“Annichiliti, ci uniamo al dolore di familiari e amici della collega Barbara Capovani. Una morte inaccettabile, che lacera nel profondo un’intera categoria. Donne e uomini che ormai da troppo tempo sono esposti ad una violenza inaudita, nell’assordante silenzio di chi avrebbe il dovere di tutelare i lavoratori”. Sono queste le parole del comunicato della FIMMG (Federazione Italiana Medici di Medicina Generale) in riferimento all’omicidio avvenuto il 21 aprile scorso ai danni della psichiatra per mano di un paziente. Un uomo con disturbi antisociali e paranoici di personalità, ma dotato di capacità di pianificazione dei propri gesti, nonché già noto alle forze dell’ordine per precedenti di stalking.
Era evitabile questa tragedia? Non ci sono certezze, ma una cosa è assolutamente evidente: gli operatori sanitari sono vittime facilmente appetibili, paradossalmente proprio a causa della responsabilità che rivestono. Il loro ruolo è tutelare la salute dei cittadini, ma proprio per questo sono più esposti al mirino di individui violenti che non gestiscono la propria rabbia.
Ciò che lascia un enorme sconforto è che il caso della Dottoressa Capovani non è il primo, perché il fenomeno ha già mietuto molte vittime.
Solo lo scorso 12 marzo è stata celebrata la seconda “Giornata Nazionale di educazione e prevenzione contro la violenza verso gli operatori sanitari”, istituita in Italia nel 2022 in seguito alle raccomandazioni dell’art. 8 della legge 113/2020, in materia di sicurezza per le professioni sanitarie. Una legge entrata in vigore il 24 settembre del 2020, nata al fine di prevenire e combattere il costante incremento degli episodi di violenza contro gli operatori sanitari e socio-sanitari. Una legge che mira all’informazione sui diritti del personale sanitario, oltre che ad un inasprimento delle pene.
Purtroppo, ai fini pratici non c’è stata una riduzione della casistica legata alle aggressioni ai medici durante il loro servizio. Un elenco che non solo non sembra ridursi, ma pare anche sottostimato: secondo un recente studio condotto dall’Istituto Superiore di Sanità, molti episodi di violenza (si calcola circa il 70% del totale), non vengono denunciati dagli operatori.
Sempre in occasione dello scorso 12 marzo, inoltre, la Consulenza statistico attuariale Inail ha analizzato i dati relativi ad aggressioni e minacce nei confronti di medici e infermieri durante lo svolgimento del servizio. Il periodo preso come riferimento è stato il triennio 2019-2021, che ha contato ben 4.821 casi (una media di 1.600 all’anno). La maggior parte di essi è concentrata nel settore dell’assistenza sanitaria (ospedali, cliniche, policlinici), e ben il 71% ha riportato le donne come vittime.
Così, mentre lo scorso 10 marzo il Ministero della Salute ha lanciato la campagna #laviolenzanoncura, continua il dibattito su come arginare un fenomeno che non accenna a dissiparsi.
Esistono circostanze che mettono gli operatori sanitari in una condizione di maggiore pericolo, come il sovraffollamento dei pronto soccorso
Non esistono motivazioni valide per alcun gesto di violenza fisica o verbale che sia, ma di sicuro esistono delle circostanze che mettono gli operatori sanitari in una condizione di maggiore pericolo. Tra queste, si riporta spesso il sovraffollamento dei presidi di Pronto Soccorso, che mal si sposa con la scarsità di medici e operatori sanitari in servizio. Ma non è solo il Pronto Soccorso il luogo in cui si realizzano queste situazioni.
Tra le personalità maggiormente impegnate nella difesa dei diritti dei professionisti della sanità e della loro sicurezza vi è Tommasa Maio, Segretario Nazionale della FIMMG per il settore Continuità Assistenziale. Proprio a lei, evidentemente scossa per l’ultima tragedia di cronaca, abbiamo rivolto alcune domande per comprendere meglio lo stato dell’arte in Italia in merito alla tutela dell’incolumità dei medici durante il servizio.
