Intelligenza artificiale in sanità: tra governance, innovazione e dati, l’Italia cerca la sua rotta

Gli strumenti di AI possono rivelarsi molto utili in sanità: l’importante è valorizzare le soluzioni che hanno un impatto reale e misurabile sui cittadini e lavorare sulla qualità del dato. Senza sistemi davvero interoperabili e un’infrastruttura omogenea sul territorio nazionale, l’innovazione rischia di fermarsi

L’intelligenza artificiale (AI) in sanità è sempre più al centro del dibattito, tra promesse di efficienza, sfide etiche e necessità di visione strategica. Oggi si moltiplicano le sperimentazioni, le piattaforme, i progetti pilota. Ma qual è la direzione che il sistema sanitario italiano sta davvero prendendo nell’adozione dell’AI?

Da un lato, le aziende sanitarie iniziano a confrontarsi con strumenti concreti: algoritmi che ottimizzano le prescrizioni, piattaforme di open innovation, osservatori permanenti per mappare l’esistente e intercettare bisogni reali. È il caso dell’Osservatorio Nazionale sull’Intelligenza Artificiale in Sanità lanciato recentemente da FIASO, la Federazione Italiana Aziende Sanitarie e Ospedaliere, che vuole connettere domanda e offerta di soluzioni AI con un approccio pragmatico e misurabile. 

L’Osservatorio FIASO: una mappa dell’AI già presente nelle aziende sanitarie

Giovanni Migliore
Giovanni Migliore

«L’intelligenza artificiale in sanità non è una promessa futura, è già tra noi», afferma il presidente FIASO Giovanni Migliore. A confermarlo, le oltre 40 soluzioni operative raccolte attraverso la call for practice lanciata dalla Federazione. L’Osservatorio, del resto, è stato pensato proprio per far incontrare domanda e offerta, valorizzare le buone pratiche e promuovere un’innovazione realmente utile per i cittadini.

L’obiettivo è chiaro: identificare e sostenere soluzioni ad alto impatto e con risultati misurabili, non sperimentazioni isolate o progetti di vetrina. L’Osservatorio si concentra su due aree prioritarie: l’emergenza-urgenza e la gestione dell’accesso ai servizi, in particolare le liste d’attesa e l’appropriatezza prescrittiva.

E la resistenza culturale? «Non la vedo – risponde Migliore -. Anzi: 30 milioni di italiani si aspettano che l’AI migliori la qualità dell’assistenza. Sta a noi dare risposte all’altezza. Per questo la formazione del personale sarà decisiva: vogliamo un’innovazione consapevole e diffusa».

L’AI come leva di efficienza

Un esempio concreto arriva dalla Puglia, dove un algoritmo analizza la coerenza tra prescrizioni diagnostiche e linee guida cliniche. Il risultato? Il 40% degli esami prescritti è risultato non appropriato. «Questi dati dimostrano che migliorando la qualità delle prescrizioni possiamo ridurre sensibilmente le liste d’attesa senza bisogno di nuove risorse», spiega Migliore, nel suo ruolo di Direttore Generale di AReSS Puglia, l’Agenzia Regionale Strategica per la Salute ed il Sociale.

Anche nell’organizzazione degli appuntamenti, l’intelligenza artificiale mostra potenzialità enormi: all’ASL Napoli 3 un algoritmo consente di evitare i “buchi” nella pianificazione, aumentando l’efficienza fino al 20%. Sono esperienze che testimoniano come l’AI possa già oggi migliorare l’organizzazione e la sostenibilità del sistema.

Open innovation: la piattaforma NextH.ai per idee e soluzioni mature

Per promuovere la partecipazione di startup, centri di ricerca e aziende, FIASO ha attivato anche una piattaforma di open innovation, NextH.ai. Due le call attive: una per raccogliere nuove idee progettuali, l’altra per accelerare soluzioni già mature. Le proposte selezionate saranno premiate a gennaio 2026, dopo la valutazione da parte del comitato scientifico dell’Osservatorio.

«L’intelligenza artificiale non deve restare teoria – ribadisce Migliore -. Va inserita nei processi assistenziali reali, con una formazione capillare del personale e una cultura dell’innovazione consapevole».

Senza dati, l’AI non può funzionare

Questa primavera è stato approvato al Senato e alla Camera un disegno di legge sull’intelligenza artificiale. Il testo è attualmente in terza lettura al Senato, dopo alcune modifiche che sono state introdotte, tra cui un emendamento a prima firma della senatrice Beatrice Lorenzin che riguarda i dati sanitari.

Beatrice Lorenzin

All’interno del testo, ampio spazio è infatti dedicato alla sanità: la modifica accolta permette l’uso secondario dei dati per la ricerca, grazie anche a strumenti di intelligenza artificiale o nuovi metodi di analisi dati che automatizzano la costruzione di modelli analitici, mantenendo alti gli standard di sicurezza e privacy. «Si tratta di un passo avanti significativo – commenta Lorenzin a TrendSanità -: senza l’abilitazione all’uso per la ricerca e la programmazione non si valorizza appieno la potenzialità dell’intelligenza artificiale». Secondo la senatrice, senza interoperabilità e dati affidabili e in tempo reale, l’AI rischia di restare un’utopia tecnologica. «La ricerca biomedica e la programmazione sanitaria dipendono dall’accesso ai dati. Senza la possibilità di riutilizzare i dati raccolti per la cura, la metà della ricerca è bloccata», spiega.

Il nodo dell’interoperabilità: i limiti della digitalizzazione sanitaria

Durante il suo mandato come Ministra della Salute, Lorenzin aveva posto le basi per la creazione del Fascicolo Sanitario Elettronico, che un decennio dopo non è ancora una realtà sull’intero territorio nazionale. E il nodo è la frammentazione dei sistemi informativi sanitari regionali. «Durante il mio mandato da ministra, abbiamo avviato il Fascicolo Sanitario Elettronico e stanziato risorse per renderlo interoperabile. Ma oggi, nonostante i miliardi del PNRR, l’immissione dei dati è ancora incompleta».

Il rischio? Avere strumenti avanzati senza contenuti su cui lavorare. «Senza dati aggiornati e interoperabili, nessuna intelligenza artificiale può funzionare davvero. È una priorità che va monitorata con attenzione, anche perché il PNRR si avvia alla scadenza», avverte.

AI per la programmazione e la prevenzione: il vero salto di qualità

Secondo Lorenzin, l’AI può e deve servire non solo alla ricerca, ma anche alla programmazione sanitaria e alla prevenzione. «Avere accesso ai dati di intere popolazioni, in forma anonima e protetta, significa poter anticipare i bisogni di salute, valutare l’aderenza terapeutica, ridurre gli sprechi e orientare le politiche sanitarie», afferma.

Il suo sogno, da ministra, era avere un cruscotto digitale per monitorare in tempo reale le performance delle strutture sanitarie. «Oggi la tecnologia lo permetterebbe. Ma dobbiamo recuperare il ritardo sull’infrastruttura di base». Ancora una volta: servono i dati. I prossimi mesi – con la piena attuazione del PNRR – saranno decisivi per capire se sapremo davvero trasformare l’AI da strumento di sperimentazione a leva di trasformazione strutturale della sanità pubblica.

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Michela Perrone
Giornalista pubblicista