Emergono periodicamente all’interno dei partiti politici, senza distinzione di fede, idee stravaganti relative alla questione del numero chiuso a Medicina, come se i grossolani errori di programmazione nel settore della formazione post-lauream in epoca spending review e le limitazioni all’assunzione del personale sanitario decise prima dal 2004 in poi fossero superabili allargando a dismisura le maglie del numero programmato per l’accesso al Corso di laurea in Medicina e Chirurgia, giunto nel 2022 a 14.740 accessi. Senza contare la porta di servizio costituita dalle iscrizioni all’estero. Peccato che ogni modifica al tempo zero in merito alla formazione medica, avrà le sue ricadute solo dopo i sei anni del corso di laurea e i 3/5 anni di formazione post-lauream. In pratica, i primi effetti di una modifica effettuata nel 2024 si vedrebbero solo tra il 2033 e il 2035, peraltro in un contesto del mercato del lavoro in sanità totalmente modificato (vedi Figura 1).
La Ministra dell’Università e Ricerca ha dichiarato che per far fronte alla strutturale carenza di medici nel SSN sarà previsto un ampliamento dei posti disponibili per la laurea in Medicina tra il 20% e il 30% rispetto allo scorso anno.
A nostro parere non si risolve la carenza attuale di personale medico specialistico negli Ospedali né si rallenta la fuga dei neolaureati verso l’estero e degli specialisti verso il settore privato mediante l’incremento delle iscrizioni al Corso di laurea in Medicina e Chirurgia.
Cosa rivelano i dati a disposizione?
Se valutiamo i dati OCSE, riferiti al 2020 (Health at a Glance: Europe 2022), in Italia abbiamo un tasso di medici attivi del 4‰ abitanti, perfettamente sovrapponibile alla media EU27, a dimostrazione del fatto che in Italia non vi è carenza di medici, intesi come laureati in Medicina e Chirurgia, ma piuttosto di medici specialisti.
In linea con questi dati, una recente pubblicazione del Ministero della Salute indica il numero dei medici attivi in Italia al 31/12/2020 intorno a 241mila con l’età media, però, più alta tra tutti i Paesi OCSE: ben il 56% ha più di 55 anni. Pertanto, si può stimare che dal 2021 al 2030, secondo Conto Annuale dello Stato, Onaosi, Enpam, circa 113 mila medici saranno collocati in pensione con un picco di pensionamenti al 2026/2027 e un successivo calo progressivo (Figura 1).
Se consideriamo i medici dipendenti del SSN (vedi Figura 1), i pensionamenti scenderanno progressivamente dal 2027 fino a raggiungere un nadir di circa 2mila nel 2037, a fronte dei 5mila professionisti ogni anno della fase attuale (al netto delle uscite per il cosiddetto fenomeno delle “dimissioni volontarie”; Figura 2).
Nel periodo 2021/2030 i nuovi iscritti a Medicina, a invarianza di programmazione, saranno circa 145 mila (media degli accessi programmati per il 2021/2022/2023 proiettata a 10 anni), dei quali solo il 94% completerà con successo il percorso: circa 136 mila. Essi troveranno un numero di contratti per la formazione specialistica di circa 125.000 (in realtà il titolo di specialista sarà effettivamente conseguito da circa 103.000 medici, se permane la percentuale di non assegnazione dei contratti del 18%), cui aggiungere circa 21.000 borse per la formazione in Medicina Generale (media delle borse finanziate negli anni dal 2018 al 2021 proiettate a 10 anni). In sintesi, già ora si prospetta un differenziale di circa 32 mila posti tra stima delle uscite per quiescenza (113.000) dei medici attivi nel 2020 e posti di iscrizione al Corso di laurea in Medicina e Chirurgia (145.000). Ben oltre quelli necessari a colmare la attuale carenza di circa 20/25 mila medici, tra specialisti e MMG.