Molti dei provvedimenti presi dalla legge 113/2020 sono stati resi effettivi, ma le violenze sugli operatori sanitari non hanno mai accennato a diminuire. Cosa propone FIMMG per aumentare l’efficacia delle misure prese?
Partiamo dal presupposto che l’emanazione della legge 113/2020 ha rappresentato un cambio di rotta importante, perché per la prima volta ha cercato di affrontare il problema in maniera sistematica. Quello che ancora non prevede purtroppo – e che noi continueremo fermamente a richiedere – è il riconoscimento di pubblico ufficiale per gli operatori sanitari. Sulla base delle analisi del fenomeno che studiamo da anni (il primo Medico di Continuità Assistenziale venne assassinato nel 1984), pensiamo che questo elemento sia essenziale per apportare un cambiamento. Formalizzare in un atto legislativo il riconoscimento di pubblico ufficiale per gli operatori sanitari avrebbe un impatto sia per i cittadini, che così vedrebbero riaffermato per gli operatori sanitari il riconoscimento del valore sociale del proprio ruolo, sia per gli operatori che si vedrebbero pienamente riconosciuta dallo Stato la propria funzione costituzionale, ovvero quella della tutela della salute espressa dall’Art. 32 della Costituzione.
Recentemente, nel cosiddetto decreto bollette, è stato previsto il miglioramento di un aspetto della legge 113/2020: con una modifica al Codice penale viene stabilita infatti la procedibilità d’ufficio e la pena detentiva nel caso di lesione inflitta, indipendentemente dalla sua gravità, diversamente da quanto prima previsto nella legge che considerava solo il caso di “lesioni personali gravi”. Noi ci auguriamo che si prosegua su questa strada.
Un costante clima di tensione è rischioso non solo per i professionisti, ma anche per i pazienti
Non dobbiamo però dimenticare che sebbene la legge persegua i reati più gravi, quali lesioni e percosse, rimangono da affrontare tutte quelle situazioni più ambigue e ben più frequenti: gli atteggiamenti aggressivi, le espressioni verbali sgradevoli, le velate minacce o intimidazioni che troppo spesso i medici e gli altri operatori subiscono. Tutte queste azioni, che possono apparire di minore rilevanza e restano impunite anche se sistematicamente reiterate, hanno in realtà un effetto molto significativo. Determinano infatti un costante clima di tensione rischioso non solo per i professionisti, ma anche per i pazienti, dal momento che può minare la nostra concentrazione nel momento in cui siamo chiamati a prendere delle decisioni importanti, che dovrebbero invece essere assunte in un contesto il più sereno possibile.
La legge in questione ha previsto l’istituzione di un Osservatorio nazionale sulla sicurezza degli esercenti professioni sanitarie e socio-sanitarie, poi istituito con un Decreto Ministeriale nel gennaio del 2022. Recentemente, da un incontro che il ministro Schillaci ha avuto con i rappresentanti di varie associazioni di categoria, si è parlato di un rilancio di questo Osservatorio, con maggiore possibilità d’azione. Cosa ne pensa?
Va riconosciuta al Ministro Schillaci una grande attenzione al tema perché, appena insediato, ha subito dato un segnale ai componenti dell’Osservatorio incontrandoci e dando un orientamento chiaro.
Insieme agli altri componenti dell’Osservatorio Nazionale, sulla base degli orientamenti indicati e focalizzati gli aspetti principali, stiamo continuando a raccogliere elementi, contributi, dati. L’Osservatorio sta monitorando il fenomeno a livello nazionale, sta realizzando la sistematizzazione delle conoscenze sul tema e sta perseguendo l’individuazione delle migliori prassi attraverso il confronto costante tra esperti, associazioni professionali e sindacali degli operatori sanitari, ordini professionali, rappresentanti di tutti i livelli istituzionali ed enti sussidiari coinvolti.
