Accesso precoce ai farmaci, l’Italia alla prova del cambiamento

Tempi lunghi, vincoli europei e disomogeneità regionali frenano l’accesso ai farmaci in Italia. Al Senato un confronto che mostra la consapevolezza trasversale del problema, pur lasciando aperta la domanda decisiva: il Paese avrà la volontà politica e finanziaria per riformare davvero il modello di accesso?

L’Italia è pronta a cambiare rotta sull’accesso ai farmaci innovativi? La domanda è riecheggiata con forza nel convegno “Nuova policy di accesso ai farmaci: una svolta per il Servizio Sanitario Nazionale” promosso dal presidente della commissione Affari Sociali del Senato, Francesco Zaffini, che lo scorso 2 dicembre ha riunito la filiera del farmaco: dai vertici di AIFA agli economisti sanitari, dai rappresentanti politici agli esperti di regolatorio, fino alle associazioni dei pazienti e ai medici.

Un confronto serrato, che ha messo sul tavolo numeri, vincoli europei, proposte operative e divergenze politiche, ma soprattutto un punto condiviso: 18-20 mesi di attesa tra approvazione da parte dell’Agenzia europea per i medicinali e rimborsabilità da parte dell’Agenzia italiana del farmaco non sono più sostenibili.

Ritardi tra EMA e AIFA rischiano di ridurre equità, competitività e qualità dell’assistenza nazionale

A fissare il punto è stato il professor Fabrizio Gianfrate, autore della ricerca che ha dato il là al dibattito: 577 giorni per le nuove molecole e 636 giorni per i farmaci orfani. E tempistiche simili per oncologici e altre aree ad alto bisogno. Un ritardo che, ha ricordato Gianfrate, si traduce in un paradosso: ciò che in Italia arriva come innovazione è spesso già superato in Germania e Francia, dove l’accesso dopo l’autorizzazione EMA varia tra 15 e 60 giorni.

Dal canto suo AIFA, per voce del presidente Robert Giovanni Nisticò, ribadisce di essere una delle agenzie più efficienti d’Europa per disponibilità e prezzo dei farmaci. Il problema non è cosa si approva, ma quanto tempo richiede la negoziazione.

La proposta: un “rimborso precoce” che anticipa l’accesso e conguaglia a negoziazione conclusa

La soluzione? Potrebbe essere un modello ibrido, già sperimentato altrove, dove il farmaco sarebbe rimborsabile subito dopo l’approvazione di EMA, a un prezzo provvisorio stabilito dall’azienda o da un algoritmo, con conguaglio finale attraverso il payback quando AIFA definisce il prezzo definitivo.

Con un corollario di salvaguardie che Gianfrate ha tenuto a mettere in evidenza: dai tetti di spesa, al payback anticipato, al prezzo algoritmico basato su bisogno clinico, passando per eleggibilità selettiva e arbitrato rapido.

Una proposta di rimborso precoce — rimborsabilità immediata a prezzo provvisorio, con conguaglio finale tramite payback — che rappresenterebbe un cambio di paradigma, una “innovatività di processo” capace di trasformare rapidamente i tempi senza alterare il ruolo negoziale dell’Agenzia. Un meccanismo che, nelle sue stime, non genererebbe un nuovo costo, ma risparmi grazie agli effetti clinici e socio-economici delle terapie somministrate prima che la malattia peggiori. Gianfrate, poi, non ha eluso il nodo dei vincoli contabili europei: le terapie geniche, ricordate come caso simbolo, devono essere contabilizzate integralmente nell’anno dell’impegno di spesa, rendendo impossibili i modelli innovativi di pagamento basati sui risultati. È una norma illogica: se è sbagliata, va cambiata.

La politica tra vincoli e visione strategica

Il consigliere del ministro della Salute Andrea Costa ha allargato la riflessione alla dimensione europea. Perché non si può difendere la salute con strumenti vecchi ed è necessario chiedere che le spese sanitarie siano escluse dal Patto di stabilità. Un po’ come accaduto con l’esperienza dei vaccini durante la pandemia. Rammentando però che l’accesso alle terapie innovative non può dipendere dai prontuari regionali, perché un farmaco approvato da AIFA deve essere disponibile ovunque e subito.

Istituzioni, clinici, industria e pazienti convergono sulla necessità urgente di cambiamento

Certo è che il nodo di fondo è la mancanza di fondi. Lo ha sottolineato lo stesso senatore Zaffini, che ha richiamato la necessità di difendere la sostenibilità – una legge di Bilancio da 18 miliardi impone scelte dolorose – ma al contempo avere come priorità la riduzione dei tempi di accesso.

Di diverso tenore il punto di vista dell’onorevole Gian Antonio Girelli, che ha appoggiato apertamente il rimborso precoce, suggerendo però di superare una logica contabile miope. In altri termini, la domanda da porsi non è quanto costa farlo, ma quanto costa non farlo.

L’arena della Manovra: tra payback, resistenze e compromessi

Naturalmente, essendo questi i giorni più caldi per la definizione dei dettagli della legge di Bilancio, il palcoscenico dell’evento è servito anche per dare voce alle proposte delle varie forze politiche in tema di sanità.

Ecco allora la senatrice Elisa Pirro (Movimento 5 Stelle) a rivendicare il tentativo di introdurre in manovra un emendamento sull’accesso precoce – tecnicamente, anticipare la spesa genera un costo. Ma questo è un risparmio solo apparente – ricordando però l’opposizione implicita del ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF). E a riproporre la necessità sempre più impellente di portare nelle sedi economiche il linguaggio dell’Health Technology Assessment (HTA), dove il beneficio futuro pesa tanto quanto la spesa immediata.