Un apprezzabile incremento degli ingressi al Corso di laurea in Medicina e Chirurgia potrebbe essere giustificato solo al fine di avviare un rafforzamento degli organici per far fronte ad eventuali nuove gravi emergenze sanitarie (personale specialista per terapie intensive e sub-intensive), alle esigenze derivanti dalla realizzazione del PNRR (personale medico per Ospedali e Case di Comunità) o all’incremento delle richieste di prestazioni sanitarie legate alla pressione epidemiologica indotta dall’invecchiamento progressivo della popolazione. In ogni caso, un aumento, come annunciato, del 20-30% delle iscrizioni a Medicina (da 2900 a 4800 nuove iscrizioni ogni anno), senza un intervento costoso sui corsi di formazione post-lauream, rischia di creare, tra 6 o 7 anni, un nuovo “imbuto formativo” e successivamente, persistendo le attuali limitazioni alle assunzioni del personale sanitario, un “imbuto lavorativo”, con circa 19mila ogni anno laureati a fronte di una offerta di formazione post-lauream ferma a 16.600 – di cui 14.500 contratti di formazione specialistica e 2.100 borse per la formazione in Medicina generale. E questo non farà altro che incentivare ulteriormente i medici a emigrare verso paesi europei o extraeuropei.
Nel decennio 2021/2030, quanti medici andranno in pensione nelle singole categorie professionali?
Considerando il pensionamento di “vecchiaia”– si può stimare che i medici dipendenti del SSN avviati verso la quiescenza saranno circa 39,1mila (dati Onaosi e Conto annuale dello Stato), i medici di Medicina generale che andranno in pensione saranno circa 25,3mila (dati Enpam), gli specialisti ambulatoriali che usciranno dal lavoro saranno circa 8,1mila, i medici universitari circa 3,3mila (dati Onaosi), quelli di continuità assistenziale 5,8 mila (dati Enpam), circa 4,8mila i pediatri di libera scelta (dati Enpam), infine 27,2 mila medici andranno in quiescenza nel settore dell’ospedalità privata e della riabilitazione.
Perché i posti nelle scuole di specializzazione non vengono occupati?
Al momento abbiamo una sostanziale corrispondenza tra il numero dei neolaureati nel decennio (circa 136mila) e i posti programmati per l’accesso ad un corso di formazione post-lauream (circa 146mila). Il numero di neo specialisti crescerà in modo apprezzabile a partire dal 2025 e non ci sarebbe alcun bisogno di aumentare i posti nelle scuole di specializzazione.
È vero, semmai, come ha sottolineato la Ministra Bernini, che molti posti nelle scuole di specializzazione rimangono vacanti. Da un recente studio Anaao/ALS, sui 30.452 contratti statali finanziati negli ultimi due concorsi di specializzazione (2021 e 2022), ben 3.907 (13%) risulta non assegnato e 1601 (5%) risulta abbandonato durante il percorso. Le discipline che più risentono di tale emorragia sono la medicina d’emergenza-urgenza (1.144 contratti non assegnati o abbandonati, il 60,7% dei contratti stanziati), la microbiologia e virologia (191 contratti, il 78%), la patologia clinica e biochimica clinica (389 contratti, il 70,2%), l’anatomia patologica (181 contratti, il 50,1%) e la medicina di comunità e delle cure primarie (109 contratti, il 57,6%). Al contrario, le discipline che hanno notevoli sbocchi lavorativi nel settore privato non presentano alcuna perdita rispetto ai contratti finanziati come ad esempio la dermatologia (2 contratti non assegnati o abbandonati, lo 0,1% dei contratti stanziati), l’oftalmologia (8 contratti, l’1,8%), la cardiologia (18 contratti, lo 0,1). Un caso a parte riguarda la Pediatria, che risente del dualismo tra medicina ospedaliera e medicina territoriale, con insufficienza degli organici in entrambi i settori.
