità di almeno 300 turni mensili, ci rendiamo conto dell’esiguità del contributo portato da queste soluzioni e contemporaneamente si rileva l’estrema difficoltà di governo delle strutture che ne deriva”, afferma il presidente SIMEU.

L’indagine evidenzia anche un altro fenomeno legato agli accessi. I Direttori di struttura intervistati hanno, infatti, definito le principali caratteristiche dei pazienti che più frequentemente restano in boarding. Un tema molto delicato che non si esaurirà nei prossimi anni.

Ci sono:

  • Problematiche socio-assistenziali, presenti nel 90% delle risposte, cioè pazienti che potrebbero trovare una soluzione più adeguata fuori dagli ospedali, nel territorio;
  • polipatologia (più di 3 patologie), secondo il 75% delle risposte, ovvero pazienti presenti in pronto soccorso perché non è stato trovato un letto nel reparto di riferimento;
  • età superiore agli 80 anni, secondo il 62% delle risposte, per cui si tratta di pazienti anziani che non trovano una rete di supporto, per esempio in famiglia o nel territorio.

Il boarding non può continuare a essere considerato un tema esclusivo del pronto soccorso, occorre istituzionalizzarlo, in quanto problema dell’ospedale

Le più recenti evidenze in letteratura indicano che proprio il profilo del paziente debole è quello che paga di più in termini di mortalità e complicanze. Occorre un modello organizzativo innovativo generale che superi la visione attuale e che consideri il pronto soccorso come una priorità.

Dai dati emerge poi che nel 40% dei PS sono presenti ambulatori per pazienti a bassa criticità gestiti da medici esterni alla struttura non MEU. Quindi, nei fatti, “in alcuni pronto soccorso, c’è un tentativo di organizzazione le proprie risorse sui pazienti più acuti” – afferma Salvatore Manca, Past President SIMEU – “con modelli non molto diversi da quanto alcune Regioni stanno proponendo, come ad esempio l’Emilia Romagna e l’Abruzzo, per indirizzare la gestione dei pazienti a bassa criticità a professionisti non MEU, salvaguardando in questo modo anche la specialistica”.

Altrettanto importante, in termini di soluzione, è il dialogo che necessariamente deve avvenire con le Università e le Scuole di specializzazione.

Emergenza-urgenza: quale futuro per i cittadini

Nel prosieguo dell’evento, strutturato con tavola rotonda, Angelo Aliquò di Federsanità sottolinea che la situazione è più critica di quanto emerge dai dati, soprattutto per quanto riguarda la carenza di personale. Le soluzioni proposte negli anni sono diverse, ma è a monte che occorre agire, affrontando le difficoltà di volta in volta e tutti insieme, usando meglio le risorse economiche e gli strumenti già in atto, come gli screening oncologici.

Pe Giovanni Migliore di FIASO, PS e liste di attesa sono i due problemi cardine del nostro SSN e si trascinano da anni. Le cooperative sono una soluzione tampone e ci si chiede come mai non si usano invece quei fondi per incentivare il personale interno. Perché “i problemi del PS si risolvono in ospedale e non in PS, così come i problemi dell’ospedale si risolvono fuori dall’ospedale stesso”.

Per Carmelo Gagliano di FNOPI, invece, occorre supportare l’Emergenza-Urgenza, fare formazione e potenziare gli aspetti organizzativi per soddisfare i bisogni di salute dei cittadini. Muoversi verso il territorio con l’infermiere di famiglia o di comunità, anche per una gestione più efficace dei posti letto sempre più carenti. C’è bisogno, conclude, di una formazione specifica e continua post laurea e corsi magistrali ad indirizzo medico-assistenziale.

Francesco Franceschi di ITEMS (Italian Emergency Medicine Schools ) interviene, invece, sulla questione della mancanza di “vocazione” verso alcune specializzazioni come la chirurgia, la medicina di urgenza e l’anestesia e rianimazione. Ma serve ottimismo, perché le cose migliori spesso nascono proprio dalle crisi. Così come occorre una maggiore integrazione tra università e territorio e quindi ospedali.

Per Lorenzo Ghiadoni di AcEMC (Academy of Emergency Medicine and Care) è bene non restare isolati e arroccati sulle lamentele, ma agire e non delegare, e soprattutto parlare con i cittadini, coinvolgerli.

Anna Lisa Mandorino di Cittadinanzattiva concorda e vede nei cittadini gli alleati più importanti, come indicato nella Carta dei diritti nel pronto soccorso,cercando di prevenire i ricoveri in PS ed evitare gli accessi non necessari, spesso associati a disagio sociale.

Per Tonino Aceti di Salutequità le risorse per il SSN devono essere una priorità della politica, perché non c’è economia senza salute. È urgente ammodernare il SSN seguendo un nuovo modello che ponga al centro il cittadino e deleghi ai margini le lobby di potere. Le risorse ci sono ma allocate non sempre correttamente, come ad esempio i 10 miliardi non spesi per l’edilizia sanitaria. Perché non spostarli sul personale? Sono soldi fermi da anni. “Manca quindi un piano sanitario nazionale, un progetto e una visione chiara anche sul capitale umano del SSN”.

I professionisti dell’Emergenza-Urgenza fra aggressioni e denunce

L’ultimo confronto vuole focalizzare l’attenzione sulle aggressioni in PS, sulla legge 113 e su come la magistratura recepisce tale normativa.

Per Attilio Pisani, sostituto procuratore presso il Tribunale di Roma, le lesioni al personale sanitario sono considerate un aggravante, ma forse sarebbe più opportuno prevedere una fattispecie di reato a livello legislativo. Le denunce del personale medico in emergenza non sono numericamente più alte degli altri reparti e con la riforma Cantabria è stato fatto un passo in avanti, inserendo l’obbligo per il pubblico ministero di iscrivere il nome della persona alla quale il reato è attribuito non appena risultino indizi di colpevolezza a suo carico. “Non prima e non dopo”, così indica la legge in termini di pratica applicazione.

Il 50% delle aggressioni ha come motivo scatenante l’attesa

L’avvocato Dario Imparato evidenzia come la depenalizzazione dei medici sia un problema soprattutto politico e si concentra sulla difficoltà dell’operatore sanitario che deve seguire i protocolli con scrupolo, soprattutto nei triage.

Cristina Matranga, Direttore generale della ASL Roma 4, sottolinea come più del 95% delle denunce si conclude con un nulla di fatto, tuttavia l’operatore sanitario in PS non si sente sicuro. Ciò si deve anche all’incapacità del territorio di filtrare gli accessi in PS e ai tempi di attesa delle ASL. Il 50% delle aggressioni, infatti, ha come motivo scatenante proprio l’attesa. L’aggressione “infrange il patto sociale con il cittadino” e deve chiamare in causa tutti, stampa, avvocati e soprattutto la politica che destina al SSN sempre meno risorse. Occorre un patto di lealtà.

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Ivana Barberini
Giornalista specializzata in ambito medico-sanitario, alimentazione e salute