L’emergenza Covid-19 ha posto una sfida unica per il personale sanitario. Non solo perché ha comportato un aumento del carico di lavoro e un improvviso stravolgimento delle attività, ma, soprattutto, per il suo carico emotivo. L’impatto psicologico della pandemia sugli operatori sanitari, infatti, è stato considerevole. Diversi studi hanno evidenziato come stress, ansia e disturbi del sonno siano aumentati tra coloro che hanno vissuto in prima linea l’emergenza sanitaria.
La sfida è tuttavia ancora in corso, e il suo prolungarsi aumenta la pressione sugli operatori sanitari. Il rischio è che lo stress cronicizzi, determinando un esaurimento delle risorse psicologiche e conseguenti sindromi da burnout.
A due anni dallo scoppio della pandemia dunque, quali passi in avanti sono stati fatti per tutelare il benessere emotivo dei professionisti in ambito sanitario? Abbiamo fatto il punto della situazione con Valentina Simonetti, ricercatrice al dipartimento di Biomedical Science and Human Oncology dell’Università di Bari, e Cristina Di Tecco, psicologa del lavoro e ricercatrice presso il dipartimento di Medicina, Epidemiologia, Igiene del lavoro e Ambientale dell’Inail.
Perché gli operatori sanitari?
Gli operatori sanitari risultano tra le categorie professionali più colpite dagli impatti dell’emergenza Covid-19.
Hanno dovuto far fronte a turni di lavoro estenuanti, alla carenza di dispositivi di protezione adeguati, a cambiamenti drastici in termini di organizzazione del lavoro e dinamiche relazionali.
Il sovraccarico fisico ed emotivo nel tempo ha portato molti sanitari a rischio di burn-out e insoddisfazione lavorativa
Se a tutto ciò sommiamo il rischio maggiore di esposizione al virus, la paura di contagiare le persone care e, soprattutto nei primi mesi, lo stigma sociale riservato a tutti coloro che lavoravano a stretto contatto con i pazienti Covid, la pressione a cui sono sottoposti risulta notevole.
Un sovraccarico fisico ed emotivo che nel tempo ha portato molti sanitari a soffrire di stress, ansia e disturbi del sonno che, se non trattati, possono sfociare in una vera e propria sindrome da burn-out.
Gli infermieri, personale in prima linea
A riscontrare sintomi particolarmente gravi sono specialmente gli infermieri. Coinvolti in prima linea nella cura dei pazienti, sono stati maggiormente esposti al contagio, con ovvie conseguenze sul carico di stress. Già ad aprile 2020, infatti, gli infermieri rappresentavano il 47,4% dei contagiati tra i sanitari, insieme alle ostetriche, arrivando a giugno 2020, secondo un’indagine condotta dal Centro Studi FNOPI, a quota 14.000. Inoltre sono tra i professionisti sanitari che più si sono interfacciati direttamente con la sofferenza e la morte, altro fattore di carico emotivo.
“Gli infermieri sono stati tra il personale più a contatto, soprattutto in termini di tempo, con i pazienti affetti da Covid”, racconta Valentina Simonetti, ricercatrice al dipartimento di Biomedical Science and Human Oncology dell’Università di Bari e tra le autrici di uno studio sull’impatto emotivo della pandemia sugli infermieri italiani. “Questo, unito al fatto che spesso il personale è stato ricollocato da un giorno all’altro in unità operative Covid o in ospedali da campo, a volte senza una formazione emergenziale adeguata, ha contribuito al forte stress a cui questi professionisti sono stati sottoposti”, continua.
Molte professioni sanitarie lavorano già da anni sotto organico e lo stress aumenta il rischio di abbandono del lavoro
La ricerca, condotta tra febbraio e aprile 2020 su oltre 1.000 infermiere e infermieri equamente distribuiti in tutta Italia, ha evidenziato come soprattutto i disturbi del sonno, ma anche l’ansia e l’incapacità di fronteggiare lo stress, siano aumentati notevolmente durante l’emergenza. Il 71,4% degli intervistati, infatti, ha affermato di soffrire di disturbi del sonno, il 33,23% di ansia moderata e il 50,65% di avere una scarsa autoefficacia. L’autoefficacia, ovvero una bassa capacità di fronteggiare lo stress, è un importante predittore di salute mentale, con impatto sia sull’ansia che sui disturbi del sonno.