Una rivoluzione importante al momento dell’istituzione dell’Osservatorio è stata la scelta di includere i professionisti e le organizzazioni sindacali: questo, dal nostro punto di vista, è stato un segnale importante, perché chi vive il problema nella propria quotidianità lavorativa può focalizzare meglio gli elementi critici in tempo reale, può offrire suggerimenti e proposte operative che possano incidere efficacemente sulla sicurezza e sul benessere lavorativo degli operatori sanitari.
Molte aggressioni avvengono negli ambulatori d’emergenza, il Pronto Soccorso, le guardie mediche. Il Ministro Schillaci parla di ‘riorganizzazione delle sedi di Pronto Soccorso’ per evitare il sovraffollamento e, quindi, situazioni pericolose per i medici: lei cosa ne pensa?
Il fenomeno è complesso e va affrontato con soluzioni adeguate ai diversi contesti coinvolti: passiamo dal Pronto Soccorso (quindi un ambiente strutturato, con numerose presenze di personale sanitario, con la possibilità di tutela garantita dalle forze dell’ordine) a contesti profondamente diversi, territoriali, non strutturati e privi di sorveglianza come gli ambulatori dei medici di medicina generale o le guardie mediche. Ricordo che proprio nelle guardie mediche contiamo ben tre casi di omicidio, nonché un numero infinito di violenze, anche sessuali. Ma voglio ricordare anche i veterinari o gli assistenti sociali: c’è una varietà estremamente ampia di setting a rischio, ognuno dei quali ha caratteristiche peculiari e conseguentemente richiede interventi specifici e soluzioni commisurate a tali caratteristiche.
Il problema ha profonde radici culturali, risente anche di un certo clima che ultimamente non è stato molto positivo: temi come il Covid, il green pass, l’obbligo vaccinale e l’infodemia, esasperati e strumentalizzati da alcuni soggetti, hanno alzato il livello di potenziale aggressività.
Ci sono poi anche condizioni particolari che sembrano pesare. Ad esempio, rispetto agli accessi in PS non limiterei il problema solo alle liste di attesa: non va dimenticato che il Paese sta vivendo da tempo una congiuntura economica delicata e che molto spesso le persone accedono impropriamente al Pronto Soccorso anche semplicemente per avere accesso gratuito a prestazioni che ritengono necessarie.
Nulla può giustificare un atto di aggressione nei confronti di un operatore sanitario il cui scopo è prendersi cura dei propri pazienti
Il principio che però deve sempre passare nei messaggi ai cittadini è che nulla può giustificare un atto di aggressione nei confronti di un operatore sanitario il cui scopo è prendersi cura dei propri pazienti. Le aspettative deluse non devono mai diventare motivo di violenza.
Per questo diventa molto importante anche il lavoro dei media, che possono dare un contributo rilevante informando i cittadini, riguardo le possibili risposte assistenziali dei servizi sanitari, nei termini corretti.
Il Presidente della FNOMCEO, Filippo Anelli, qualche mese fa ha ribadito l’importanza di prevedere la presenza dell’esercito e delle Forze Armate nei presidi ospedalieri, nonché l’annullamento dei turni di notte se si lavora da soli. Crede ci sia resistenza nei confronti di queste misure di sicurezza?
Le proposte vengono fatte, alle volte, anche per suscitare la dovuta attenzione. Quella del Presidente prende spunto dal fatto che, in alcune realtà, ci sono state aggressioni perché le strutture, ad esempio, di continuità assistenziale sono lasciate in condizioni strutturali e organizzative veramente vergognose, da qui questa provocazione. Il Presidente sa bene che non si possono certo militarizzare tutti i setting del Servizio Sanitario Nazionale, anche perché l’assistenza sanitaria non è offerta solo nelle strutture ospedaliere: esiste l’assistenza territoriale spesso portata al domicilio dei pazienti, specie i fragili, gli anziani e coloro che vivono nelle zone più remote. Il modello di offerta, dunque, va rivisto, prendendo sempre in considerazione il tema della sicurezza nel momento in cui si definisce un percorso assistenziale, nel momento in cui si sceglie una struttura e quando cui si crea la modalità di accesso a quella struttura. Non c’è resistenza verso le misure di sicurezza, c’è semplicemente la necessità di individuare e rimuovere tutte le condizioni strutturali e organizzative che possono favorire situazioni a rischio, e fare ognuno la propria parte.
