Test genomici, prescrizioni insufficienti

Solo il 2% delle prescrizioni dei test di ricerca dei biomarcatori riguarda le tecnologie NGS di sequenziamento esteso e solo 4 donne su 10 negli ultimi 14 mesi hanno effettuato test genomici per il tumore al seno. Le risorse almeno sulla carta esistono, ma manca una rete di professionisti che orienti i soggetti a rischio verso questo tipo di esami

Sono solo 4.000 le donne che hanno fatto ricorso a un test genomico per il tumore al seno, su una platea di circa 10.000 candidabili. Il 60% non ha quindi avuto accesso a questi esami che, dall’anno scorso, sono rimborsati dal Servizio sanitario nazionale. I numeri, usciti dall’ultimo congresso dell’Associazione italiana oncologi medici (Aiom), hanno acceso i riflettori sulle difficoltà prescrittive e sull’effettiva conoscenza di questi test.

La legge di bilancio 2020 aveva stanziato un fondo di 20 milioni per i test genomici legati al tumore al seno. Un decreto del luglio 2021 ha reso effettivamente disponibile lo stanziamento che però, nei primi 14 mesi, non è stato utilizzato appieno.

“È arrivato il momento che anche in Italia siano maggiormente promossi i test genomici – afferma Ugo De Giorgi, Consigliere Nazionale Aiom – Il nostro Paese è già arrivato in ritardo, rispetto ad altri, nell’uso di esami che rappresentano uno strumento di oncologia di precisione ordinario da anni in molte nazioni occidentali. Ovviamente vanno utilizzati solo in casi specifici”.

Per l’Aiom, inoltre, è necessaria una maggiore cultura anche tra gli oncologi: la società scientifica ha svolto un’indagine interna coinvolgendo 212 giovani medici sugli esami genomici per il carcinoma mammario: il 26% degli intervistati sostiene siano necessari webinar di approfondimento e campagne di sensibilizzazione per contrastare il sottoutilizzo degli esami. Per il 60% questi test andrebbero inseriti nei Lea, i Livelli essenziali di assistenza.

Per farlo però, l’Aiom sottolinea come sia necessario valutarne la validità clinica e l’utilità clinica. La prima è l’abilità di un test di identificare o predire un endpoint di sopravvivenza, mentre la seconda è la capacità di un test di guidare una decisione terapeutica e di migliorare l’outcome di salute.

Cosa sono i test genomici

Marcello Ciaccio“Si tratta di indagini di alta specializzazione che, in alcuni casi specifici, permettono di stimare la probabilità di rischio di sviluppare una certa malattia o di avere una recidiva”, ha spiegato Marcello Ciaccio, preside della facoltà di Medicina dell’Università degli Studi di Palermo e presidente eletto della Società Italiana di Biochimica Clinica e Biologia Molecolare Clinica – Medicina di Laboratorio (Sibioc).

Questi test vanno a misurare in un momento specifico i geni espressi in una cellula o in un tessuto.

Il cancro al seno rappresenta il 30% di tutti i casi di tumore maligno ed è la neoplasia più diffusa tra le donne. “L’analisi genetica è oggi fondamentale, nell’intero percorso clinico-diagnostico – ha ricordato Ciaccio – In particolare, le linee guida internazionali raccomandano lo studio delle mutazioni dei due geni BRCA1 e BRCA2 nelle donne che hanno una familiarità con tumori alla mammella e all’ovaio”.

È ormai dimostrato, infatti, che nel 25% dei casi quest’ultima forma di cancro è riconducibile alla mutazione dei geni BRCA1 e BRCA2. Mancando efficaci strumenti di screening in questa neoplasia, con circa l’80% delle pazienti che presenta la malattia già in fase avanzata al momento della diagnosi, i test genomici diventano fondamentali per intercettare precocemente la malattia.

Una mutazione non equivale a una “condanna”. I test genomici servono per stabilire la percentuale di rischio, che non è una certezza di malattia

“È importante sottolineare che una mutazione non equivale a una “condanna” – ha ricordato Ciaccio – I test genomici servono per stabilire la percentuale di rischio, che non è una certezza di malattia: il cancro può colpire chi non presenta alcuna mutazione genetica e non manifestarsi mai in chi invece ce l’ha. Statisticamente, però, è un parametro importante per stabilire terapie e modalità di controllo”.

Centri selezionati

I test genomici servono per personalizzare la terapia, oppure a scopo preventivo. “La medicina di laboratorio è l’unica che permette di non far ammalare, di non iniziare terapie inappropriate e dunque di risparmiare risorse. Ricordiamoci che arrivare alla malattia significa anche avere un costo economico elevato. Prevenire, invece, oltre a aumentare il benessere delle persone, permette anche una riduzione della spesa sanitaria”.

Nel caso del tumore al seno, per esempio, sono cinque i test a disposizione. “Nell’epoca della medicina di precisione, poter utilizzare analisi genetiche che permettano di orientare la cura è fondamentale”, ha commentato Ciaccio.