“La mancanza di sonno, unita all’ansia e allo stress, può inoltre portare a un calo della memoria e dell’attenzione, con ovvi impatti negativi sia sugli assistiti, che sull’operatore stesso”, aggiunge Valentina Simonetti. Occorre inoltre ricordare come i sanitari, in particolare nelle prime fasi dell’emergenza, fossero inseriti in un contesto sociale di lockdown e isolamento che ha esasperato lo stress lavorativo, amplificando in alcuni casi questi sintomi. “Tutto ciò può poi portare a un insoddisfazione lavorativa e contribuire al burn-out, con il rischio che molti infermieri lascino il lavoro, in una categoria che da anni lavora già sotto organico”.
Impatti a lungo termine: il rischio di burn-out
Stress, ansia e disturbi del sonno sono dunque un campanello di allarme per il rischio di burn-out, ma in cosa consiste questa sindrome?
L’OMS ha definito il burn-out come una “malattia occupazionale”, derivante da uno stress cronico sul posto di lavoro, non adeguatamente gestito. È caratterizzato da perdita di energie ed esaurimento, aumento della distanza mentale e di sentimenti negativi o cinici verso il lavoro e da una riduzione dell’efficacia lavorativa. È inoltre definito come un fattore che influenza la salute della persona e il suo successivo ricorso al sistema sanitario.
Spesso questa condizione è correlata alle professioni “d’aiuto”, come quelle sanitarie, in cui il coinvolgimento emotivo può esasperare una condizione di stress. Si può quindi facilmente intuire come, in una situazione di emergenza come la pandemia, il burn-out sia un rischio concreto e si debba agire con misure di prevenzione per i lavoratori.
Le azioni di tutela, a che punto siamo?
Alla luce di queste considerazioni, è chiaro come il tema della tutela della salute mentale degli operatori sanitari sia quanto mai attuale. “È necessario proporre misure organizzative di gestione del problema immediate e orientate alla gestione del disagio dei singoli lavoratori”, evidenzia Cristina Di Tecco, ricercatrice Inail e psicologa del lavoro. “Ciò ha portato il Dipartimento di Medicina Epidemiologia e Igiene del Lavoro e Ambientale (Dimeila) dell’Inail e il Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi (Cnop) ad avviare, sin dai primi mesi dell’emergenza sanitaria, una proficua collaborazione, finalizzata a identificare indicazioni e strumenti metodologici utili a fornire supporto agli operatori sanitari nella gestione dello stress e del malessere crescente legato all’emergenza”, continua.
L’iniziativa è stata tesa a promuovere l’attivazione di task force di psicologi all’interno delle strutture sanitarie, con lo scopo di garantire un servizio di supporto e sostegno psicologico e psicosociale rivolto agli operatori sanitari per la prevenzione del burn-out. A tal fine, sono stati forniti strumenti e materiali di supporto per i servizi, in alcuni casi già attivi sul territorio, e la possibilità di costruire una rete nazionale, con il raccordo di Inail, per la condivisione di esperienze, modalità e strumenti. La rete attivata ha incluso 15 strutture sanitarie in 8 regioni differenti, a cui è stato fornito supporto informativo e assistenza.
È necessario proporre misure organizzative immediate e orientate alla gestione del disagio dei singoli lavoratori
“La costruzione della rete di aziende ha permesso inoltre lo sviluppo di un’attività di monitoraggio dedicato alle modalità di implementazione della procedura a livello territoriale e finalizzato anche all’ottimizzazione degli strumenti e delle risorse fornite”. Sono infatti state raccolte schede di triage psicologico anonimizzate, per poter monitorare l’andamento dell’iniziativa.
“Le schede attualmente raccolte su 8 strutture sanitarie rilevano più di 800 richieste tra aprile e settembre 2020 e circa 2.000 colloqui di supporto psicologico condotti. L’approfondimento dei dati di monitoraggio e il confronto nel tempo dei dati raccolti saranno oggetto di pubblicazione nel 2022”, conclude Cristina Di Tecco.