Per parte sua la deputata Simona Loizzo (Lega) ha ricordato invece l’impegno sul fast track dall’inizio della legislatura. Anche se il fondo attuale da 16,2 milioni è insufficiente. Anzi, si coprirebbero forse dieci pazienti. La soluzione? Potrebbe essere quella di finanziare l’accesso precoce attingendo al fondo per i farmaci innovativi, che conta oltre 1,3 miliardi, con payback a regime.

Tra industria e geopolitica: acceso confronto sulla competitività

A fare sentire la propria voce è stato anche il comparto industriale. Farmindustria con Carlo Riccini ha confermato che l’Italia può vantare prezzi più bassi e ampia disponibilità di farmaci, ma ha lamentato la lentezza dei processi che riduce attrattività e competitività. Una situazione che soffre di una politica industriale non adeguata, che deve costantemente fare i conti con un contesto internazionale in cui Stati Uniti e Cina stanno accrescendo investimenti e capacità produttiva.

Vincoli europei, risorse limitate e frammentazione regionale frenano una riforma efficace

In modo ancora più netto si è espresso il presidente di Assobiotec, Fabrizio Greco. Che ha ricordato a tutti i presenti che la prospettiva da cui partire per definire le politiche del farmaco è quella del paziente. E così, se l’accesso precoce è limitato a pochi farmaci, non si riesce a cambiare il sistema. Un sistema che continua a violare i 100 giorni previsti dalla normativa per i tempi di approvazione per i farmaci orfani, che da noi arrivano a 400 giorni.  Lo scoglio inoltre pare essere molto più grande di quanto si vede. Quasi un iceberg di natura geopolitica governato dalla dipendenza da Cina e India per oltre l’80% dei principi attivi, dai rischi legati agli accordi internazionali e dall’accordo Usa-Regno Unito che rivede prezzi e dazi in chiave strategica. Un contesto che vede l’Europa in seria difficoltà, nonché impreparata alla competizione globale; e che, senza una vera strategia industriale europea, rischia di rendere i Paesi dell’Ue dipendenti da scelte altrui.

Professioni sanitarie e pazienti: tra diritti, equità e disomogeneità

Il direttore di FNOMCeO, Pierluigi Vecchio, restituisce la prospettiva delle professioni sanitarie: un sistema appesantito da tetti di spesa, una popolazione sempre più informata (o disinformata), e la necessità di decisioni fondate sui dati. «Ogni euro investito in sanità ne restituisce 1,90: non è un costo, ma un beneficio». Invita a governare l’innovazione, non a subirla.

Infine, Annalisa Scopinaro (UNIAMO) riporta la voce dei pazienti rari: rapide innovazioni, grandi speranze e altrettante frustrazioni. Ricorda che molti farmaci, pur approvati, arrivano in ritardo per mere questioni organizzative o regionali. E avverte che nei prossimi due-quattro anni arriveranno circa 80 nuove terapie: serviranno centri, personale, risorse e governance adeguata.

Pazienti alle prese con la “lotteria dei Cap”

Tra le voci più intense del convegno quelle delle associazioni dei pazienti. Per loro la questione dei tempi di approvazione dei farmaci non è astratta: attendere un medicinale mesi o anni può significare perdere funzioni, autonomia, speranza. Soprattutto nel mondo delle malattie rare, dove nei prossimi anni arriveranno decine di nuove terapie avanzate.

Senza contare una delle principali criticità regionali: la frammentazione. Troppo spesso l’accesso dipende dal luogo di residenza del paziente, perché prontuari e autorizzazioni seguono tempi diversi sul territorio. Il risultato è un Paese dove vige una sorta di “lotteria del Cap” che crea diseguaglianze territoriali e una sanità a velocità variabile. L’appello è quindi un’esigenza: definire modelli uniformi, di centri autorizzati definiti e di strumenti chiari per tracciare utilizzo, esiti e sostenibilità.

L’idea più condivisa: finanziare l’early access con ciò che già c’è

Di fronte alla domanda dove trovare le risorse per rispondere a tutte queste esigenze, il convegno ha indicato una strada concreta: utilizzare una parte del Fondo farmaci innovativi, oggi pari a 1,3 miliardi e non completamente impiegato. I residui di budget — circa 400 milioni — potrebbero coprire la fase di accesso precoce senza generare nuova spesa. Una soluzione che ha trovato largo consenso tra molti degli intervenuti.

Perché, come fa ben comprendere a metafora usata da Gianfrate «Non possiamo più far finta che la ruota quadrata funzioni. È ora di passare alla ruota tonda».

Del resto il convegno ha mostrato, una volta di più se necessario, che la consapevolezza del problema è trasversale: i medici chiedono strumenti, i pazienti equità, l’industria chiede un sistema competitivo, la politica sostenibilità e AIFA chiede cooperazione. La vera domanda ora è se il Paese saprà trasformare questa convergenza in un’azione concreta o se l’accesso precoce resterà l’ennesima innovazione possibile, ma non attuata. Perché — come ha ricordato più di un relatore — in sanità il costo vero non è ciò che si spende, ma ciò che non si fa.

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Carlo M. Buonamico
Giornalista professionista esperto di sanità, salute e sostenibilità