L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha lanciato l’allarme: l’Europa si trova di fronte a una carenza di operatori sanitari e sociali, che si prevede raggiungerà 1,6 milioni entro il 2024 e 4 milioni entro il 2030.
Secondo le stime dell’OMS, la crisi incombente comprende un deficit di 600.000 medici, 2,3 milioni di infermieri e 1,1 milioni di operatori sociali e assistenziali se non si interviene con urgenza per invertire la tendenza.
Quando pensiamo ai medici, ci immaginiamo quelli degli ospedali, ma i medici di medicina generale (MMG) devono affrontare sfide simili nel loro ruolo.
«La sfida principale in questo momento è il reclutamento e il mantenimento degli operatori sanitari. Nel caso dei medici di base, in Europa anche i Paesi che hanno ottime condizioni di lavoro e un’ottima retribuzione sono alle prese con la carenza di personale». Tiago Villanueva è presidente dell’UEMO, l’Unione Europea dei Medici di Medicina Generale e di Famiglia. Si tratta di un’organizzazione senza scopo di lucro che riunisce le organizzazioni nazionali, non governative e indipendenti più rappresentative dei medici di base in Europa.
Villanueva ha raccolto alcuni dati recenti intervistando i membri dell’associazione: «In Romania servono almeno 2.000 medici di base, in Spagna circa 5.000, nel Regno Unito ne servono circa 70.000 e ne hanno 43.000. È abbastanza incredibile che anche in Norvegia ci siano 160.000 pazienti senza medico di base e la Norvegia è un paese piccolo, quindi 160.000 persone sono un numero considerevole». E ancora: «L’Irlanda ha bisogno di 1.400-1.600 medici di base; l’anno prossimo in Italia mancheranno circa 4.000 medici di base; almeno 500 medici di base in Croazia. Anche in Islanda, un Paese minuscolo, servono 200 medici di base. In Macedonia del Nord ci sono attualmente 1.200 MMG, ma il 30% di loro ha più di 65 anni e i giovani medici lavorano in questo ruolo solo per due o tre anni, dopodiché passano ad altre specializzazioni o si trasferiscono in altri Paesi per avere uno stipendio e un futuro migliori».
Anche in Finlandia servono 1.000 medici di base e in Svezia circa 5.000. «E la lista continua», dice Villanueva a TrendSanità.
Ripensare la professione
«Direi che la situazione è preferibile nell’Europa settentrionale, dove le condizioni di lavoro e la retribuzione sono migliori. Tuttavia, se fosse un problema di retribuzione, l’avremmo già risolto. Non si tratta solo di questo. È anche una questione di attrattiva della carriera».
Per Villanueva «i medici di base sono ancora una specialità molto orientata al paziente, dove quasi il 100% del tempo è dedicato alla cura del paziente. Penso che sia necessario rendere più attraente la possibilità di avere tempo per altre attività, come quelle non cliniche: attività accademiche, ricerca, insegnamento. È importante rendere l’intero pacchetto appetibile, non solo l’assistenza clinica. Qualsiasi medico di base sa che quando si inizia la giornata si comincia con il primo paziente e si prosegue senza sosta fino all’ultimo, spesso senza avere nemmeno il tempo di mangiare o di andare in bagno. È un lavoro molto duro. In ospedale c’è una dinamica diversa perché si lavora in team. Penso che dobbiamo ripensare a come rendere la professione attraente per gli studenti di medicina e i giovani medici e non credo che stiamo facendo un buon lavoro».
Anche i luoghi che offrono condizioni più interessanti hanno una carenza di medici di base: «Per esempio, nel sud della Francia, se vai a lavorare in aree remote chiamate deserti sanitari, ti pagano molto bene, ti danno persino incentivi fiscali. Ma anche in questo caso è difficile reclutare medici perché rimangono isolati in un piccolo centro e questo non è positivo per il loro sviluppo professionale».
Differenze tra i Paesi europei
«Qui in Portogallo tendo a venire a conoscenza della carenza di farmaci attraverso i miei pazienti. La segreteria dice che il paziente ha bisogno di una prescrizione ma il suo farmaco è finito: non lo trova in farmacia, bisogna trovare un sostituto. Questo ci mette sotto pressione».
La carenza di medicinali è un problema per tutti i Paesi europei e, sebbene oggi si possa prevedere praticamente tutto, come terremoti e inondazioni, i medici non riescono ad anticipare la carenza di medicinali.
