Se non ci fosse stata l’esperienza della pandemia molto probabilmente il concetto dell’importanza dell’interoperabilità del dato clinico, la necessità ormai inderogabile di rendere tutte le informazioni sanitarie digitali e completamente fruibili da sistemi diversi non sarebbe stato così tanto compreso come sembra invece esserlo oggi, nel 2021, sia in Italia che all’estero.
Il vero passo avanti è stato comprendere che non ci si può accontentare di una lenta migrazione in quello che lo scrittore Alessandro Baricco ha definito “l’Oltremondo” e che tutti chiamano più semplicemente “la rete”. In campo sanitario serve qualcosa in più di un sistema che consenta ai dati di essere scaricabili e visibili online tramite la mera digitalizzazione delle versioni cartacee. Il concetto chiave è diventato quello della interoperabilità nazionale ma anche internazionale.
In sanità serve qualcosa in più di un sistema che consenta di visualizzare e scaricare dati online tramite la mera digitalizzazione delle versioni cartacee
Sulla necessità di accelerare la sanità digitale, fra opportunità e ostacoli, si sono confrontati in un convegno tenutosi la settimana scorsa a Roma diversi esponenti politici, del mondo accademico e referenti istituzionali. All’appuntamento, organizzato dal Gruppo Dedalus in collaborazione con The G20 Health & development partnership, sono intervenuti il direttore generale di Agenas, Domenico Mantoan, il capo dell’unità per la European reference Networks e la sanità digitale presso la Commissione europea, Ioana-Maria Gligor, il direttore generale dell’unità di missione per l’attuazione del Pnrr per quanto riguarda la mission Salute, Stefano Lorusso, Nicoletta Luppi di Farmindustria e il Presidente della World Federation of Public Health Associations, Walter Ricciardi.
La spinta regalata al settore dai nuovi investimenti
Secondo la ricerca “Integrated Digital Healthcare” eseguita nel 2021 da Gartner, multinazionale americana che si occupa di consulenza strategica, ricerca e analisi nel campo della tecnologia dell’informazione nel mondo, il 63% delle aziende prevede di aumentare gli investimenti in tecnologia, settore in crescita di 13 punti rispetto all’anno scorso, e il 46% quelli in iniziative digitali. Le nuove tecnologie in particolare verranno utilizzate soprattutto per migliorare l’assistenza virtuale (38%) e i sistemi di intelligenza artificiale (31%), oltre che per arricchire i dati sanitari (30%). L’incertezza pandemica sembra aver influenzato fortemente le priorità strategiche del comparto, andando ad accelerare notevolmente i processi di digital trasformation già in atto prima dello scoppio dell’epidemia.
Per quanto riguarda i dati sanitari, post pandemia, si è fatta sentire sempre di più una grande necessità di integrazione fra le varie informazioni diagnostiche che vengono sia dalla medicina di laboratorio sia dalla diagnostica per immagini con le informazioni cliniche.
L’altro grande obiettivo è consentire l’accesso a tutti i cittadini e a tutti i medici alle informazioni digitali, per una digitalizzazione che sia pensata sulle esigenze del cittadino.
“La digitalizzazione nei sistemi sanitari gioca un ruolo fondamentale per superare la frammentazione delle informazioni che devono arrivare ai medici ma anche ai cittadini per gestire meglio la propria salute – ha confermato Mario Plebani, presidente della Federazione europea di medicina di laboratorio e professore ordinario di Biochimica clinica e Biologia molecolare dell’Università di Padova –: Serve un cambio di passo perché si tratta del solo modo per avviare una medicina personalizzata, una terapia mirata sulla persona e, a livello globale, un migliore stato di salute con un sistema sanitario sostenibile”.
Serve un cambio di passo perché si tratta del solo modo per avviare una medicina personalizzata e, a livello globale, un sistema sanitario sostenibile
L’occasione, quindi, è più unica che rara: la pandemia, insegnando che i sistemi sanitari devono parlarsi fra loro, ha rimesso al centro un problema che, quando verrà superato, a livello internazionale permetterà di ottenere migliori risultati in termini di cure personalizzate e di terapie disponibili, portando ad una ottimizzazione delle spese dei sistemi sanitari nazionali.
