Il gioco che aiuta a guarire. L’approccio della Video Game Therapy (VGT), pratica clinica, può rivelarsi utile per trattare casi di dipendenze, ma anche in materia di prevenzione, supporto ai “Neet” (“Not in education, employment or training”, la quota di popolazione di età inclusa tra i 15 e i 29 anni che non è né occupata né inserita in un iter di istruzione o di formazione) e “ritirati sociali” (la tendenza, nei giovani o giovanissimi, di smettere di uscire di casa, di frequentare la scuola e gli amici, per chiudersi nelle proprie stanze e circoscrivere al minimo le relazioni con l’esterno, mantenendo i contatti soprattutto attraverso la Rete). E ancora, funzionale in ambito di ADHD (disturbo da deficit di attenzione/iperattività), DSA (disturbi specifici dell’apprendimento) e autismo per agevolare l’autoregolazione cognitiva. È quanto emerge dal contributo “Putting the Gaming Experience at the Center of the Therapy -The Video Game Therapy® Approach”, scritto da Marcello Sarini, ricercatore di informatica del Dipartimento di Psicologia di Milano-Bicocca, insieme a Francesco Bocci, psicoterapeuta adleriano, e Ambra Ferrari, esperta di ludonarrativa, e pubblicato sulla rivista MDPI Healthcare.
L’articolo analizza come questa strategia, già conosciuta in ambito clinico, possa essere funzionale in particolare nella creazione di un efficace rapporto terapeuta-paziente.
I videogiochi offrono l’opportunità di interagire in uno scenario immaginario che può favorire l’espressione del sé in assoluta libertà
L’approccio presentato si fonda sul concetto che i videogiochi offrono l’opportunità di interagire in uno scenario immaginario – concretizzato visivamente grazie al supporto video-digitale – nell’ambito del quale il paziente può esprimere gli aspetti salienti di sé in assoluta libertà (e con meno difese rispetto al ricorso esclusivo al dialogo) e ciò proprio grazie sia alle proprietà immersive del videogioco – che rendono l’esperienza ludica particolarmente spontanea – sia all’attivazione dell’esperienza di flow (stato di coscienza in cui la persona è del tutto immersa in un’attività, in cui i due emisferi sono in equilibrio rispetto alle sfide e agli obiettivi che il gioco richiede ed interagiscono tra loro in maniera equilibrata).
Il videogioco come strumento terapeutico: le origini dell’approccio
Ricorrere ai videogiochi come strumento creativo in un percorso terapeutico è un approccio “che nasce dall’intuizione del dottor Bocci, psicologo clinico adleriano e appassionato di videogame che, traendo ispirazione da alcuni modelli nati negli Stati Uniti – come la “Geek Therapy” (2018) del dottor Anthony Bean – ha pensato ai videogiochi commerciali quale strumento utile da affiancare a diverse metodologie terapeutiche. Il gioco infatti non sostituisce la terapia, ma si inserisce in essa facilitandone la riuscita, specialmente per certe tipologie di soggetti (giovani ad esempio), più abituati al linguaggio videoludico. Ma il linguaggio di questo media si può apprendere e quindi la Video Game Therapy può essere utile per tutte le età”.
Così spiega Sarini, che puntualizza: “Di fatto, non esiste un protocollo ancora disciplinato; piuttosto si tratta di integrare una serie di strumenti della psicoterapia con l’uso di sessioni di videogioco. Generalmente, un po’ come in tutti i percorsi psicoterapici, sussiste una prima fase conoscitiva e di assessment. A partire da quanto emerge del vissuto del paziente, poi il terapeuta deciderà come procedere. In generale l’aspetto importante è la scelta del gioco adatto da indicare al paziente, dove questa valutazione è determinata da più fattori, come l’interesse e l’intuizione del terapeuta (che deve conoscere una buona base di giochi per poterli proporre)”.
Oltre a questo, il modello Video Game Therapy mette a disposizione dei professionisti un insieme di schede che consente loro di scegliere, tra vari videogiochi, quello più adatto in rapporto agli obiettivi terapeutici, alla tipologia di giocatore e alla sua fascia di età (solo per fare alcuni esempi).
