Il 20 novembre 2024 gran parte della sanità si mobilita e scende in piazza: medici, infermieri e altri professionisti sanitari incroceranno le braccia per 24 ore (garantendo i servizi essenziali), protestando contro le misure previste nella Legge di Bilancio 2025 e i fondi che non bastano.
Alcune sigle sindacali, tra cui Anaao Assomed, Cimo-Fesmed e Nursing Up, hanno indetto uno sciopero per denunciare l’insufficienza dei fondi destinati al Servizio Sanitario Nazionale e le condizioni lavorative sempre più critiche. Anche la FNOMCeO, la Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri, va in Piazza Santi Apostoli per portare il suo sostegno. Filippo Anelli: «Protesta espressione del disagio dei medici, esasperati da mancanza di risposte. Lo sciopero è il frutto dell’esasperazione dei medici, che chiedono da almeno tre anni un’attenzione nei confronti delle Professioni sanitarie».
I medici FP CGIL e UIL, invece, fanno sapere che parteciperanno allo sciopero generale del 29 novembre «contro la peggiore legge di bilancio degli ultimi 30 anni, che taglia risorse a personale e servizi per lasciare il campo libero al profitto ed al privato». È quanto dichiarano Andrea Filippi, Segretario Nazionale Fp Cgil Medici, Veterinari e Dirigenti SSN e Roberto Bonfili, Coordinatore Nazionale Uil Medici e Veterinari.
La manifestazione nazionale si tiene a Roma, in Piazza Santi Apostoli, dalle 12:00 alle 14:00, con l’obiettivo di sensibilizzare i cittadini e le istituzioni sulla necessità di interventi strutturali per garantire la sostenibilità del sistema sanitario pubblico e la dignità professionale degli operatori.
Ne hanno parlato ai microfoni di TrendSanità Guido Quici, Presidente della Federazione CIMO-FESMED, Pierino Di Silverio, Segretario Nazionale Anaao Assomed e Antonio De Palma, Presidente Nursing Up.
Alcuni dati
I medici del SSN si sentono stanchi, demoralizzati, rassegnati e abbandonati, dopo due anni di emergenza Covid-19. È quanto emerge dal sondaggio della Federazione CIMO-FESMED cui hanno partecipato più di 4.200 medici. Il 72% dei medici risceglierebbe la professione, ma solo il 28% continuerebbe a lavorare in una struttura pubblica. Il restante preferirebbe trasferirsi all’estero (26%), anticipare il pensionamento (19%), lavorare in una struttura privata (14%) o dedicarsi alla libera professione (13%).
Il 30% dei medici giudica la propria qualità della vita “insufficiente” o “pessima”. Il 73% degli intervistati lavora più delle 38 ore settimanali previste dal contratto e il 20% di questi supera le 48 ore, violando la normativa europea. Il 43% ha tra 11 e 50 giorni di ferie accumulate, il 24% tra 51 e 100 giorni e il 18% più di 100 giorni.
In termini di attività svolte, il 56% dei medici ritiene eccessivo il tempo dedicato agli atti amministrativi, mentre il 40% ritiene insufficiente il tempo dedicato all’atto medico e all’ascolto del paziente. Solo il 4% dei medici riesce a dedicare tempo alla propria formazione.
Gli infermieri non stanno meglio. Secondo Nursing Up, dal 2010 al 2024, le iscrizioni ai corsi di laurea in infermieristica sono diminuite del 54,2% e solo lo 0,8% dei giovani tra 15 e 18 anni considera la professione infermieristica interessante, rispetto al 3,9% in Norvegia e al 2,8% in Germania.
Mancano almeno 175-220 mila infermieri rispetto agli standard europei. Le stime ufficiali parlano di una carenza di 65mila infermieri per il SSN e ogni anno circa 8mila infermieri lasciano volontariamente il settore pubblico
Nel 2023 si sono registrate circa 130mila aggressioni (fisiche e verbali) contro gli infermieri. Negli ultimi cinque anni, il numero delle violenze è aumentato del 35% e il 70% delle vittime è un infermiere. Inoltre, 90% dei Pronto Soccorso, con bacini di utenza medio-alti, è privo di un presidio di polizia attivo 24 ore su 24.
«L’inefficienza della politica, che ha ridotto sempre di più gli organici all’osso – dichiara De Palma Nursing Up – non dimostrandosi capace di sanare le bibliche liste di attesa e la disorganizzazione degli ospedali, non ha fatto che acuire l’ira della collettività e far sgretolare la fiducia cittadini-professionisti, con questi ultimi diventati sempre di più il capro espiatorio e con i primi che, mai come in questo momento, sembrano davvero aver perso la bussola».
Quanto agli stipendi, l’Italia è al terzultimo posto in Europa per retribuzione degli infermieri, con salari medi di circa 1.500 euro netti al mese.
Infine, negli ultimi 10 anni, circa 50mila infermieri hanno abbandonato l’Italia e oltre la metà di loro non intende tornare.
Difendere il SSN e il diritto alla cura
«Il 20 novembre scioperiamo in difesa del Servizio Sanitario Nazionale, che è in profonda crisi – ci dice Guido Quici. Scioperiamo contro una bozza di legge di Bilancio che destina risorse insufficienti per la sanità pubblica, rateizzandole inoltre in più anni, senza comprendere che la gravità della situazione richiede un intervento immediato.