Senza contare che la qualità e la sicurezza di una digitalizzazione capillare dei sistemi sanitari è anche un elemento di coesione sociale perché permette un accesso più equo e democratico a un’assistenza di livello migliore.
“One Health” e la sostenibilità nel sistema sanitario
Secondo gli esperti del settore, la trasformazione digitale porterà le aziende sanitarie verso un modello organizzativo “componibile” caratterizzato, tra l’altro, da adattabilità, integrazione tra dati e applicazioni e tra i segmenti dell’industria. Le aziende del settore saranno inoltre più reattive, vedranno una maggiore collaborazione tra i vari ruoli e saranno guidate dalle nuove tecnologie e dall’esperienza dei pazienti.
Durante il convegno sono emerse le diverse prospettive sul tema del modello “One Health”, dal punto di vista dell’industria, a quello delle associazioni, fino al mondo accademico e istituzionale. Walter Ricciardi, nella veste di presidente della World Federation of Public Health Associations, Mario Plebani, presidente della Federazione Europea di Medicina di Laboratorio, Nicoletta Luppi, Farmindustria, Francesca De Maio, Responsabile progetti e azioni in materia della sostenibilità ambientale e salute all’Ispra e l’Onorevole Angela Ianaro della Commissione affari sociali e intergruppo parlamentare innovazione della Camera dei Deputati si sono confrontati sul tema “One Health”, definendolo come un approccio multidisciplinare fondamentale per affrontare le minacce alla salute nell’interfaccia animale, umana e ambientale.
L’obiettivo è pubblico e privato allo stesso tempo: “Non è accettabile che in Italia, solo il 38% della popolazione abbia sentito parlare di Fascicolo Sanitario Elettronico, e solo il 12% sia consapevole di averlo utilizzato – ha affermato l’amministratore delegato del Gruppo Dedalus, Andrea Fiumicelli. C’è un enorme lavoro, che definirei culturale, da portare avanti. Insieme, pubblico e privato perché l’obiettivo è comune: la salute dei pazienti. La digitalizzazione dell’ecosistema socio-sanitario è la chiave per perseguire una sostenibilità che sia, a un tempo, sociale, economica, ambientale”.
La digitalizzazione dell’ecosistema socio-sanitario è la chiave per perseguire la sostenibilità sociale, economica e ambientale
Se da un lato, dal punto di vista istituzionale, il grande nodo gordiano da superare è rappresentato dal tema della privacy e della sicurezza nella trasmissione e nell’utilizzo dei cosiddetti dati sensibili, d’altra parte c’è da compiere una rivoluzione culturale che nasce dalla necessità di portare le generazioni più anziane, quelle tra l’altro più interessate dall’accesso delle terapie mediche, a superare il digital divide. A livello nazionale e politico, infine, tutto ruota attorno al fattore tempo e alla necessità di non perdere o sprecare i fondi messi a disposizione appositamente dal Pnrr.
Se il sistema sanitario vuole essere sostenibile, anche i professionisti del settore dovranno fare la loro parte: uno studio del Politecnico di Milano ha evidenziato come l’uso di servizi di telemedicina strutturati, come la televisita con lo specialista, la teleriabilitazione e il telemonitoraggio dei parametri clinici sono sfruttati solo fra il 5 e l’8%. La responsabilità parte anche dalla categoria dei professionisti del settore: solo il 60% dei medici specialisti e dei medici di medicina generale possiede sufficienti competenze digitali di base, ma solo il 4% ha un livello soddisfacente di competenze digitali professionali.
“È uno spreco enorme – ha sottolineato Fiumicelli, commentando i dati del Politecnico – bisogna accelerare sulla cultura della digitalizzazione. Oggi è già possibile prendere in tempo reale decisioni data-driven personalizzate. Le tecnologie e i dati ci sono ma per usarli servono volontà e dialogo e appuntamenti come questo servono a stimolarlo”.