Anche l’Italia ha il suo Sunshine Act. Da quando sarà attivato il registro apposito, le imprese produttive del settore sanitario (non solo big Pharma ma anche Terzo Settore) dovranno comunicare, in maniera trasparente, tutti i finanziamenti sopra i 100 euro erogati nei confronti di medici, operatori sanitari e amministratori/decisori che abbiano potere decisionale nel settore dei farmaci.
Una novità molto importante, visto che ad oggi il tema in Italia non aveva avuto tutte queste attenzioni e, a parte il Codice deontologico di Farmindustria, a livello giuridico non vi era nessun obbligo di rendere pubblici questi finanziamenti, soprattutto da parte dei soggetti privati.
Entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge, dovrà essere attivato il registro “Sanità Trasparente” per tenere traccia dei pagamenti tra le imprese produttrici e i soggetti che operano nel settore della salute
L’obbiettivo è infatti creare, entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge, un registro, chiamato “Sanità Trasparente”, in cui le imprese produttrici (pubbliche e private) registrino i pagamenti effettuati verso i soggetti che operano nel settore della salute e le organizzazioni sanitarie. Un registro completamente accessibile e trasparente. Di cui, al momento (siamo a novembre) non c’è traccia.
La legge ricalca il modello di una norma simile approvata già negli Stati Uniti, una nazione dove il conflitto di interesse e il lavoro delle lobby verso gli organi di potere è una costante della vita politica nazionale, ed è accettata dalla popolazione in virtù della trasparenza con cui opera. Da noi il conflitto di interesse va invece a braccetto con la cultura del sospetto: ci si chiede quindi se un registro che mette in piena luce i rapporti economici (legittimi) tra mondo sanitario e mondo industriale sia realmente compreso dalla popolazione o rischi invece di essere un boomerang.
La legge
Dopo oltre quattro anni dall’avvio dell’esame parlamentare, lo scorso giugno è entrata in vigore la legge n. 62 del 31/05/2022, sulle “Disposizioni in materia di trasparenza dei rapporti tra le imprese produttrici, i soggetti che operano nel settore della salute e le organizzazioni sanitarie”, conosciuta come Sunshine Act, che è lo stesso nome di una legislazione simile presente negli Stati Uniti dal 2010.
Per capire meglio come funziona il Sunshine Act all’italiana vediamo quali sono i soggetti coinvolti:
- «impresa produttrice»: qualunque soggetto, anche appartenente al Terzo settore, che eserciti un’attività diretta alla produzione o all’immissione in commercio di farmaci, strumenti, apparecchiature, beni o servizi, anche non sanitari, ivi compresi i prodotti nutrizionali commercializzabili nell’ambito della salute umana e veterinaria, ovvero all’organizzazione di convegni e congressi riguardanti i medesimi oggetti;
- «soggetti che operano nel settore della salute»: i soggetti appartenenti all’area sanitaria o amministrativa e gli altri soggetti che operano, a qualsiasi titolo, nell’ambito di un’organizzazione sanitaria, pubblica o privata, e che, indipendentemente dall’incarico ricoperto, esercitano responsabilità nella gestione e nell’allocazione delle risorse o intervengono nei processi decisionali in materia di farmaci, dispositivi, tecnologie e altri beni, anche non sanitari, nonché di ricerca, sperimentazione e sponsorizzazione. In questo elenco rientrano anche i professionisti iscritti nell’Albo nazionale obbligatorio dei componenti delle commissioni giudicatrici nelle procedure di affidamento dei contratti pubblici;
- «organizzazione sanitaria»: le aziende sanitarie locali, ospedaliere, ospedaliere universitarie, gli IRCCS e qualunque persona giuridica pubblica o privata che eroga prestazioni sanitarie, i dipartimenti universitari, le scuole di specializzazione, gli istituti di ricerca pubblici e privati e le associazioni e società scientifiche del settore della salute, gli ordini professionali delle professioni sanitarie e le associazioni tra operatori sanitari, anche non aventi personalità giuridica, i soggetti pubblici e privati che organizzano attività di educazione continua in medicina nonché le società, le associazioni di pazienti, le fondazioni e gli altri enti istituiti.
