Amazon Clinic, l’esperimento di Jeff Bezos che va oltre la telemedicina

Clic sul sintomo, diagnosi a distanza e acquisto: Amazon Clinic punta sulla facilità di ricevere il farmaco. Con Sergio Pillon, vice presidente AiSDeT, scopriamo come funziona e perché il modello non è replicabile in Italia

Una buona assistenza primaria migliora la salute delle persone e riduce i costi dell’assistenza sanitaria. Negli Stati Uniti, dove capita che sia lacunosa o mancante, lo ha capito molto bene Amazon, che sta riprovando a farne un business cercando di guadagnarsi un ruolo nel delicato equilibrio del sistema sanitario americano con un nuovo prodotto: la Amazon Clinic.

Il progetto pilota di questa espansione di Amazon nel ramo sanitario era stato lanciato nel 2019 e aveva un nome abbastanza simile. Si chiamava Amazon Care e si rivolgeva ai tantissimi dipendenti del colosso americano delle vendite online. L’idea era più o meno quella di fare con l’assistenza sanitaria quello che era stato fatto per lo shopping: portare il “prodotto”, in questo caso un servizio, direttamente nelle case delle persone a costi inferiori. Amazon Care, di cui l’azienda di Jeff Bezos ha annunciato la chiusura a fine 2022, era però un servizio di telemedicina e di visite a domicilio, pensato per coniugare risparmio e una convenienza all’alta qualità dei servizi offerti. Tramontata questa prima avventura, che la stessa azienda ha dichiarato essersi rivelata “non in linea con i bisogni dei dipendenti” e che è stata fallimentare a livello economico per l’impossibilità di tenere testa a competitor più solidi, ora Bezos rilancia non solo con l’acquisizione di un colosso della telemedicina con Medical One, ma offrendo una embrionale bouquet di cure primarie in 32 Stati Usa.

Amazon Clinic parte da una dashboard che riporta una ventina di sintomi comuni (e non dalle patologie), per indirizzare gli utenti in un format da compilare online, con la possibilità di caricare esami e diagnosi pregresse, che si conclude anche con la possibilità della prescrizione di una terapia medica.

È già chiaro che l’esperimento di Amazon supera il modello della telemedicina

È già chiaro che l’esperimento di Amazon supera il modello della telemedicina, ignorando l’esperienza britannica di Babylon Health, dove l’uso di un chat-bot permetteva ancora al medico di interpretare quanto riportato dal paziente e averne maggior controllo. Il modello di velocità e convenienza applicato dalla Amazon Clinic, che ha avuto un così grande successo nelle vendite online, è davvero applicabile alle cure sanitarie? O il fine di Bezos è più che altro di profilare decine di migliaia di pazienti acquisendo dati sanitari utili a 360 gradi all’azienda?

La clinica virtuale e le prescrizioni digitali a distanza

Secondo il NY Times, l’America spende più del doppio di quanto spendono gli altri Paesi ricchi per l’assistenza sanitaria, pur avendo risultati sanitari peggiori. Il sistema, insomma, è in evidente difficoltà e l’intuizione di Bezos cerca di creare un profitto su questa mancanza, andando a plasmare un embrionale servizio di assistenza primaria, che al momento parte da poche e semplici patologie, costruendo un sistema di accesso alle ricette mediche completamente online e a costi inferiori di una visita medica in presenza o da remoto. Il tutto in un Paese in cui la medicina a distanza e le Digital Health Technologies, regolate dalle nuove linee guida della FDA americana, sono già ampiamente diffuse e sperimentate.

Sergio Pillon

“Negli Stati Uniti la telemedicina viene già usata in modo molto sofisticato, permettendo ai poliambulatori di piccoli centri periferici di mettersi in contatto con specialisti di grandi strutture che lavorano a chilometri e chilometri di distanza – ha commentato Sergio Pillon, vicepresidente di AiSDeT, l’Associazione Italiana di Sanità Digitale e Telemedicina –. Quello che però hanno evidenziato le ultime ricerche pubblicate è che c’è ancora molta diffidenza verso questa metodologia fra le persone afroamericane appartenenti alle classi sociali più svantaggiate. Uno dei possibili benefici di uno strumento come Amazon Clinic sarà quello di avvicinare alla medicina non in presenza anche chi non ne fa ancora uso”.

