Nuovi LEA partiti già vecchi, decreto tariffe in ritardo di 6 anni e, addirittura, nomenclatore dell’assistenza protesica con un solo aggiornamento dal 1999. Tra aziende a rischio fallimento, ricorsi al TAR, slittamenti e cause milionarie allo Stato i pazienti vengono lasciati spesso fuori dalle tutele previste dalla sanità pubblica. Scelte sulla qualità della vita o sulle prospettive di successo di una terapia vitale costringono chi può a pagare di tasca propria. E per gli altri non c’è nessuna risposta.
«Il vizio di fondo è la mancanza di un aggiornamento costante dei LEA. I cosiddetti “nuovi” Livelli Essenziali di Assistenza sono senza dubbio un fatto positivo. Ma sono stati emanati nel 2017, mentre il decreto tariffe ha dovuto attendere 6 anni. Quindi erano un diritto sostanzialmente non esigibile dai cittadini e dai pazienti» spiega a TrendSanità Valeria Fava, responsabile del coordinamento delle politiche della salute di Cittadinanzattiva.
Qualcosa si è mosso ultimamente?
«Ora abbiamo finalmente anche le tariffe e l’aggiornamento su varie patologie e prestazioni, sulla diagnostica specialistica, sul nomenclatore di protesi e ausili. Sono stati tolti quelli che sono di fatto considerati obsoleti e inseriti quelli più nuovi come, ad esempio, quelli sulla comunicazione per i pazienti che hanno difficoltà uditive o di apprendimento. Ma visti i ritardi di questi anni la grande incognita è già per il presente e per il prossimo futuro».
Cosa la preoccupa?
«Ausili, prestazioni, protesi, tecnologie e tariffe sono in continua evoluzione e richiedono un costante aggiornamento come dicono le norme e il buon senso. Ma è un percorso che non riesce ad andare a regime. La Commissione LEA è stata rinnovata a luglio 2023 ma non è, di fatto, ancora operativa. E già dovrebbe essere al lavoro per colmare i sei anni di ritardo accumulati, aggiornare tariffe e prestazioni obsolete…».
Un esempio di prestazione da aggiornare? i test genomici per il tumore al seno sono fondamentali
E intanto tecnologia e costi vanno avanti…
«Parliamo tutti i giorni di sanità digitale, di innovazione. È necessario rispondere a questa velocità, e non è un vezzo per seguire una moda, ma è per rispondere al principio di una sanità pubblica realmente accessibile. Le aziende che lavorano su questa evoluzione sono messe in crisi da questi ritardi. Quelle che non falliscono per le tariffe obsolete, a cui sono state vincolate per anni, si chiedono perché investire e lavorare per inventare nuovi ausili, nuovi strumenti e nuovi presidi da offrire ai pazienti italiani se non verranno messi a disposizione in tempi utili. Consideriamo anche lo stallo in cui siamo con il payback dei dispositivi medici, sulla farmaceutica, infatti, ci sono meno problemi perché quelli sono colossi da decine di miliardi di euro. Ma su dispositivi medici e protesica spesso ci troviamo di fronte a piccole realtà che rischiano di andare a gambe all’aria. Così, chi può, preferisce rivolgersi ai mercati esteri dove non subisce questi ritardi. Mentre i pazienti o i portatori di disabilità che hanno bisogno di questi ausili o di prestazioni aggiornate possono solo andare sul canale privato».
Le norme prevedono anche un coinvolgimento di associazioni come la vostra nell’aggiornamento.
«Sì, c’è un dato recente che dice che dal 2019 ad oggi sono state presentate oltre 350 richieste di aggiornamento. E lei sa che le richieste di aggiornamento possono venire da società scientifiche, da aziende produttrici e anche dalle associazioni. Oltre il 60% è stato presentato dalle associazioni, quindi c’è già nei fatti un bisogno forte e concreto di adeguare questi strumenti e queste prestazioni».
Facciamo degli esempi concreti.
«I test genomici per il tumore al seno sono dei test che vengono fatti per le donne con una diagnosi precoce di tumore al seno. Consentono di individuare la possibilità di evitare la chemioterapia e facendo una terapia ormonale. Questo è un elemento decisivo per una donna. Non solo sulla qualità della vita, ma anche sul sistema, perché la chemioterapia ha un costo assolutamente più impattante sul sistema e su tutte le sue ricadute».
In attesa dell’inserimento nei LEA lo Stato ha dovuto finanziare questi test a parte?
«Esatto. I ritardi di cui parlavamo hanno comportato che, meritoriamente, nella Legge di Bilancio 2021 siano stati stanziati dei fondi, 20 milioni di euro, da erogare alle Regioni per permettere loro di far accedere le donne a questo tipo di test. Ora dalle nostre rilevazioni sappiamo che le Regioni virtuose accedono ai fondi e fanno accedere le donne. Per le altre Regioni è rimasto tutto fermo con il risultato che, finché questo non diventerà uno stanziamento strutturale, avremo sempre una situazione di disuguaglianze d’accesso. Questo è un esempio, diciamo emblematico, ma ce ne sono tanti altri. Sono strumenti di sanità pubblica che dovrebbero entrare nella pratica clinica e dovrebbero essere garantiti nei LEA e quindi a tutti i cittadini italiani e, invece, sono spesso vincolati a risorse considerate straordinarie. Poi devi sperare che vengano rinnovate, ma non si può ragionare ogni volta in modo così discontinuo. Rendiamo strutturale quello che i clinici e gli esperti dicono essere un’innovazione che porta vantaggi al cittadino e, lo sottolineo, anche a tutto il servizio sanitario. Perché far guadagnare anni di vita e di salute alle persone ha un impatto su tutta la società».
C’è anche un tema di giustizia?
«Assolutamente, perché se io so che questo test lo fanno in un centro privato e io mi voglio salvare la pelle, sinceramente se me lo posso permettere, e purtroppo devo dirlo, solo se me lo posso permettere, me lo vado a pagare. Lei si immagina di fronte alla scelta tra la vita e la morte o per la speranza di una qualità di vita migliore. Sono scelte che nessuno dovrebbe ritrovarsi a fare in un sistema pubblico e universalistico».
Che tipo di interlocuzione vi aspettate dal Ministero?
«Noi quello che possiamo fare è essere il solito pungolo nei confronti delle istituzioni. Sul decreto tariffe abbiamo fatto una diffida al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Presidente della Stato-Regioni. Noi ci impegneremo in questo senso, vigilando, chiedendo l’aggiornamento, ponendo anche a volte delle azioni forti e dirompenti di carattere giudiziario e quindi con delle diffide a procedere. Questo è quello che noi continueremo a fare a tutela, ad esempio, dei pazienti cronici e dei pazienti rari. Pensi alla fibromialgia che è una patologia che si conosce da 100 anni ma che ancora non viene riconosciuta, non è nemmeno nella nuova versione dei LEA e quindi queste persone non hanno il diritto ad avere delle prestazioni gratuite perché non hanno un codice di esenzione relativo e quindi si pagano tutte le prestazioni e hanno anche difficoltà a chiedere l’invalidità civile».