“Abbiamo osservato come la pressione prolungata, in alcuni casi, ha portato gli operatori sanitari a sviluppare sindromi post traumatiche da stress e, in situazioni estreme, al suicidio. La presenza di una rete capillare di sostegno psicologico, su tutto il territorio nazionale, si rende dunque essenziale e, dove presente, andrebbe il più possibile implementata”, aggiunge Valentina Simonetti.
Uno sguardo al futuro
La pandemia ha reso più evidenti una serie di necessità e carenze già note anche prima del Covid-19. “L’attuale situazione emergenziale ha in realtà intensificato criticità già esistenti nel settore sanitario che, per le peculiarità dell’attività svolta e la presenza di potenziali molteplici condizioni di lavoro sfavorevoli, è tra i settori a maggiore esposizione al rischio stress lavoro-correlato”, afferma Cristina Di Tecco. Dato confermato anche da una recente indagine sulla salute e sicurezza sul lavoro condotta, sempre da Inail, nel 2021.
“A partire dal 2011, l’Inail ha pubblicato una proposta metodologica per la valutazione e gestione del rischio stress lavoro-correlato, aggiornata nel 2017, volta a offrire alle aziende un percorso di semplice utilizzo, garantendo il rigore metodologico. Le evidenze scientifiche degli ultimi anni hanno rilevato l’opportunità di contestualizzare e integrare gli strumenti offerti dalla metodologia Inail prendendo in considerazione fattori di rischio specifici del settore sanitario. È stata pertanto avviata un’attività di ricerca finalizzata a fornire strumenti di valutazione
Inail ha elaborato un percorso metodologico e strumenti di valutazione integrativi per il settore sanitario
Tale attività, avviata nell’ambito di un progetto CCM finanziato dal Ministero della salute, è continuata con lo sviluppo di una sperimentazione che ha coinvolto tre grandi strutture sanitarie dislocate sul territorio nazionale, che hanno utilizzato il percorso metodologico Inail e gli strumenti di valutazione integrativi per il settore sanitario. Gli strumenti integrativi per il settore sanitario, aggiornati alla luce dei rischi emergenti connessi alla situazione pandemica, verranno resi pubblici da Inail a partire dall’inizio del 2022, con il fine di dotare le strutture sanitarie, che si trovano ad effettuare la valutazione e gestione del rischio, di strumenti di valutazione integrati e soglie di rischio tarate sulle specificità del settore”
L’emergenza, tuttavia, ha fornito anche la spinta per la nascita di realtà innovative per la prevenzione dello stress lavorativo correlato alla pandemia. È il caso di MIND-VR, un progetto dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca in collaborazione con la piattaforma Produzioni dal Basso. Si tratta di un contenuto psicoeducativo in realtà virtuale su stress e disturbi d’ansia, messo a disposizione gratuitamente in italiano e inglese, per il supporto psicologico al personale sanitario ospedaliero coinvolto nell’emergenza Covid-19.
Non solo supporto psicologico: un ulteriore studio condotto sugli infermieri italiani durante la pandemia ha evidenziato come anche una formazione emergenziale adeguata possa contribuire alla riduzione dello stress. Infatti solo alcuni dei partecipanti alla ricerca aveva seguito corsi specifici per la gestione delle emergenze.
Supporto psicologico diffuso e immediato, maggior comunicazione con la leadership decisionale e formazione adeguata sono gli elementi da rafforzare
“Inoltre gli infermieri intervistati sottolineano la carenza di comunicazione tra il vertice organizzativo e il nucleo operativo, con ovvie problematiche logistiche connesse. Protocolli gestionali che favoriscano il dialogo possono essere, dunque, un ulteriore e importante strumento d’azione”, aggiunge Valentina Simonetti.
Supporto psicologico diffuso e immediato, maggior comunicazione con la leadership decisionale e formazione adeguata sono solo alcuni degli strumenti che possono essere utilizzati e migliorati per preservare la salute mentale degli operatori sanitari. A due anni dall’inizio della pandemia infatti, il rischio che lo stress prolungato favorisca il burn-out è sempre più concreto.
L’emergenza Covid-19 ha acceso i riflettori sulla tutela del benessere psichico dei professionisti sanitari, l’esperienza maturata deve essere un punto di partenza per l’attuazione di nuovi protocolli e lo sviluppo di nuovi strumenti. Questo perché le nuove misure di tutela diventino una prassi e possano aiutare nel caso di nuove emergenze.