La clinica Amazon si presenta con una interfaccia grafica molto intuitiva e facile da usare

La clinica Amazon si presenta con una interfaccia grafica molto intuitiva e facile da usare. Basta cliccare sul sintomo di cui si soffre per essere indirizzati ad un format da compilare che arriva ad un medico specialista il quale, a sua discrezione, può porre una diagnosi a distanza, prescrivendo online dei farmaci che possono essere acquistati direttamente proprio sul portale stesso. Fra i disturbi per cui si può ricevere assistenza ci sono la perdita di capelli, il bruciore di stomaco, l’acne, la forfora, l’herpes, le infezioni urinarie e le allergie stagionali. Al paziente basta rispondere alle domande per ricevere una risposta dal curante, senza alcuna chat in tempo reale, né un video-consulto. Nel servizio sono incluse due settimane di follow-up durante le quali medico e paziente restano in contatto in caso di necessità. Il prezzo è al momento fissato dai fornitori di telemedicina anche se, a detta di Amazon, il costo per l’assistenza è inferiore. Al momento il servizio non accetta assicurazioni ma presto i farmaci prescritti dalla Amazon Clinic potrebbero diventare acquistabili attraverso i piani assicurativi più comuni o convenzionarsi con grandi strutture.

“È chiaro che il servizio di Amazon Clinic è pensato per lavorare in tandem con One Medical (il servizio di telemedicina che Amazon ha appena acquisito e che negli Stati Uniti conta 200 sedi fisiche in 19 città americane e collaborazioni con oltre 8 mila aziende, ndr) – ha commentato Pillon – C’è una evidente convenienza della società nell’abbinare le due aziende, andando a intercettare quella fascia della popolazione che non è assicurata o ha coperture assicurative”.

L’acquisizione del colosso della telemedicina One Medical

Contrariamente ad un pensiero comune, negli Stati Uniti l’assistenza sanitaria privata non necessariamente fa rima con efficienza e velocità. Le grandi aziende, ma anche le piccole medie imprese oltre un certo numero di dipendenti, sono obbligate a stipulare una assicurazione sanitaria ai propri dipendenti. La rete assicurativa mette poi a disposizione del titolare dell’assicurazione un elenco di “fornitori sanitari” a cui può decidere di rivolgersi. Questo a volte comporta delle liste d’attesa che possono arrivare anche a qualche settimana, prima di ottenere una visita specialistica, e la necessità di assentarsi dal lavoro per effettuare le visite.

Amazon Care, così come il suo competitor One Medical, nasceva anche su queste due criticità come un prodotto potenzialmente indirizzato alla classe media americana che desidera risparmiare tempo e soldi e ricevere direttamente a domicilio, o da remoto, l’assistenza medica desiderata. Amazon Care e One Medical si rivolgevano entrambe a famiglie benestanti, medio e alto-spendenti, comunque in grado di permettersi le cure primarie attraverso la propria assicurazione medica. La differenza in questo caso era rappresentata dal fatto che la visita venisse eseguita a domicilio.

Sebbene l’esperienza di Amazon Care non sia stata delle più felici economicamente, l’azienda di e-commerce più grande del mondo ha dimostrato di non aver cambiato direzione e di credere ancora in un futuro per questo tipo di servizio.

L’investimento di 3,9 miliardi di dollari per l’acquisizione di One Medical, un altro grande fornitore di cure primarie che offre servizi di persona e in teleassistenza in 19 città americane in cambio di una registrazione che costa 200 dollari all’anno, dimostra che investire sulla telemedicina resta nei piani a lungo termine di Amazon. Tant’è vero che l’azienda di Bezos sta cercando anche di acquisire la Signify Health, una compagnia texana di servizi sanitari, per la quale ha messo sul piatto altri 8 miliardi di dollari.