Tale “programmazione a due velocità” porterà già nel 2024/2025 a una carenza significativa in certe discipline specialistiche, per lo più ospedaliere, ed un embrione di pletora specialistica per altre che hanno maggiore possibilità nelle attività private. Per le prime, l’Anaao Assomed ritiene opportuno predisporre una serie di iniziative ministeriali e legislative, compreso l’accorpamento.
L’altro elemento da tenere in considerazione, quando si parla di carenza del personale, è la fuga verso l’estero dei medici laureati, la cui formazione comporta un costo per l’erario pubblico di circa 100mila euro, che salgono, con l’acquisizione del titolo di specialista, fino a 150.000 euro pro-capite. Il fenomeno è molto rilevante nel suo complesso, tanto da impattare notevolmente sulla attuale carenza ed è destinato ad allargarsi. La tabella 1, elaborata dalla Corte dei Conti su dati OCSE, mostra il numero dei medici che hanno lasciato l’Italia dal 2008 al 2018 e il Paese di destinazione. È come regalare da 1000 a 1500 Ferrari ogni anno all’Inghilterra, alla Germania o alla Svizzera.
Il fenomeno delle dimissioni volontarie rappresenta una ulteriore criticità che ha un impatto, ovviamente, solo sulle strutture del SSN. Gli ultimi dati riferiti al 2022 (Figura 2) mostrano un ulteriore incremento delle dimissioni nella fase post-pandemica rispetto alla nostra precedente rilevazione.
Aumentare i posti a Medicina, in un tale contesto, rischia di tradursi in uno sperpero di risorse, soprattutto in mancanza di prospettive occupazionali in Italia.
È per questo che noi riteniamo indispensabile prioritariamente intervenire su due questioni critiche per rendere attrattivo il lavoro nel settore pubblico della sanità:
- la riduzione del carico di lavoro nelle strutture ospedaliere, per permettere ai medici di dedicarsi anche alla propria vita familiare e sociale eliminando ogni anacronistico blocco delle assunzioni del personale sanitario;
- l’incremento progressivo degli stipendi, che per arrivare al livello medio europeo dovrebbero aumentare del 40-50%.
Solo una nuova stagione di concorsi può rimediare al depauperamento del personale medico e infermieristico nelle strutture pubbliche, una vera e propria desertificazione degli Ospedali, che costringe il personale rimasto in servizio a lavorare anche per coloro che se ne vanno, sopportando turni massacranti e carichi di lavoro incrementali, per gravosità e complessità clinica. Anche da qui origina il fenomeno delle “grandi dimissioni” e quello dei medici “gettonisti”. Solo ripristinando adeguate dotazioni organiche possiamo migliorare la qualità del lavoro, soprattutto in presenza di bisogni assistenziali crescenti.
La criticità economica è influenzata anche dalle vicende contrattuali italiane, che vedono dopo quasi un decennio di blocco (2010/2019) non ancora completamente applicato il CCNL 2016/2018 (firmato definitivamente nel dicembre 2019) mentre quello relativo al 2019-2021, scaduto da due anni, in corso di discussione all’ARAN e quello del 2022/2024 rimandato a un incerto futuro non essendo nemmeno finanziato. I nostri stipendi si impoveriscono progressivamente non stando dietro al ritmo inflattivo e ciò rappresenta, come evidenziato nella nostra recente survey, uno dei motivi principali di fuga dei medici dal SSN insieme alla marginalizzazione di un ruolo che li vuole costretti in matrici organizzative che trascurano le competenze e mortificano il merito.
La politica e i gestori della sanità a tutti i livelli dovrebbero capire che senza il “capitale umano” gli ospedali diventano cattedrali nel deserto, i presìdi territoriali arredi del paesaggio urbano, i Livelli Essenziali di Assistenza una chimera, come l’attuale lunghezza delle liste d’attesa sta dimostrando.
Studio a cura di
Carlo Palermo, Matteo D’Arienzo, Giammaria Liuzzi, Costantino Troise, Pierino Di Silverio