Per alcune pazienti, infatti, il test genomico può evitare la chemioterapia dopo l’intervento chirurgico. Delle circa 55.000 nuove diagnosi di tumore al seno ogni anno, un quinto sarebbe sottoponibile a test genomico: evitare a una donna la chemioterapia significa non impattare dal punto di vista fisico e psicologico con una terapia che non avrebbe vantaggi significativi. Inoltre, è un bel risparmio per il Servizio sanitario nazionale: “Trattandosi di esami ad alta complessità, il costo del singolo test si aggira sui 2.000 euro circa – ha affermato Ciaccio – Una cifra sicuramente importante, ma destinata a scendere nei prossimi anni. Tuttavia, se comparata con il costo di un ciclo di chemioterapia, il vantaggio è evidente”. Quest’ultimo trattamento costa infatti circa 7-8.000 euro.

I test genomici oggi sono realizzati in alcuni centri specializzati

I test genomici oggi sono realizzati in alcuni centri specializzati: “Non sono moltissimi, ma sono ben distribuiti sull’intero territorio nazionale – ha rilevato Ciaccio – È importante che questi esami siano condotti in centri dotati di attrezzature adeguate e con un personale specializzato e formato per l’interpretazione corretta”.

Per il presidente eletto Sibioc questo modello – che limita le analisi a un piccolo numero di Centri – funziona bene: “Credo che dal punto di vista organizzativo, questi test non dovrebbero essere fatti in tutti i laboratori, ma in alcune unità di medicina di laboratorio con esperienza in questo settore, costruendo un modello hub-spoke con centri di specializzazione elevata ben distribuiti in cui vengono indirizzati i pazienti”.

L’altro aspetto riguarda il coinvolgimento di diverse figure professionali: “L’interdisciplinarietà è molto importante: attorno ai test genomici orbitano medici di laboratorio, genetisti, oncologi… Le stesse linee guida sono spesso il frutto di un lavoro interdiscidiplinare e intersocietario. Un grande centro favorisce il confronto tra i diversi specialisti”.

Risorse aggiuntive

La finanziaria del 2021 ha destinato 5 milioni di euro per ciascuno degli anni 2022 e 2023, da utilizzarsi entro il 31 marzo 2026. Le risorse sono destinate al potenziamento dei test di profilazione chiamati Next Generation Sequencing (NGS), una tecnologia molto avanzata che permette di indagare l’eventuale presenza di più alterazioni molecolari.

Le linee guida nazionali ed internazionali suggeriscono l’impiego di tecnologie NGS di sequenziamento esteso in neoplasie selezionate: adenocarcinoma del polmone, colangiocarcinoma e tumori avanzati di altre sedi.

Proprio a fine 2021, le associazioni di pazienti e oncologi avevano denunciato il sottoutilizzo di questi esami, che avrebbero rappresentato appena il 2% di tutti i test di ricerca dei biomarcatori eseguiti nel nostro Paese. La richiesta era l’istituzione di un fondo di 24 milioni di euro che si aggiungessero alle risorse già destinate alla diagnostica molecolare.

Il decreto con i dettagli per il riparto del fondo da 5 milioni di euro, tuttavia, è stato emanato solo il 30 settembre 2022 (avrebbe dovuto arrivare entro 60 giorni dall’approvazione della legge, avvenuta il 30 dicembre 2021). Adesso le Regioni avranno tempo fino al 30 novembre per trasmettere al Ministero della salute l’impegno formale ad adottare tutti gli atti necessari per l’attuazione delle indicazioni relative alle modalità organizzative per la prescrizione, l’esecuzione, l’utilizzo, il monitoraggio, l’esecuzione e la valutazione dei risultati dei test di NGS, al fine di una appropriata scelta terapeutica per i pazienti affetti da carcinoma non a piccole cellule non squamoso metastatico del polmone, patologia individuata come prioritaria per svolgere questo tipo di test.

I risultati di uno studio condotto in realtà ospedaliere italiane e riferito all’uso di NGS per la profilazione in pazienti affetti da tumore al polmone non a piccole cellule hanno mostrato un costo per questi 1.150 euro, contro i 1.780 delle metodiche standard.

Che cosa non va

Se i Centri esistono e funzionano, perché il fondo per i test genomici per il tumore al seno è stato sottoutilizzato? “Probabilmente possiamo migliorare nella prima parte del percorso, quella dell’indirizzamento dei pazienti – osserva Ciaccio – È importante aumentare l’informazione”.

La conoscenza di questi strumenti, la possibilità di prescrivere gli esami e l’avviamento delle persone a rischio verso i Centri sono, infatti, gli aspetti che restano critici.

Chi ne ha bisogno deve essere indirizzato in modo tempestivo verso i Centri specializzati che possono occuparsi della presa in carico del paziente e del monitoraggio della malattia

“Non trattandosi di esami routinari, non dobbiamo incorrere in mancanza di approprietezza – premette Ciaccio – Tuttavia, chi ne ha bisogno deve essere indirizzato in modo tempestivo verso i Centri specializzati che possono occuparsi della presa in carico del paziente e del monitoraggio della sua malattia, anche dal punto di vista genetico”.

È importante ricordare infatti che, sebbene questi esami siano per molti, non sono per tutti: una pre-selezione è fondamentale per non sprecare risorse. Il problema, oggi, è che questa non avviene con i corretti criteri e molte persone che avrebbero diritto ai test genomici nei fatti non li ottengono.

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Michela Perrone
Giornalista pubblicista