Lungi dall’essere la rivoluzione tecnologica in grado di intervenire sulle falle del sistema sanitario americano, si tratta più che altro di un esperimento di telemedicina

Il servizio-prototipo per i dipendenti è servito a testare il prodotto, ma l’idea di offrire all’americano della middle classe medio e alto-spendente una alternativa all’assistenza sanitaria ordinaria, piena di attese e ostacolata da una burocrazia sempre più pesante, resta. Medical One, i cui conti non erano in grande salute al momento della acquisizione dell’azienda di Bezos, non si rivolge quindi solo ai più poveri e non accetta Medicaid, il programma di assicurazione medica governativo che copre anche chi ha patologie pregresse più importanti e ha necessità di ricevere cure più costose.  Lungi dall’essere la rivoluzione tecnologica in grado di intervenire sulle falle del sistema sanitario americano, si tratta più che altro di un esperimento di telemedicina che Amazon dovrà cercare di rimettere in sesto finanziariamente (nel primo trimestre del 2022 perdeva 91 milioni di dollari) per provare a farlo funzionare anche per chi non ha una assicurazione. Come? Probabilmente passando da Amazon Clinic, dove invece potrà accedere chiunque anche senza assicurazione. La novità, quindi, sta ne fatto che ora il servizio lavorerà in sinergia con la nuova Amazon Clinic.

“Vedo in questo esperimento di Amazon un passaggio intermedio verso qualcosa di più definito e preciso. Ma parallelamente anche il tentativo di profilare un grande numero di nuovi clienti dal punto di vista sanitario – ha affermato il vice di AiSDeT – un obiettivo che, al di là di come andrà l’avventura di Amazon Clinic, non potrà che portare profitti”.

Un modello non replicabile in Italia: il problema dell’inappropriatezza

La fortuna di Amazon, che è anche la sua cifra distintiva, si è basata sulla scommessa vinta del riuscire a portare direttamente a casa dei propri clienti quello che vogliono, nel minor tempo possibile. Una corsa, in tutti sensi, per accorciare le distanze di tempo e di spazio.

Il prezzo da pagare per ottenere questi risultati è stato sottolineato più volte dalle tante proteste dei dipendenti dei piani più bassi dell’azienda: turni di lavoro sfiancanti e standard molto difficili da rispettare che hanno portato negli anni ad un turnover aziendale estremamente elevato. Un modello, insomma, che evidentemente mal si concilia con la struttura di una azienda sanitaria (tanto più se questa è pubblica e non privata) in cui l’erogazione delle prestazioni mediche e infermieristiche non può essere valutata in termini quantitativi.

Non è un caso che la prima sfida di Amazon Care non sia stata vinta a livello economico né che Medical One non stesse viaggiando economicamente in ottime acque: non tutti gli aspetti di una visita medica possono risolversi facilmente in un video consulto o in una visita a domicilio. Ciò in parte perché il sistema statunitense, contrariamente a quello italiano, non ha regole stringenti rispetto all’applicazione della telemedicina.

Il modello italiano in questo senso è molto più restrittivo

“Il modello italiano in questo senso è molto più restrittivo – ha spiegato Pillon –: Come da ‘Linee Guida per i servizi di Telemedicina’ pubblicate il 2 novembre 2022 sulla Gazzetta Ufficiale, la tele-visita può essere eseguita solo su pazienti già noti al sistema, che sono stati visitati prima di persona e al quale sono stati prescritti dal medico stesso dei controlli da remoto”.

Questo esclude la possibilità che il paziente si “auto-prescriva” un consulto in telemedicina, accedendo semplicemente a pagamento, in quanto la visita da remoto non può essere per legge una cosiddetta prima visita.

In Italia il consulto a distanza può avvenire solo se prima un medico dà il suo consenso perché ha valutato che la tele-visita è lo strumento adatto per proseguire il percorso terapeutico. Questo aspetto da solo esclude già la possibilità di replicare del modello della Amazon Clinic in un paese come il nostro – ha chiosato Sergio Pillon –. Questa regola serve anche ad evitare quelle situazioni che in medicina si definiscono con il termine di ‘inappropriatezza’, che si verifica quando i pazienti possono rivolgersi ad un servizio di cui non hanno realmente bisogno sovraccaricando il sistema sanitario”.

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Sofia Rossi
Giornalista specializzata in politiche sanitarie, salute e medicina