Nella Video Game Therapy il terapeuta può scegliere il videogioco più adatto in rapporto a obiettivi terapeutici, tipologia di paziente e alla fascia di età
“Appena comincia la sessione di gioco – riprende Sarini – che può durare anche mezz’ora, il terapeuta affianca il giocatore, intervenendo quando necessario per facilitare il raggiungimento dello stato di flow e per dialogare su tematiche simboliche presenti nel gioco in uso (permettendo dei collegamenti con la vita reale del paziente). A partire da questo, il terapeuta strutturerà il suo intervento usando i diversi strumenti messi a disposizione dall’approccio terapeutico, eventualmente proponendo sessioni di gioco successive, a seconda di quanto analizzato. Il dottor Bocci ha anche articolato degli hub in cui è possibile sia pensare a delle sedute individuali sia – in base alle problematiche dei pazienti – a delle sedute che prevedano il giocare in gruppo”.
Videogiochi facilitatori di cura per traumi: dagli intenti terapeutici agli ambiti applicativi
All’interno dell’approccio della VGT, dunque, vengono integrate varie tecniche psicologiche: dall’ascolto attivo alle libere associazioni, dall’esposizione allo stimolo alla catarsi alla desensibilizzazione rispetto ad un ricordo/evento traumatico.
Per la buona riuscita del percorso è imprescindibile che il focus non sia tanto legato al contenuto o al mezzo utilizzato (in questo caso il videogioco), ma soprattutto al “come”, al “modo” in cui il terapeuta lo propone e lo agisce in seduta. Ed è proprio il dottor Bocci, che ha definito questo approccio nel 2019 (poco prima della pandemia di Covid-19), ad illustrare i molteplici intenti terapeutici della Video Game Therapy: “In primis il videogioco diventa un mezzo per ridimensionare l’iper controllo e favorire quella che viene definita “apertura mentale” attraverso l’integrazione nelle sedute della tecnica della Radically Open Dialectical Behavior Therapy (RO DBT); il videogioco quale strumento di riconoscimento di emozioni bloccate e di nuove possibilità a livello di problem solving e di strategie rispetto a situazioni anche di vita problematiche che si riattivano durante la seduta”. In questo caso, continua lo psicoterapeuta adleriano, “è molto importante l’attivazione del pensiero divergente e laterale rispetto a un problema portato dal paziente o a un suo vissuto di inferiorità, che si attiva durante la seduta di gioco poiché il soggetto si sentirà meno difeso e non sotto giudizio, rispetto ad esprimere liberamente la parte più inconscia è consapevole di sé, anche stimolato dagli elementi in-game”.
All’interno dell’approccio della VGT vengono integrate varie tecniche psicologiche come l’ascolto attivo, le libere associazioni o la catarsi
Videogiochi che possono essere dei veri e propri facilitatori di cura per i traumi. Ma quali sono, nello specifico, le possibili applicazioni della VGT? “È attivabile con disturbi dell’attenzione e dell’adattamento – chiarisce il dottor Bocci – ma anche con tratti psicopatologici di personalità che necessitano di un’autoregolazione cognitiva ed emotiva nonché con soggetti affetti da dipendenza da gioco e da sostanze, come anche con ragazzi con comportamenti antisociali”. Parliamo di giovani e giovanissimi, poiché – interviene Sarini – “il fatto che si parli con un linguaggio, quello videoludico, che trova in loro una forte risonanza, fa sì che si riesca più facilmente ad entrare in contatto con questa fascia di popolazione”.
Non tralasciando il fatto che la Video Game Therapy può essere attivata per favorire l’espressione di contenuti del sé nascosti e per ridimensionare e superare il ritiro sociale –paradossalmente anche quello legato alla dipendenza da Internet e da videogiochi – portando la persona a riscoprire un nuovo modo di utilizzare il mezzo digitale e ad acquisire una maggiore consapevolezza rispetto alle proprie skills. Senza dimenticare, conclude lo psicoterapeuta adleriano, “che la VGT può essere utilizzata anche con il soggetto anziano per recuperare i propri ricordi di vita o determinate emozioni ormai riflesse che possono diventare funzionali al benessere della persona”.