I pazienti nelle scelte di salute sostenibile

La storia della Federazione Uniamo dimostra che, quando i cittadini siedono ai tavoli decisionali, riescono a riportare almeno parzialmente l’attenzione sui loro bisogni. «Bisogna ricordare che quello che emerge sono sempre sintesi di sensibilità diverse, ma è importante esserci», rileva Annalisa Scopinaro
Annalisa Scopinaro
Annalisa Scopinaro

«Per noi sanità sostenibile significa avere la possibilità di potersi curare, di poter prevenire alcune patologie e di poter provare dei percorsi che non incidano dal punto di vista burocratico più di quello che è già il percorso patologia. È il poter sapere di essere in un sistema che ci accompagna dalla diagnosi alla presa in carico a tutto quello che è l’accesso alle terapie senza dover pesare troppo sulle famiglie». Così Annalisa Scopinaro, Presidente della Federazione Italiana Malattie Rare Uniamo.

Per quanto riguarda le malattie rare, in Italia esiste una rete nazionale che dal 2001 offre un punto di appoggio stabile a chi soffre di queste patologie. «Le problematiche sono da un lato la riconoscibilità della malattia rara: noi abbiamo ad oggi circa 500-600 patologie che hanno un codice di esenzione specifico, mentre le altre patiscono una non riconoscibilità specifica, ovvero non possono entrare nella rete delle malattie rare propriamente detta. Inoltre, dal 2017, da quando ci sono le reti europee ERN, lo sviluppo di questi centri è stato abbastanza disomogeneo dal punto di vista territoriale».

In Italia il rapporto MonitoRare ne ha censiti 325, la maggior parte localizzati in Nord Italia. «E questo non perché al Sud non ci siano eccellenze, ma a volte anche solo la procedura burocratica viene ritenuta troppo gravosa e i centri non si accreditano», evidenzia Scopinaro.

La sostenibilità per le malattie rare

«C’è poi un problema di accesso ai farmaci, che in Italia è complicato dai prontuari regionali nei quali le molecole approvate da AIFA vanno inserite – ricorda Scopinaro -. Questo significa che finché un farmaco non viene inserito in quella specifica regione il paziente non può richiedere quel trattamento; può farlo in un’altra regione, sobbarcandosi i costi». A questo complesso quadro sta cercando di porre rimedio il Piano Nazionale Malattie Rare. «Questi problemi si acuiranno quando arriveranno i 180 trattamenti per terapie avanzate innovative, che porranno oltre al problema di una sostenibilità intesa in senso più generale, anche un problema di sostenibilità di costi».

E non si parla solo del costo complessivo delle terapie per l’Italia, ma anche di quello delle terapie per la singola azienda sanitaria che se non ha programmato bene la spesa rischia di trovarsi in bancarotta, visto il costo unitario di questi trattamenti.

Il Regolamento Europeo Farmaci Orfani, criticato dalle aziende farmaceutiche, sta cercando di porre alcune regole per garantire equità d’accesso almeno in Europa: «La market exclusivity di alcuni trattamenti in termini di anni viene implementata se le aziende fanno approvare il loro farmaco in più Paesi», ricorda Scopinaro.

Il coinvolgimento dei pazienti

«Quando abbiamo iniziato, 25 anni fa, era tutto da costruire e come federazione ci siamo concentrati sui bisogni primari di salute – afferma Scopinaro -. Poi siamo entrati nel Forum del Terzo Settore, ma soprattutto nell’Osservatorio nazionale della persona con disabilità e penso che il nostro ruolo sia importante, anche per la trasversalità dei nostri bisogni. Siamo una delle poche associazioni che ha bisogni a 360° per l’eterogeneità delle persone con patologie rare».

Se la sanità è una competenza regionale, quella sociale è comunale: «Ogni comune decide dove investire i fondi, non c’è un’unitarietà nazionale e anche le stesse tutele dell’INPS, specialmente per alcune tipologie di malattie rare, non sono così scontate perché la patologia magari non si vede, pure impattando notevolmente sulla qualità di vita». Dall’esterno una persona con talassemia o emofilia non ha un problema visibile, ma un grande impatto sulla propria quotidianità: «Significa un’infusione ogni due settimane in ospedale, perdita di giorni di lavoro, controlli, momenti di grande debolezza che rende difficile il lavorare correttamente».

Il G7 inclusione e disabilità è stato un inizio importante: «Per la prima volta c’è stato un momento dedicato in quel consesso – ha ricordato Scopinaro -. Certo, la Carta di Solfagnano può essere implementata, ma lo diciamo con un punto di vista europeo. C’erano paesi, come Taiwan e Giappone, dove ancora oggi le persone con disabilità proprio non hanno un diritto di nessun genere. I punti di partenza erano quindi molto diversi e in una sintesi politica delle varie sensibilità non possiamo pensare di vedere tutti i punti che per noi sono importanti».

Quali priorità per il futuro

Tra i tanti bisogni delle persone con malattie rare e delle loro famiglie, Scopinaro ne cita tre in particolare: «Mi piacerebbe una presa in carico che sollevi la famiglia dalla necessità di dover gestire tutti gli aspetti: organizzativi, burocratici, emotivi». Oggi infatti ci troviamo di fronte a una sanità spezzettata, dove spesso sono i caregiver a dover allacciare i fili dei percorsi, cercando il centro più competente, gestendo spese e spostamenti.

«Poi l’accesso a forme di sollievo, compresi i trattamenti riabilitativi, equi rispetto a tutte le situazioni regionali e commisurati al tipo di problema: non ha senso offrire 10 trattamenti riabilitativi l’anno a un malato cronico che ha bisogno di assistenza continua. Così facendo lo si compara a chi ha un problema transitorio a un ginocchio, per esempio, ma questo non può esistere».

Infine, un sostegno reale alle famiglie per i maggiori costi da sostenere: «Stimiamo che  ogni famiglia con un malato raro spenda circa 1.500 euro al mese, più il cosiddetto lucro cessante, che significa che il caregiver spesso abbandona o riduce considerevolmente l’attività lavorativa», riporta Scopinaro.

Per la presidente di Uniamo, questo sostegno non dovrebbe però tradursi in un contributo aggiuntivo, ma in servizi pubblici: «Dare più soldi non permette alle famiglie di alleggerire davvero il carico di malattia del loro congiunto, mentre offrire dei servizi a supporto sì», conclude Scopinaro.

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Michela Perrone
Giornalista pubblicista