Anni fa, quando accadde un episodio molto grave ai danni di una collega, l’allora ministro Lorenzin mandò un’ispezione dei NAS in tutte le sedi di continuità assistenziale per verificare che queste rispondessero ai requisiti di sicurezza. FIMMG decise di dare il proprio contributo lanciando quella che chiamammo “un’indagine da dentro”, invitando i colleghi rendersi parte attiva segnalando le situazioni a rischio in cui erano costretti ad operare. In meno di dieci giorni creammo così un dossier, che venne consegnato al ministro, contenente oltre 700 denunce corredate da fotografie. Quindi il tema della sicurezza, del contesto e della struttura nella quale i professionisti sanitari vengono messi a lavorare è fondamentale. Altrettanto importante è il tema dell’organizzazione che si pone intorno alle strutture e alle misure che devono essere prese. In passato troppo spesso le nostre denunce e segnalazioni sono cadute nel vuoto. Da questo punto di vista sarà sempre più importante il ruolo dell’Osservatorio, che sta tra l’altro raccogliendo le buone prassi e sta cercando di fare da stimolo in tutte le Regioni perché si adottino anche da parte delle aziende le procedure ritenute più efficaci.
Inoltre, qualora un medico o un operatore sanitario segnali un episodio di violenza, è fondamentale che la risposta avvenga in tempi immediati, perché deve poter tornare il giorno dopo a svolgere lo stesso lavoro nella stessa sede con serenità, avendo la certezza che la propria sicurezza sia tutelata.
Nell’immediato futuro dobbiamo aspettarci qualcosa di nuovo e di positivo per questo problema?
Se non si produrranno soluzioni, assisteremo alla fuga del personale sanitario dai setting più a rischio
È indispensabile che arrivino novità importanti per la sostenibilità stessa dei servizi. Se non si produrranno soluzioni, assisteremo alla fuga del personale sanitario dai setting più a rischio.
Abbiamo tutti il dovere, ciascuno per la propria parte, di operare per creare condizioni di benessere lavorativo e sicurezza per ogni operatore sanitario. Per quanto ci riguarda direttamente, la Federazione dei Medici di Medicina Generale si sta muovendo con numerose iniziative, cercando di definire dei protocolli per creare dei percorsi protetti, soprattutto nei luoghi dove le violenze avvengono più spesso (guardie mediche, servizi di emergenza ad esempio). Stiamo cercando di avviare iniziative di collaborazione con le aziende e con la dirigenza, promuovendo la formazione degli operatori sanitari da un lato, ma anche quella dei dirigenti e dei funzionari, che devono conoscere bene il problema per rendere sicure le condizioni in cui medici e operatori sanitari agiscono.
L’omicidio della Dottoressa Capovani ha avuto molta risonanza mediatica, ma non è possibile che si tratti solo dell’“ennesimo” caso: occorre fare qualcosa di concreto. Come dice lo stesso comunicato della FIMMG, questi atti di violenza sono “ogni volta seguiti da importanti dichiarazioni di intenti e da fiumi di parole che, di rado, si traducono in fatti. Non esistono vite più preziose di altre. Ma di certo esistono persone che, più di altre, scelgono di donare la propria esistenza al prossimo. Persone che danno corpo e sostanza al Giuramento di Ippocrate e all’Articolo 32 della Costituzione. Le istituzioni hanno il dovere fare ogni cosa per tutelare queste persone, lasciando da parte ogni forma di retorica”.