Che cosa occorre comunicare? Le convenzioni e le erogazioni in denaro, beni, servizi o altre utilità effettuate da un’impresa produttrice in favore:
- di un soggetto che opera nel settore della salute, quando abbiano un valore unitario maggiore di 100 euro o un valore complessivo annuo maggiore di 1.000 euro;
- di un’organizzazione sanitaria, quando abbiano un valore unitario maggiore di 1.000 euro o un valore complessivo annuo maggiore di 2.500 euro.
Vanno inoltre comunicati tutti gli accordi tra le imprese produttrici e i soggetti che operano nel settore della salute o le organizzazioni sanitarie, che producono vantaggi consistenti nella partecipazione a convegni, eventi formativi, comitati, commissioni, organi consultivi o comitati scientifici ovvero nella costituzione di rapporti di consulenza, docenza o ricerca. Queste attività vanno comunicate in via elettronica in un apposito registro che al momento non è stato ancora attivato.
Chi può vedere i dati del registro? Il registro pubblico sarà liberamente accessibile per la consultazione ed è provvisto di funzioni che permettono la ricerca e l’estrazione delle comunicazioni, dei dati e degli atti. Queste informazioni sono consultabili per un periodo di cinque anni, dopodiché saranno cancellate.
Cosa succede alle imprese che non comunicano queste informazioni? Potranno pagare multe di 20 volte il valore dell’omessa dichiarazione. Per la rilevazione degli illeciti la legge prevede anche il ricorso ad uno strumento di whistleblowing.
In Italia abbiamo normative che regolamentano la trasparenza, come il FOIA, Freedom of Information Act, introdotto con decreto legislativo n. 97 del 2016, e il Codice della trasparenza, introdotto con il decreto legislativo 33 del 2013.
A livello europeo, il Codice Comunitario del Farmaco (approvato con decreto legislativo 219 del 2006) definisce le attività di pubblicità e tra queste rientra anche il patrocinio dei congressi scientifici cui partecipano persone autorizzate a prescrivere o a fornire medicinali, in particolare il pagamento delle spese di viaggio e di soggiorno di queste ultime in tale occasione.
Fino ad oggi quindi per le imprese che operano nel mondo sanitario (soprattutto private) almeno in casa nostra, non vi erano obblighi giuridici di trasparenza particolarmente rilevanti. In Italia le case farmaceutiche hanno comunque specifici obblighi di trasparenza secondo il Codice deontologico di Farmindustria, che però è solo uno strumento di autoregolamentazione.
Con il Sunshine Act l’obbligo deontologico diventa legge. Ma qual è il vero intento di questa legge? Una mera trasparenza di dati o la prevenzione della corruzione? E quali dati sono importanti? Servono davvero tutti?
Ne abbiamo parlato con Vincenzo Antonelli, docente di diritto sanitario e farmaceutico presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore e direttore del corso di perfezionamento in “Diritto del farmaco” presso l’Alta Scuola di Economia e Management dei Sistemi Sanitari.
Quali sono le differenze, se ce ne sono, con la legge americana?
Diciamo che a grandi linee si è presa la legislazione americana come modello, anche se rischiamo, come capita spesso nel nostro paese, di tradurre nel nostro ordinamento esperienze fatte altrove, ma in un contesto di riferimento molto diverso. La cultura e il concetto di trasparenza nel mondo anglosassone sono diversi da come li intendiamo noi: gli USA hanno una tradizione molto più radicata sulla trasparenza come strumento di controllo diffuso e democratico ed è un controllo che ha un fortissimo impatto sull’opinione pubblica, anche grazie alle indagini giornalistiche, cosa che in Italia non c’è agli stessi livelli.
In Italia, a seguito dell’adozione negli ultimi anni di molteplici interventi legislativi, sono stati introdotti tanti obblighi di pubblicazione, ma i dati resi pubblici non vengono adeguatamente utilizzati
In Italia, a seguito dell’adozione negli ultimi anni di molteplici interventi legislativi, sono stati introdotti tanti obblighi di pubblicazione, ma i dati resi pubblici poi non vengono adeguatamente utilizzati.