Scioperiamo per far capire ai cittadini che le cause dei disservizi che vivono quotidianamente sono da ricercare in anni di tagli al personale e alle strutture sanitarie, falcidiando l’offerta sanitaria. Scioperiamo perché non è previsto nessun incentivo volto a far rimanere nel Servizio sanitario nazionale medici e infermieri, sempre più attratti dall’estero e dalla sanità privata, dove tra l’altro la situazione non è molto migliore, considerato che l’AIOP non rinnova i contratti dei medici dipendenti da quasi 20 anni.
Ci auguriamo che il Governo e l’opposizione ci ascoltino e pongano la giusta attenzione a un settore strategico per il Paese e che inizino a lavorare congiuntamente ascoltando i bisogni dei pazienti e dei professionisti. Utilizzare la sanità solo come terreno di scontro politico non serve a nessuno. È giunto il momento di rimboccarsi le maniche e iniziare a lavorare al SSN del futuro».
Quali sono i motivi?
Risponde Di Silverio: «possiamo racchiudere i motivi in quattro parole d’ordine Risorse, Riforme, Formazione e Sicurezza.
Risorse, perché senza risorse adeguate per il servizio sanitario pubblico e per il personale, non possiamo sopravvivere in questa congiuntura di crisi economica. Una scarsità che arriva da 15 anni di disincentivazione.
Riforme, perché il nostro sistema di cura, che ha ormai 46 anni, necessita urgentemente di una riforma sostanziale, soprattutto nella presa in carico del paziente. L’attuale sistema non è pronto per gestire la cronicità ma le acuzie e deve essere ripensato.
Formazione perché abbiamo 50mila specializzandi che vivono ancora in una sorta di “gabbia dorata” all’interno delle università, senza poter formarsi liberamente nelle strutture ospedaliere. Siamo l’unico Paese al mondo in cui non c’è il teaching hospital, dove gli specializzandi non possono formarsi liberamente in ambito ospedaliero.
Non ultimo la sicurezza delle cure che viaggia su due binari: il primo, le aggressioni contro il personale sanitario, perché non basta un decreto che funzioni da deterrente, occorre investire nelle cure e migliorare l’accesso ai servizi, per ricostruire e cambiare il rapporto di fiducia tra medico e paziente che si è rovinato.
Secondo, la depenalizzazione dell’atto medico, poiché l’Italia è l’unico Paese al mondo dove i medici sono sottoposti a quattro diversi tribunali: ordinario, aziendale, ordinistico e il peggiore, quello mediatico. La commissione che ha lavorato sulla depenalizzazione dell’atto medico per un anno e mezzo non ha prodotto risultati soddisfacenti, perché, di fatto, non cambiano una virgola.
Quindi, ci aspettiamo che il governo apra un confronto, stanzi più risorse e soprattutto cominci a riformare seriamente il percorso di cura».
Le buone intenzioni non bastano
È vero che l’attuale Governo ha stanziato più risorse in assoluto per il Fondo Sanitario Nazionale – spiega De Palma – ma le stesse sono spalmate nei prossimi 5 anni e, al netto dei rinnovi contrattuali, sono ben al di sotto del tasso inflattivo, quindi non in grado di sostenere un Servizio sanitario già in grande difficoltà.
Questi finanziamenti sono appena sufficienti a mantenere lo status quo e non saranno certamente alcuni interventi legislativi a ridurre le liste di attesa senza un vero intervento strutturale di rilancio del SSN.
Lo sciopero e la manifestazione di protesta nascono dall’urgenza di garantire il rispetto e la valorizzazione concreta del lavoro infermieristico e di tutti gli altri professionisti ex legge 43/2006. Richiediamo tutele adeguate per i turni massacranti e un riconoscimento economico e professionale per chi è ogni giorno in prima linea nella tutela della salute.
Le promesse di riforma devono tradursi in fatti, contratti, risorse e dignità professionale non possono più attendere
La manovra prevede un aumento dell’indennità di specificità infermieristica, ma non è ancora estesa alle ostetriche, come invece noi chiediamo, ed è una vittoria effimera, poiché ci verrà data a rate, visto che nelle tasche degli infermieri arriverebbero per il 2025 circa 7 euro netti e per il 2026 circa 60 euro netti. Peraltro, si parla di risorse legate, per la maggior parte, a un contratto la cui discussione inizierà tra almeno due anni. Insomma in sostanza “briciole nel tempo”, che offendono l’intera categoria.
Il governo finanzia, oggi, un CCNL del futuro, prevedendo risorse che, invece, dovrebbero essere attribuite seduta stante, come finanziamenti aggiuntivi al triennio ancora in discussione, quello cioè del CCNL 2022/2024.
Nursing Up chiede, inoltre, l’introduzione di norme per retribuire i percorsi formativi e di specializzazione degli infermieri e delle altre professioni sanitarie ex Legge 43/2006, al pari di quanto già accade per i medici.
Le scelte governative, tra assistenti infermieri e reclutamento di personale straniero, sembrano orientate a tamponare le falle di un sistema in crisi senza affrontarne le cause profonde. Il rischio è peggiorare ulteriormente la qualità dell’assistenza e di aumentare il carico di lavoro per il personale esistente.
Una politica sanitaria lungimirante deve puntare su investimenti seri nella professione infermieristica italiana, valorizzando chi opera sul campo e incentivando il ritorno di coloro che hanno scelto di cercare dignità e prospettive migliori altrove. La situazione è allarmante: il disamore verso la professione è evidente, e senza interventi strutturali e investimenti mirati, il rischio di un collasso completo appare davvero concreto».