«Non abbiamo un sistema di allerta per le carenze di farmaci: quando qualcosa non va possiamo solo trovare un modo per mitigare i danni – riflette Villanueva -. Sappiamo che alcuni enti regolatori in alcuni Paesi europei stanno facendo un ottimo lavoro, per esempio l’Irlanda, perché è possibile andare sul sito web dell’agenzia per i medicinali e consultare le carenze, sapere quali farmaci mancano, perché mancano, quando finiranno le carenze. Ma in altri Paesi non c’è questo tipo di infrastruttura informativa».
La situazione è eterogenea e ogni Paese ha i propri standard: «Le autorità europee non amano dire molto perché la salute è una competenza nazionale degli Stati membri ed è un fatto che alcuni Paesi sono più organizzati di altri».
La medicina che cambia
«Tra le sfide per il futuro c’è quella delle nuove generazioni: non vogliono lavorare come le precedenti – osserva il presidente dell’UEMO -. Tradizionalmente, negli ultimi 50 anni la medicina è stata più di una professione: è stata una vocazione. Si metteva la professione davanti alla famiglia».
Ma le nuove generazioni non la vedono più così: «Non vogliono lavorare a tempo pieno, vogliono avere tempo per gli amici e la famiglia, chiedono orari di lavoro ragionevoli, non vogliono lavorare di notte e nei weekend. E questa è una sfida perché l’Europa sta diventando sempre più vecchia, la popolazione sta crescendo, ma più si invecchia, più si hanno esigenze sanitarie».
Inoltre, durante la pandemia la maggior parte del lavoro è stato svolto silenziosamente nelle cure primarie, dove i pazienti presentavano sintomi non gravi. «A causa del sovraccarico di lavoro durante il Covid, i medici di base sono stati disillusi dalla professione e credo che le persone si siano sentite frustrate dal fatto di non essere valorizzate dalle autorità e molte persone hanno abbandonato la professione», è l’analisi di Villanueva.
Sembra che i decisori politici di tutta Europa scelgano sempre le politiche negative invece di quelle positive
L’Associazione Medica Spagnola ha prodotto un’infografica su quelle che definisce politiche positive e politiche negative. Le politiche positive sono cose come gli incentivi finanziari, quelli fiscali, la concessione di alloggi ai medici… Le politiche negative sono cose che sappiamo non funzionare, come il tentativo di aumentare il numero di posti nelle scuole di medicina.
«Si possono immettere nel sistema migliaia e migliaia di studenti in più, ma non funzionerà perché non entreranno negli studi della medicina generale se non la troveranno attraente – ricorda Villanueva -. E purtroppo sembra che i decisori politici di tutta Europa scelgano sempre le politiche negative invece di quelle positive. Le soluzioni sono state individuate, ma non vengono applicate dai decisori, quindi il nostro compito come associazione europea è quello di allertare le autorità europee, la Commissione e il Parlamento su questo genere di cose». A gennaio l’UEMO incontrerà proprio a questo scopo i nuovi rappresentanti della Commissione europea, della DG Sante e del Parlamento europeo.
Sfide per il futuro
«Continueremo a battere sulla questione del reclutamento e del mantenimento; continueremo a sostenere il riconoscimento della medicina generale e della medicina di famiglia come specialità in Europa, perché nella legislazione europea la medicina generale non è considerata una specialità». Al momento la medicina generale è considerata una qualifica, ma non una specializzazione.
Per le nuove generazioni la medicina non è più una vocazione
Un’altra questione emergente è la sostituzione dei medici di base con altri operatori sanitari. Sta accadendo per esempio nel Regno Unito.
«Ironia della sorte, in un Paese in cui servono quasi 30.000 medici di base nel sistema, molti non riescono a trovare lavoro. È una contraddizione: il governo britannico investe nella formazione di operatori sanitari meno qualificati dei medici. Ma in molti casi sostituiscono i medici nel visitare i pazienti. Non sono infermieri. Non sono medici. Si chiamano Professionisti Medici Associati».
Ma i medici di base sono sostituibili? «Beh, credo che molto di quello che facciamo possa essere delegato, come ad esempio le cose amministrative – ammette Villanueva -. Ma la cura del paziente è qualcosa che deve rimanere al medico, non si possono fare tagli su questo. E non è qualcosa che si può imparare in poco tempo, con un corso. Bisogna frequentare una scuola di medicina, specializzarsi ed essere in grado di fornire uno standard molto elevato di assistenza clinica. Altrimenti si rischia di ottenere risultati negativi».