Il punto, a mio avviso, non è rendere trasparente qualsiasi dato, ma solo quelli ritenuti più importanti e significativi. Rendere tutto trasparente e accessibile può risultare ridondante ed inefficace.
A cosa serve quindi il Sunshine Act?
Dovrebbe puntare a prevenire e contrastare i grandi conflitti di interesse, tra principali decisori pubblici e le imprese che operano nel settore sanitario. Noi invece interveniamo su tutti i soggetti che a vario titolo partecipano ai processi decisionali e per finanziamenti di modico valore. In questo modo avremo una serie infinita di dichiarazioni.
La vera novità è che questa legge si applica anche ai soggetti privati, un cambiamento importante.
Ad esempio, fino ad oggi le case farmaceutiche non dovevano dichiarare per legge se finanziavano associazioni di pazienti o medici privati o strutture private, salvo quanto previsto nel Codice deontologico di Farmindustria.
Quali dati sono davvero importanti?
Quello che a mio avviso andrebbe chiarito riguarda l’individuazione dei soggetti che operano nel settore della salute destinatari di accordi o erogazioni da parte delle imprese produttrici: il medico che esprime un fabbisogno in relazione a medicinali o dispositivi medici rientra tra coloro che intervengono nei processi decisionali?
Se l’intento è quello di prevenire la corruzione si dovrebbe prestare attenzione agli importi più alti, non ai 100 euro. Prima di impostare la legge si sarebbe dovuta realizzare una seria mappatura del rischio corruttivo: quali sono i comportamenti più a rischio? Si vuole solo la trasparenza totale o si vuole intervenire sui settori più sensibili alla corruzione? E se l’obiettivo è prevenire o contrastare la corruzione, forse sarebbe stato utile prevedere un coinvolgimento dell’Autorità Nazionale Anti Corruzione (ANAC).
Nel nostro paese esiste un sistema di anticorruzione valido, ma, nonostante ciò, la corruzione continua ad esserci
Questa scelta mi fa pensare che il Sunshine Act, anziché intervenire per limitare la corruzione, controllare la spesa pubblica e i rapporti tra il mondo dei produttori e di coloro che poi erogano le prestazioni sanitarie, sia solo un mezzo per assicurare la mera trasparenza del settore sanitario.
Il Sunshine Act non può da solo risolvere tutti i problemi di trasparenza del settore sanitario, ma è chiamato ad operare in un contesto dove già esistono diversi strumenti e che andrebbe usato insieme ad altri provvedimenti per la lotta alla corruzione.
Mi auguro che anche questa legge non si impantani negli eccessi burocratici, risultando inutile. Nel nostro paese esiste un sistema di anticorruzione valido, ma, nonostante ciò, la corruzione continua ad esserci.
Forse è un problema di cultura? Negli USA il conflitto di interesse è regolamentato e accettato, perché trasparente, da noi invece prevale la cultura del sospetto.
Se siamo arrivati ad avere un Sunshine Act è perché il settore evidentemente non opera alla luce del sole. La trasparenza cui mira questa legge potrà avere due effetti: uno deterrente, vale a dire indurre comportamenti virtuosi, e uno incentivante che generi un cambiamento culturale nei confronti di una realtà (l’industria che finanziata il settore sanitario) che ad oggi non è vista di buon occhio.
La volontà di trasparenza, se non adeguatamente spiegata, rischia di essere un boomerang
Nel nostro Paese è diffusa una cultura del sospetto. Se invece i dati raccolti nel registro “Sanità Trasparente” fossero valutati in ottica di responsabilità sociale, l’effetto potrebbe essere diverso: le industrie reinvestono parte dei guadagni per permettere a vari stakeholder del settore sanitario di portare avanti le loro attività, e tutto alla luce del sole.
Ma questo passaggio va spiegato e condiviso con la società civile.
La volontà di trasparenza, se non adeguatamente spiegata, rischia di essere un boomerang.